Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29760 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2018, (ud. 05/04/2018, dep. 19/11/2018), n.29760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20642-2013 proposto da:

A.C. (OMISSIS), I.C. (OMISSIS), D.P.G.

(OMISSIS), D.M.P. (OMISSIS), A.V. (OMISSIS),

C.V. (OMISSIS), V.A. (OMISSIS), S.C.

(OMISSIS), R.R. R., M.A.

(OMISSIS), L.G. (OMISSIS), E.C. (OMISSIS),

tutti domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIUSEPPE MARZIALE, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AUTOSTRADE MERIDIONALI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI

22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta

e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5976/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/12/2012 R.G.N. 4308/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) Con sentenza del 12.12.2012 la Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città del 9.5.2008, ha respinto le domande di A.C. e degli altri litisconsorti di cui in epigrafe – assunti come dipendenti a tempo indeterminato dalla società Autostrade Meridionali spa in forza di conciliazione giudiziale sottoscritta il (OMISSIS) – dirette a far accertare il loro diritto all’accantonamento, a titolo di TFR, della somma risultante dal computo, come base di calcolo, della retribuzione annua prevista dal CCNL di settore vigente dalla data del primo contratto a termine instaurato con la società, con le decorrenze indicate per ciascun lavoratore.

2) La Corte napoletana non ha condiviso l’interpretazione fornita dal primo giudice, secondo cui nella conciliazione le parti avevano inteso riconoscere un’anzianità fittizia ai soli fini del computo del TFR dal primo contratto a termine, calcolando tale voce sulla base di un accantonamento anche delle retribuzioni in astratto spettanti per ogni anno sino al 2005 e ciò in quanto, diversamente, nessun senso avrebbe avuto la clausola dell’accordo, perchè alcun beneficio concreto avrebbe portato ai lavoratori.

3)La corte distrettuale ha invece ritenuto che il riconoscimento dell’anzianità convenzionale, valida ai fini del calcolo del TFR e decorrente dalla data di assunzione del primo contratto, con imputazione ai fini dell’accantonamento delle sole somme già percepite negli anni da ciascun lavoratore, determinasse comunque un vantaggio, costituito dalla rivalutazione di tali somme all’atto della liquidazione complessiva. La corte ha inoltre ritenuto che l’interpretazione fatta propria dal Tribunale avrebbe comportato un’integrazione della conciliazione con elementi estranei all’accordo tra le parti, non specificati nè conoscibili.

4)Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i lavoratori, affidato ad un solo articolato motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5) Con il motivo di ricorso si deduce: la violazione degli artt. 1362,1366, 1367,1368, 1369 e 1371 c.c., artt. 112 e 416 c.p.c., in relazione art. 360, comma 1, n. 3; inoltre l’omessa, illogica insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo e/o omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6) Secondo i ricorrenti la corte napoletana avrebbe errato nell’interpretare la clausola del verbale di conciliazione giudiziale del (OMISSIS) che così si esprime: ” La SAM riconosce a ciascuno dei ricorrenti un’anzianità convenzionale, valida ai soli fini del TFR, decorrente dalla data di assunzione del primo contratto a tempo determinato stipulato da ciascuno di essi, con imputazione – in quanto sarà accantonato- delle somme già percepite eventualmente per il medesimo titolo al termine di ogni rapporto a tempo determinato; di conseguenza La SAM rinuncia alla domanda riconvenzionale”.

7)La corte territoriale, affermando che detta clausola prevede che siano accantonate e rivalutate solo le somme erogate a titolo di TFR in occasione dei pregressi contratti a termine, sbaglierebbe nel ritenere che tale interpretazione consente di conservare una qualche efficacia della clausola stessa in termini transattivi. Si tratterebbe, infatti, di interpretazione mai proposta dalla società e dunque violerebbe l’art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, perchè la società aveva solo sostenuto che le pregresse liquidazioni già erogate andavano calcolate sul TFR da accantonale in forza della previsione di cui all’art. 2120 c.c., come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

8)Per i ricorrenti la motivazione della corte sarebbe comunque contraddittoria e posta in violazione degli artt. 1362 e 1371 c.c., in quanto sin dal ricorso di primo grado era stato da loro dedotto che il TFR già percepito alla fine di ogni periodo di lavoro dei contratti a termine non avrebbe potuto comportare nessuna ulteriore rivalutazione e dunque nessun vantaggio in termini di mera rivalutazione degli importi già percepiti, atteso che la conciliazione ha previsto un’assunzione ex novo a far tempo dal (OMISSIS), senza alcun collegamento con i pregressi contratti.

9) Pertanto l’interpretazione fornita dalla corte d’appello, come anche quella fatta propria dalla società nella memoria di costituzione (secondo cui andrebbero accantonate solo le retribuzioni già percepite per i mesi effettivamente lavorati, detratto quanto già pagato a titolo di TFR) determinerebbe un’ inutilità della clausola.

10) Da ciò si ricava, a dire dei ricorrenti, sia in base ad un’interpretazione letterale ai sensi dell’art. 1362 c.c., sia in base ad un’interpretazione ai sensi dell’art. 1367 c.c., che la volontà delle parti è nel senso di determinare il TFR, da accantonare ai fini conciliativi per il periodo precedente all’assunzione, calcolandolo convenzionalmente sulle retribuzioni corrispondenti a tutto l’arco dell’anno e non solo ai periodi lavorati, atteso che il TFR sulle somme percepite era già stato erogato.

11) Per i ricorrenti una tale pattuizione contrattuale, sebbene contraria a quanto previsto dall’art. 2010 c.c., sarebbe ammissibile trattandosi di un riconoscimento di contenuto patrimoniale di un’anzianità convenzionale valida ai soli fini del TFR, mentre sarebbe infine affetta da illogicità ed erroneità la parte di motivazione in cui la corte di appello ha osservato che l’accoglimento della loro tesi costituirebbe un’integrazione non consentita della volontà espressa nella conciliazione intercorsa tra le parti.

13) Il ricorso non può trovare accoglimento, perchè infondato. La questione verte sull’interpretazione da attribuire alla clausola di cui al punto 2 delle “condizioni ” della conciliazione, clausola prima ricordata e che prevede il riconoscimento di un’anzianità convenzionale con imputazione – in quanto sarà accantonato – delle somme già percepite eventualmente per il medesimo titolo al termine di ogni rapporto a tempo determinato.

14) Effettivamente la clausola utilizzata dalle parti non è particolarmente chiara rendendo impossibile un’interpretazione letterale della stessa, perchè la comune volontà non emerge in modo certo ed immediato dalle parole usate dai contraenti. Ma l’operazione interpretativa della corte è corretta perchè, nell’ affermare che l’utilità conseguita in ragione della clausola in contestazione consiste nell’ottenere la rivalutazione del TFR – maturato e percepito – relativo ai periodi di lavoro svolto negli anni precedenti all’assunzione riconosciuta con la conciliazione, i giudici del gravame hanno applicato il criterio interpretativo sussidiario di cui all’art. 1367 c.c., atteso che di fronte alla clausola non chiara, le cui espressioni non sono suscettibili di essere interpretate alla stregua del procedimento ermeneutico dettato dagli artt. 1363,1364 e 1365 c.c., ma neanche nel quadro di un’interpretazione oggettiva ai sensi dell’art. 1366 c.c., hanno fornito un’interpretazione che porta a ritenere comunque una qualche efficacia della clausola stessa, anzichè nessuna.

15) Ed infatti la corte ha precisato che, poichè nessuna retribuzione era stata percepita da parte dei lavoratori negli intervalli di tempo tra un contratto a termine ed un altro, la tesi sostenuta dai lavoratori e fatta propria dal tribunale secondo cui andavano considerati come retribuiti anche i periodi di non lavoro, si traduceva non in un’interpretazione della clausola, ma in un’integrazione da parte del giudice della volontà dei contraenti con elementi estranei all’accordo medesimo.

16) Il criterio ermeneutico di cui all’ art. 1367 c.c., ha infatti un carattere sussidiario rispetto agli altri criteri, non applicabili. Come statuito da questa corte (cfr Cass. n. 28357/2011) “In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 c.c., – secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno – va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti. Ne consegue che detto criterio – sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’art. 1362 c.c. , comma 1, condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto”.

17) Nel caso in esame è indubbio che i criteri previsti nelle disposizioni precedenti – dall’art. 1362 all’art. 1366 c.c.- non consentivano di identificare chiaramente l’intento delle parti, men che meno nella versione interpretativa adottata dal primo giudice, non perchè le parti non potessero derogare a quanto previsto dall’art. 2120 c.c., comma 2, in punto di accantonamento delle somme corrisposte in pendenza del rapporto di lavoro,stabilendo la previsione di un accantonamento virtuale anche di retribuzioni non percepite, ma perchè una tale deroga avrebbe dovuto essere chiaramente espressa e non desunta presuntivamente in quanto unico possibile effetto concreto della pattuizione transattiva.

18) Ed infatti correttamente la Corte partendo dalle sole espressioni contenute nella clausola, che ha chiaramente fatto riferimento ad un’anzianità convenzionale con riferimento alle somme “già percepite”, ha precisato che la rivalutazione delle stesse nell’ambito dell’intero calcolo del TFR in futuro liquidato al lavoratore all’atto della cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato riconosciuto in conciliazione, avrebbe costituito quel vantaggio che legittimava la validità della conciliazione.

19) Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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