Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29753 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 15/11/2019), n.29753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20247/2016 proposto da:

C.I.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO CARBONELLI;

– ricorrente –

contro

MANPOWER S.R.L., già MANPOWER S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO MOROSINI, 12, presso lo studio dell’avvocato IVAN CARPIGO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA LUISA

CAIMMI;

COPPER ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso

lo studio dell’avvocato BRUNO BELLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PIETRO BONARDI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 199/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/06/2016 R.G.N. 520/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo, rigetto del secondo motivo;

udito l’Avvocato ANTONIO CARBONELLI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE RAPISARDA per delega Avvocato PIETRO

BONARDI;

udito l’Avvocato IVAN CARPIGO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza n. 199/2016 del 3.6.2016, rigettava l’appello proposto da C.I.A. nei confronti di Manpower s.r.l., già Manpower s.p.a. (società di somministrazione) e di Copper Italia s.r.l. (società utilizzatrice) avverso la sentenza con cui il Giudice del lavoro del Tribunale di Brescia aveva respinto la domanda di costituzione, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, di un rapporto di lavoro subordinato del C. alle dipendenze della società utilizzatrice Copper Italia in relazione a numerosi contratti di somministrazione, prorogati più volte, intercorsi nel periodo compreso tra il 14.2.2008 e l’8.2.2013.

2. La Corte territoriale, premesso che il Tribunale aveva accolto l’eccezione di decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 4, poichè l’impugnazione stragiudiziale era stata proposta il 18 aprile 2013, oltre il termine di sessanta giorni decorrenti dalla scadenza dell’ultimo rapporto, osservava che era infondato l’appello proposto dal lavoratore, secondo il quale la decadenza introdotta dalla L. n. 183 del 2010, non poteva operare sui contratti costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge e comunque il termine per l’impugnativa stragiudiziale era di centoventi giorni (e non di sessanta), come previsto per i contratti a termine, con conseguente tempestività dell’impugnativa in relazione agli ultimi due contratti, stipulati rispettivamente il 7 e il 23gennaio 2013.

2.1. Relativamente alla prima censura, la Corte di appello osservava che era condivisibileibrientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 2420 del 2016, conf. Cass. 2734 del 2016) secondo cui, in tema di somministrazione di lavoro, la decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4 e la conseguente proroga di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione scaduti alla data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 preleggi, atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto, ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perchè ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività.

2.2. In ordine all’assunto per cui il termine di decadenza per l’impugnativa stragiudiziale sarebbe quello previsto dall’art. 32, comma 3, lett. a), nel testo modificato dalla L. n. 92 del 2012, la Corte territoriale osservava che la norma invocata dall’appellante si applica solo alle cause di impugnazione dei contratti a termine e non anche a quelle relative ai contratti di somministrazione; infatti, il tenore testuale della previsione anzidetta si riferisce alle sole questioni della nullità del termine apposto al contratto, come del resto confermato anche della stessa L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 12, il quale specifica che le nuove disposizioni di cui della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. a), “si applicano in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal l gennaio 2013”.

3. Per la cassazione di tale sentenza C.I.A. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui resistono con controricorso entrambe le società intimate.

4. All’adunanza del 26 marzo 2019 il Collegio ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per la trattazione in sede camerale e ha rinviato la causa per la fissazione della pubblica udienza.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

6. Parte ricorrente ha altresì depositato istanza di esonero dal versamento del contributo unificato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), in relazione all’art. 32, comma 3, lett. a) della stessa legge, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 11, lett. a), dovendosi applicare anche ai contratti di somministrazione a tempo determinato il termine di centoventi giorni per l’impugnativa stragiudiziale prescritto per i casi in cui si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto di lavoro.

Sostiene l’incongruità della soluzione accolta dal giudice di appello che porta a ritenere che i rapporti di somministrazione di manodopera sarebbero assimilabili ai contratti a termine quanto al ritenuto assoggettamento a regole limitative, quale l’applicazione del termine di decadenza di cui all’art. 32, comma 4, anche ai rapporti costituiti prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010 e quanto all’operatività dell’indennità onnicomprensiva di cui all’art. 32, comma 5, della stessa Legge, mentre non lo sarebbero quanto all’applicabilità di una regola, invece favorevole, costituita dal prolungamento del termine stragiudiziale per impugnare il contratto. Rileva come, in caso di accoglimento del primo motivo, non si sarebbe verificata alcuna decadenza in ordine all’impugnativa degli ultimi due contratti, stipulati nell’anno 2013.

2. Con il secondo motivo denuncia, in subordine, falsa applicazione dell’art. 6 L. n. 604 del 1966, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, in relazione agli artt. 111 e 14 preleggi (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte di appello ritenuto applicabile il termine di decadenza anche ai rapporti costituiti antecedentemente alla nuova disciplina (come i primi dei cinque contratti di utilizzazione stipulati), pur in assenza di disposizioni transitorie in tal senso.

3. Il primo motivo introduce una questione che va risolta – anche alla luce di elementi interpretativi desumibili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – nel senso della conferma della soluzione accolta dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata.

3.1. L’art. 32 (Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato) della L. n. 183 del 2010, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, così detta, al comma 1: “della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, commi 1 e 2, sono sostituiti dai seguenti: “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’ essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.

Il D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, conv. in L. 26 febbraio 2011, n. 10, ha introdotto il comma 1-bis, secondo cui “In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, comma 1, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”.

L’art. 32, comma 2, ha poi previsto che “Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento”.

Il terzo e il comma 4 dello stesso articolo hanno ulteriormente esteso l’operatività del suddetto regime, stabilendo – per quanto rileva ai fini interpretativi della questione oggetto del presente giudizio – che:

“3. Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:

a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

(….)

d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1,2 e 4 e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.

4. Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche: (…)

d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dal D.Lgsd. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”.

3.2. La L. 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) ha apportato alcune modifiche alla L. n. 183 del 2010, art. 32 (si omette, in questa sede, l’esame delle ulteriori modifiche apportate dal D.Lgs. n. 81 del 2015, estranee ratione temporis alla fattispecie in esame).

In particolare, della detta L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 11, lett. a), ha sostituito la lett. a) del comma 3 del citato art. 32 nei seguenti termini: “a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1,2 e 4 e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui del predetto art. 6, comma 1, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del comma 2 del medesimo art. 6 è fissato in centottanta giorni; b) La lettera d) è abrogata”.

La L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 12, poi, ha stabilito che “Le disposizioni di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 3, lett. a), come sostituito dal comma 11 del presente articolo, si applicano in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1 gennaio 2013”.

4. Le modifiche apportare dalla L. n. 92 del 2012, riguardano un termine di decadenza di centoventi giorni (in luogo dei sessanta) per l’impugnazione stragiudiziale, decorrente dalla cessazione del contratto, e un termine di efficacia di centottanta (dunque più breve di quello di quello di duecentosettanta giorni) per l’impugnazione giudiziale, per i casi in cui l’impugnativa riguardi la questione della “nullità del termine apposto al contratto”. Il comma 12 ribadisce che le nuove disposizioni di cui all’art. 32, comma 3, lett. a), si applicano in relazione alle “cessazioni di contratti a tempo determinato” verificatesi a decorrere dal 1 gennaio 2013.

5. Nessuna modifica è stata apportata dal legislatore ad altre fattispecie e, in particolare, per quanto interessa nella presente sede, all’ipotesi contemplata della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d): “…d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”. Per tali ipotesi continuano ad operare il termine (di decadenza) di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale e il termine (di efficacia) di duecentosettanta giorni per l’impugnazione giudiziale, perchè le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 11 e 12, non hanno inciso sulla disciplina di cui all’art. 32 per fattispecie diverse da quelle espressamente contemplate.

5.1. Giova ribadire che, trattandosi di ipotesi di lavoro somministrato ed essendo stato chiesto l’accertamento di un rapporto di lavoro “in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”, non può che trovare applicazione il comma 4, lett. d) di tale norma che dispone che: “le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:… d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”, ipotesi che differisce da quella in cui si chieda la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo al medesimo soggetto titolare del contratto, come nel caso in cui si faccia “questione della nullità del termine apposto al contratto”.

6. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 155 del 2014, nell’affermare che il nuovo regime introdotto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, si applica, nel suo complesso, a tutti i contratti a termine, cioè a quelli già scaduti alla data di entrata in vigore della legge, a quelli in corso di esecuzione e a quelli instaurati successivamente, ha ribadito il principio secondo cui, in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, il legislatore dispone di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza (ex plurimis: sentenze n. 10 del 2013, n. 17 del 2011, n. 82 e 50 del 2010, n. 221 del 2008).

6.1. E’ stato ricordato l’orientamento della giurisprudenza della stessa Corte, secondo cui la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis: sentenza n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004), per cui se le fattispecie poste a confronto sono diverse, le stesse non possono essere rese omogenee dalla previsione di un identico termine di decadenza, il quale ha come precipua finalità l’accelerazione dei tempi del processo: “…ed infatti, il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella, obiettivamente più grave, dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata. Difforme è, altresì, la situazione cui dà luogo la cessione illegittima del rapporto di lavoro, laddove, nelle more del giudizio volto ad accertarla, il rapporto corre con il cessionario e la garanzia retributiva rimane assicurata. Altro ancora, infine, è la somministrazione irregolare di manodopera, quando un imprenditore fornisce personale ad un altro al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge” (sentenza n. 303 del 2011, punto 3.3.3 del Considerato in diritto).

7. Pertanto, va esclusa la fondatezza della prospettata – da parte ricorrente assimilazione teorica tra l’ipotesi del contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata – quella, appunto, appositiva del termine – e quella della somministrazione irregolare di manodopera, quando un imprenditore fornisce personale ad un altro al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, dovendosi ribadire la differenza sostanziale che esiste tra la fattispecie in cui il rapporto, benchè a termine, è istaurato direttamente con colui che fruisce della prestazione quale datore di lavoro e quella della somministrazione che costituisce una relazione trilaterale, nella quale il lavoratore non istituisce un vincolo direttamente con chi utilizza la sua attività. Sicchè, considerata la non omogeneità delle due ipotesi, si può ritenere non “manifestamente irragionevole” la scelta normativa di mantenere differenti soluzioni circa la decadenza nelle fattispecie considerate.

8. Va pure osservato che, con riguardo alla normativa comunitaria, l’espressa esclusione, dal campo di applicazione della direttiva 1999/70/CE, dei lavoratori “messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale” (4 interlinea del Preambolo) dimostra che il legislatore Europeo ha ritenuto opportuno escludere espressamente il lavoro interinale dall’alveo della normativa al fine di rendere inequivocabile il campo di applicazione oggettivo dell’intervento (v. pure Cass. n. 10315 del 2017).

9. In conclusione: a) le situazioni messe a confronto sono diverse, non potendo assimilarsi l’azione per la nullità del termine con richiesta di costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo al datore di lavoro a termine all’azione diretta a far valere la somministrazione irregolare, con costituzione di un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, ossia a soggetto diverso dal datore di lavoro a termine; b) il legislatore ha ampia discrezionalità nella disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali con il solo limite della manifesta irragionevolezza.

10. Anche il secondo motivo è infondato, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi recentemente, di cui peraltro anche l’odierno ricorrente ha dato atto in sede di memoria difensiva (v. Cass. nn. 7788 del 2017, 12984, 24598, 30134, 30135, 30136 e 30153 del 2018 e, da ultimo n. 160 del 2019, che, dando continuità a Cass. n. 2420 del 2016, hanno definitivamente superato il contrario ed isolato avviso espresso da Cass. nn. 21916 del 2015 e 2462 del 2016).

11. Il ricorso va dunque rigettato, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità, stante la novità della questione oggetto del primo motivo del ricorso e il solo recente consolidamento della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla questione oggetto del secondo motivo del ricorso.

12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

12.1. Al contempo, occorre dare atto che risulta allegato al fascicolo processuale l’istanza di esonero dal versamento del contributo unificato, prodotta da parte ricorrente con il corredo di autocertificazione reddituale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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