Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29754 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 15/11/2019), n.29754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13807/2017 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE, MANUELA MASSA;

– ricorrente –

contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4535/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/06/2016 R.G.N. 806/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso l’accoglimento;

udito l’Avvocato PATRIZIA CIACCI per delega verbale Avvocato EMANUELA

CAPANNOLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto a C.M., n. q. di tutore di C.G., l’indennità di accompagnamento e la pensione di inabilità.

Secondo la Corte territoriale non era applicabile in via retroattiva il termine di decadenza semestrale di cui al D.L. n. 629 del 2003, art. 42, comma 3, conv. in L. n. 326 del 2003, in quanto tale norma era entrata in vigore dopo l’inizio della procedura amministrativa e la comunicazione del verbale di visita.

2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps. Il C. è rimasto intimato. Con ordinanza interlocutoria n. 27265/2018 la sesta sezione di questa Corte ha rimesso la causa alla sezione ordinaria per la trattazione all’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. L’Inps denuncia violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, conv. in L. n. 326 del 2003 e dell’art. 252 disp. att. c.c..

Secondo l’Istituto si tratta di esaminare se la decadenza semestrale dall’azione proposta – introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, conv. in L. n. 326 del 2003, la cui efficacia è stata differita al 31/12/2004 dal D.L. n. 355 del 2003 -, operi soltanto per le situazioni instaurate dopo l’1/1/2005, come ritenuto dalla Corte territoriale, oppure se l’art. 42, sia applicabile a decorrere dall’entrata in vigore della norma e cioè dall’1/1/2005, con la conseguenza che in tale ultimo caso si sarebbe maturata la decadenza.

Deduce che il C. aveva richiesto il ripristino delle prestazioni a decorrere dal provvedimento di revoca del 19/3/1997 con ricorso depositato il 15/2/2007; che il Tribunale aveva ritenuto non applicabile il termine semestrale di cui al cit. art. 42, in quanto la comunicazione del verbale di visita era stata ricevuta dal ricorrente in data anteriore all’entrata in vigore dell’art. 42 medesimo; che l’Istituto, in appello, aveva riproposto l’eccezione di decadenza ex art. 42, il cui termine doveva decorrere dall’entrata in vigore della norma e cioè dall’1/1/2005, termine non rispettato nel caso di specie.

A conforto della propria tesi l’Inps richiama quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza delle Sezioni Unite n. 15352/2015, la quale, dovendo decidere sull’applicabilità o meno del termine triennale di decadenza introdotto dalla L. n. 238 del 1997, al fine della richiesta dell’indennizzo per epatite contratta a seguito di trasfusioni, aveva ritenuto applicabile la nuova disciplina anche alle situazioni già in essere, però con decorrenza del termine fissata con riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa.

4. Il motivo è fondato.

Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326, dopo aver dichiarato non più necessario il ricorso amministrativo ai fini della procedibilità della domanda, ha introdotto una nuova decadenza per l’esercizio dell’azione, da proporre entro il termine di sei mesi dalla data di comunicazione del provvedimento amministrativo.

5. In mancanza di una specifica disciplina transitoria il nuovo istituto della decadenza è stato ritenuto applicabile da questa Corte in numerose pronunce (cfr. Cass. n. 9038/2011, n. 9647/2012, n. 21812/2014, n. 11484/2015, n. 23121/2016, n. 23524/2016 e n. 4001/2017) ai provvedimenti amministrativi comunicati a decorrere dal 1 gennaio 2005, nel rispetto del principio di irretroattività della legge, il quale comporta che essa non può essere applicata ai “facta praeterita”, pur corrispondenti agli elementi di una nuova fattispecie produttiva di effetti che dalla legge precedente non erano collegati a quei fatti. Nei citati precedenti giurisprudenziali la ragione dell’inapplicabilità della decadenza di nuova istituzione al caso in cui il provvedimento amministrativo sia stato comunicato all’interessato anteriormente alla data di inizio dell’applicabilità della nuova norma è stata ravvisata specificamente nella circostanza che si è in presenza non già del fenomeno, regolato dall’art. 252 disp. att. c.c., dell’abbreviazione del termine relativamente a un’ipotesi di esercizio di un diritto già precedentemente condizionato al rispetto di un termine di decadenza, ma all’introduzione di una decadenza precedentemente non esistente.

Si tratta, secondo l’indirizzo giurisprudenziale citato, di un’evenienza diversa e più incisiva rispetto a quella regolata dall’art. 252 cit., perchè la nuova norma istituisce e delinea lo stesso fatto che comporta la decorrenza del termine di decadenza e che appartiene quindi, unitamente al decorso del tempo, alla fattispecie costitutiva della decadenza (tanto da essere denominato, nelle suddette sentenze, fatto generatore della decadenza). Con la conseguenza, appunto, della sottrazione alla possibile incidenza della nuova norma della fattispecie nella quale la comunicazione del provvedimento amministrativo fatto che dovrebbe comportare la decorrenza della decadenza – si situi al fuori dell’area temporale di operatività della nuova norma.

9. Le conclusioni assunte nei citati precedenti (che hanno sostanzialmente riprodotto le argomentazioni contenute in Cass. n. 9038/2011 e n. 9647/2012, con le precisazioni sulla portata dell’art. 252 disp. att. c.c., contenute nella seconda pronuncia citata) devono ora essere esaminate alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni unite nella sentenza n. 15352 del 2015, così come sollecitato non solo dall’Inps, ma anche con l’ordinanza n. 27265/2018 con cui la sesta sezione di questa Corte ha chiesto che la causa fosse trattata dalla sezione ordinaria e rimessa alla pubblica udienza.

Si tratta dunque di stabilire se i principi enunciati dalle Sezioni unite siano applicabili alla fattispecie in esame.

10.Come è noto la citata pronuncia è intervenuta nella materia delle emotrasfusioni ed ha stabilito, con la L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 9, che i soggetti interessati a ottenere l’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, presentino alla USL competente le relative domande, indirizzate al Ministro della sanità, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post trasfusionali o di 10 anni nei casi di pensioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno. La norma che ha introdotto il nuovo termine di decadenza è stata interpretata dalle S.U. nel senso che il detto termine decorre dalla entrata in vigore della legge per le ipotesi di epatiti post trasfusionali contratte (e accertate) anteriormente alla sua emanazione.

11. Dalla sentenza tuttavia sono enucleabili principi validi anche nell’interpretazione della decadenza introdotta dall’art. 42 citato e che inducono a discostarsi dalla precedente giurisprudenza di questa Sezione.

12. In particolare le Sezioni unite hanno esaminato, al pari della fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, un problema di diritto transitorio attinente alla determinazione dell’incidenza di una legge sopravvenuta che introduca ex novo un termine di decadenza su una situazione ancora pendente. Con la citata pronuncia, premesso che la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore certamente non può avere effetto retroattivo e cioè non può far considerare maturato, in tutto o in parte, un termine facendolo decorrere prima dell’entrata in vigore della legge che l’abbia istituito, si è affermato, conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche alle situazioni soggettive già in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa.

Secondo la citata pronuncia tale soluzione realizza il “bilanciamento di due contrapposte esigenze e cioè, da un lato, quella di garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale, e, dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile (Cass. n. 13355 del 2014). Bilanciamento che deve tener conto della natura dell’interesse del privato da salvaguardare, che ha per oggetto non già una situazione definita – non potendosi configurare, nel caso di specie, un diritto a conservare un termine prescrizionale – bensì un semplice affidamento a fruire del termine prescrizionale per far valere il proprio diritto, affidamento che deve essere tutelato in modo ragionevole ed equilibrato secondo i parametri da tempo precisati dalla Corte costituzionale”.

In applicazione di tali principi la Corte costituzionale ha affermato che l’intervento normativo successivo può incidere non solo su situazioni di mero affidamento, come nel caso di specie, ma anche su diritti soggettivi (C. Cost. 18 ottobre 2010 n. 302; C. Cost. 16 luglio 2009 n. 236).

Nella citata sentenza si è, inoltre, affermato che la realizzazione di tale bilanciamento viene individuata con riferimento alla soluzione adottata dal legislatore con l’art. 252 disp. att. c.c., disposizione alla quale deve attribuirsi il valore di regola generale così come affermato già dalla Corte Costituzionale con la sentenza 3.2.1994 n. 20 e ribadito da numerose sentenze della Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. n. 6173/2008, ed anche Cass. n. 5811/2010; n. 6705/2010; n. 25746/ 2009).

Osservano, ancora, le Sezioni unite che “Dal carattere di regola generale della disposizione citata consegue che non sussiste alcuna ragione per escludere l’applicazione della stessa ad una ipotesi, come quella in esame, nella quale per l’esercizio di un diritto venga disposto un termine di decadenza in precedenza non previsto. Come correttamente sottolineato da Cass. n. 25746 del 2009 sopra citata, poichè la decadenza è una forma di sottoposizione dell’esercizio di un diritto ad un termine, deve ritenersi che il principio generale posto dall’art. 252 disp. att. c.c., si applichi anche ad essa; analogamente non vi sono ragioni per distinguere il caso in cui la nuova legge accorci un termine già previsto per l’esercizio di un diritto rispetto al caso, come quello in esame, in cui la nuova legge introduca un termine in una fattispecie nella quale in precedenza alcun termine era previsto per cui si applicava l’ordinario termine di prescrizione ordinaria decennale”.

13. Sulla base di tali affermazioni deve affermarsi che le ragioni che hanno determinato la Corte di Cassazione a Sezioni unite ad affermare l’applicazione del termine di decadenza introdotto dal legislatore del 1997 con la L. n. 238, solo a decorrere dall’entrata della legge stessa convincono, del pari, a ritenere che anche il termine di decadenza introdotto dall’art. 42, in esame debba decorrere dall’entrata in vigore della norma stessa.

14. Anche nella fattispecie in esame, come si è detto, il legislatore ha introdotto un termine di decadenza prima non previsto senza tuttavia disciplinare la fase transitoria, con riferimento – cioè – alle richieste di prestazioni non ancora definite in ordine alle quali, non potendo la norma avere efficacia retroattiva, i principi generali enucleati dalle Sezioni unite nella citata pronuncia appaiono del tutto applicabili.

15. Si consideri che i principi affermati nella citata pronuncia delle Sezioni unite hanno trovato applicazione anche in altra fattispecie analoga a quella in esame con riferimento al D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 1, lett. d), n. 1), convertito in L. n. 111 del 2011. Detta norma ha stabilito, in ordine al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, che le decadenze previste dai commi precedenti sono applicabili anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito e che in tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte. Anche per tale fattispecie si è affermato che la norma debba trovare applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione (cfr. Cass. n. 7756/2016).

16. Resta un’ultima annotazione: corrobora il discostarsi dalla pregressa giurisprudenza di questa Sezione (menzionata nel paragrafo che precede sub 5) il rilievo che in essa “la comunicazione del provvedimento” viene considerata come fatto generatore della decadenza, mentre – a ben vedere – tale comunicazione segnala soltanto il dies a quo del termine di decadenza, il cui fatto generatore è sempre e soltanto (come avviene per tutti i termini di decadenza, così come per quelli di prescrizione) il mero decorso del tempo (sempre, s’intende, nel concorso della legge che a tale decorso del tempo abbia attribuito un determinato significato).

E sull’individuazione del dies a quo incidono le sopra ricordate considerazioni svolte dalla citata sentenza delle S.U..

17. Facendo applicazione di questi principi al caso in esame si deve constatare che erroneamente la Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di decadenza, atteso che il ricorso giudiziale è stato presentato ben oltre il termine di decadenza decorrente dall’1/1/2005.

18. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda.

19. L’esistenza d’una precedente difforme giurisprudenza consiglia di

compensare fra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda del C.; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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