Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29759 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 15/11/2019), n.29759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28467/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 175, presso la sede della Società, rappresentata e difesa

sia congiuntamente che disgiuntamente dagli avvocati ANTONIO

SEBASTIANO CAMPISI e SERGIO CALASSI;

– ricorrente –

e contro

L.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 60/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/06/2016, R.G.N. 178/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 16 giugno 2016, la Corte d’appello di Ancona condannava Poste Italiane s.p.a. al pagamento, in favore di L.P., della somma ulteriore di Euro 1.270,39, oltre interessi: così riformando la sentenza di primo grado, che, previa la revoca del decreto ingiuntivo ottenuto dalla prima, aveva condannato la società al pagamento di Euro 1.716,52, oltre interessi, pari alla differenza tra il credito della lavoratrice per indennità, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, esattamente determinato in Euro 11.149,28 (al netto di interessi e rivalutazione) e il credito della società datrice a titolo restitutorio (per differenza tra quanto corrisposto, in esecuzione della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 113/07 di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a indeterminato e di condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dal 30 novembre 2005, e quanto invece liquidato dalla Corte d’appello a titolo di indennità quale ius superveniens applicabile) in misura di Euro 9.432,76, al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali;

avverso tale sentenza la società ricorreva per cassazione con due motivi, mentre la lavoratrice intimata non svolgeva difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in correlazione con circolari e risoluzioni dell’amministrazione finanziaria, per erronea esclusione della ripetizione delle somme corrisposte dalla società datrice alla lavoratrice, in esecuzione di una sentenza di primo grado poi riformata in diminuzione dell’importo in appello, al lordo delle ritenute fiscali versate all’erario in qualità di sostituto d’imposta, in quanto soggetto non legittimato alla procedura di rimborso prevista dalla norma denunciata, insuscettibile di applicazione (potendo l’istanza di rimborso essere presentata dal “soggetto che ha effettuato il versamento diretto… nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”) in via analogica per il carattere eccezionale della norma tributaria, al contrario del lavoratore mediante le deduzioni dal reddito imponibile (primo motivo); violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d-bis), in correlazione con circolari e risoluzioni dell’amministrazione finanziaria, per la possibilità del lavoratore sostituito, qualora non abbia operato la deduzione dal reddito per il periodo d’imposta di restituzione, di provvedervi nei periodi di imposta successivi o, in alternativa, di richiedere il rimborso dell’imposta non dovuta: con la conseguenza, se egli abbia già recuperato direttamente le ritenute versate in eccedenza dal datore, di non poterne richiedere la restituzione all’Agenzia delle Entrate (anche per tale ragione di verifica dovendo l’istanza di rimborso essere proposta esclusivamente dal lavoratore) e soddisfacendo il diritto alla ripetizione del datore delle somme da questi corrispostegli in eccedenza al lordo di tali ritenute, non altrimenti recuperabili (secondo motivo);

2. i due motivi, congiuntamente esaminabili per evidenti ragioni di connessione, sono infondati;

2.1. le questioni con essi poste sono state infatti risolte, per indirizzo di legittimità ormai consolidato cui si intende dare continuità per essere state le argomentazioni nuovamente prospettate già criticamente disattese, secondo i seguenti principi di diritto (da ultimo ribaditi, proprio su analogo contenzioso coltivato da Poste s.p.a. davanti alla Corte d’appello anconetana: Cass. 27 marzo 2019, n. 8614):

a) in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il primo ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto ex tunc dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (Cass. 25 luglio 2018, n. 19735; Cass. 20 maggio 2019, n. 13530);

b) in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute, e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”) (Cass. 29 luglio 2015, n. 16105; Cass. 29 gennaio 2018, n. 2135; Cass. 16 gennaio 2019, n. 990);

3. pertanto, essendo stato accertato che le ritenute fiscali non siano state versate alla lavoratrice, il ricorso deve essere rigettato, senza alcun provvedimento sulle spese di giudizio, non avendo la parte vittoriosa svolto difese e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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