Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29757 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 19/11/2018), n.29757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14448-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 63, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GARATTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati STEFANO SPAGIARI,

GIORGIO MAGGI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6161/65/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata

il 24 novembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10 ottobre 2018 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

Fatto

RILEVATO

che la Corte costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c.;

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che aveva respinto il suo appello nei confronti della decisione della Commissione tributaria provinciale di Brescia. Quest’ultima aveva accolto il ricorso di C.G. contro un avviso di accertamento per IRPEF, relativamente all’anno 2007.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo, l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 2 e art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: la CTR avrebbe erroneamente reputato superata la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, senza che la contribuente avesse fornito la dimostrazione di alcuno degli elementi richiesti;

che, mediante il secondo, la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7,comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, giacchè la sentenza impugnata avrebbe erroneamente attribuito rilevanza di prova alla dichiarazione della madre, depositata in primo grado, nonostante il divieto di prova testimoniale; che l’intimata ha resistito con controricorso; che il primo motivo di ricorso è fondato;

che infatti, in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti (Sez. 5. n. 22931 del 26/09/2018);

che la CTR non ha correttamente applicato i predetti principi, in tema di valutazione della prova, degradando ad “eventuali irregolarità contabili” situazioni di ben altro spessore, come il fatto che il versamento del prezzo di una vendita immobiliare eseguita dalla società fosse stato eseguito sul conto personale della C., senza apparente giustificazione, oppure limitandosi a stabilire la provenienza delle somme a titolo di rimborso di un finanziamento, ma non che esse fossero state indicate ai fini della determinazione del reddito imponibile o che non concorressero a costituirlo;

che il secondo motivo è fondato, per quanto di ragione;

che, nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000) – va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente – con il medesimo valore probatorio – dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonchè l’effettività del diritto di difesa (Sez. 5, n. 18065 del 14/09/2016; Sez. 5, n. 8987 del 12/04/2013);

che, nella specie, la sola dichiarazione del genitore non sarebbe dunque potuta bastare ad integrare la prova richiesta alla contribuente, in mancanza di ulteriori elementi;

che, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Piemonte, in diversa composizione, affinchè si attenga agli enunciati principi e si pronunzi anche con riguardo alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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