Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29761 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 29761 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

ORDINANZA

sul ricorso 4367-2012 proposto da:
BONINI GRAZIELLA C.F. BNNGZL50H53C774U, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo
studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

– MINISTERO DELLA SALUTE C.F. 80184430587, in persona
2017
3310

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI 12;
REGIONE

TOSCANA,

in

persona

del

legale

Data pubblicazione: 12/12/2017

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12, presso lo studio
dell’avvocato MARCELLO CECCHETTI, rappresentata e
difesa dall’avvocato ENRICO BALDI, giusta delega in
atti;

avverso la sentenza n. 228/2011 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 15/02/2011 R.G.N. 1085/2009.

– controricorrenti –

R.G. 25158/2012

CONSIDERATO

Che la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza in data 17/04/2012, a
conferma della decisione del Tribunale di Teramo, n. 62/2011, ha negato il

confronti di Ida Di Bernardo, per riscontro della completa remissione della
malattia.
Che la Corte territoriale ha ritenuto l’assenza di danno permanente, in
quanto, la menomazione subita, indicata dall’appellata in un deficit psico relazionale, non rientra tra quelle indicate nella tabella A allegata al d.P.R.
n.834/1981.
Che avverso tale decisione interpone ricorso Ida Di Bernardo con due
censure, cui resiste con tempestivo controricorso il Ministero della Salute.

RITENUTO

Che la prima censura contesta omessa motivazione in merito all’esclusione
dell’appartenenza della menomazione permanente da deficit psico-relazionale
all’ottava categoria della Tabella A, allegata al d.P.R. n.834/1981.
Che la seconda censura deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11
del d.P.R. n.864/1981 e dell’art. 115 del codice di rito, in quanto, la normativa
sulla classificazione delle lesioni e delle infermità prevede che le patologie non
tabellate debbano ascriversi alle categorie che comprendono infermità
equivalenti e che, pertanto, vi sarebbero stati tutti i presupposti per ascrivere
la patologia lamentata all’ottava categoria da parte dei giudici del merito, i
quali, di contro, si sarebbero limitati a recepire le risultanze della CTU, che
aveva dato prevalenza ai risultati analitici delle transaminasi, riduttivi rispetto
al quadro d’insieme prospettato dall’appellante.
Che

le censure sono infondate avendo la Corte territoriale fatto

applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte
secondo cui “In tema di indennizzo in favore di soggetti danneggiati da epatite

diritto all’indennizzo per epatite contratta in seguito a emotrasfusione, nei

post trasfusionale,

comma 3 della legge 25 febbraio 1992, n,210, letto

unitamente al successivo art.4, comma 4, deve interpretarsi nel senso che
prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da
epatiti post trasfusionali, sempre che tali danni possano inquadrarsi – pur alla
stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di
rigida corrispondenza tabellare – in una delle infermità classificate in una delle

23 dicembre 1978, n.915, come sostituita dalla tabella A allegata al d.P.R. 30
dicembre 1981, n.834, rientrando nella discrezionalità del legislatore,
compatibile con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e con il diritto a misure
di assistenza sociale (art. 38 Cost.), la previsione di una soglia minima di
indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti
sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell’autorità sanitaria.”
(Sez.Un.n.8064/2010), e che comunque il vizio motivazionale dedotto è
estraneo alla formulazione, ex art. 2 del d.Lgs. n.40/2006, dell’art. 360 n. 5
cod. proc. civ. applicabile ratione temporis.
Che pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento, nei
confronti del Ministero della Salute, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 1500 per competenze professionali, oltre le spese prenotate a
debito, e nei confronti della Regione Toscana in Euro 1500 per competenze
professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in Euro 200, e agli accessori di legge.

Così deciso nell’Adunanza Camerale del 18/07/2017

otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con d.P.R.

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