Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29750 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 15/11/2019), n.29750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29507-2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTA AIAZZI, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2512/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/06/2016 R.G.N. 7474/2013.

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore, RILEVA che:

il sig. D.B.S. si rivolse al giudice del lavoro di Roma, impugnando il suo trasferimento di sede da (OMISSIS), disposto dalla datrice di lavoro POSTE ITALIANE S.p.a. in esecuzione della sentenza che aveva dichiarato la nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato. Infatti, Poste Italiane con provvedimento in data 11 novembre 2010, sul presupposto dell’impossibilità di impiego presso gli uffici situati nel Comune di (OMISSIS), assegnava il lavoratore all’ufficio postale di (OMISSIS). Detto trasferimento veniva, quindi, impugnato dall’interessato per asserita violazione dell’art. 2103 c.c.. L’adito giudice con sentenza del 3 luglio 2012 accoglieva la domanda dell’attore;

tale pronuncia veniva appellata da Poste Italiane S.p.a. con ricorso del 4 gennaio 2013, però respinto dalla Corte capitolina con sentenza n. 2512 in data 27 aprile – 16 giugno 2016, con la condanna inoltre dell’appellante al pagamento delle ulteriori spese di lite; avverso tale sentenza la società proponeva ricorso per cassazione con due motivi, come da atto notificato il 16-12-2016, cui ha resistito il D.B. mediante controricorso in data 24 gennaio 2017, notificato il giorno successivo, poi seguito da memoria illustrativa depositata in vista dell’adunanza in camera di consiglio fissata al 19 marzo 2019, per la quale, d’altro canto, sono stati dati tempestivi avvisi di rito a tutti gli aventi diritto.

CONSIDERATO che:

con il primo motivo di ricorso Poste Italiane ha denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione falsa applicazione dell’art. 38, punto 6, del contratto collettivo nazionale di lavoro, nonchè degli artt. 1362 e 1372 c.c. in ordine a decadenza dall’impugnativa del trasferimento per intervenuta quiescenza. Al riguardo la società ricorrente ha dedotto di aver eccepito che l’11 novembre 2010, data in cui il lavoratore si era presentato per la riammissione in servizio, lo stesso aveva preso atto che sarebbe stato trasferito a (OMISSIS) a causa dell’assenza di posti disponibili per le mansioni di addetto al recapito nel Comune di (OMISSIS). Soltanto con raccomandate del 18 novembre 2010 e dell’11 gennaio 2011 il dipendente aveva chiesto il riesame delle ragioni del trasferimento, ben oltre il termine previsto dal succitato art. 38, di giorni cinque dalla data di comunicazione del provvedimento, laddove nella specie il sig. D.B. già l’11 novembre aveva avuto contezza dell’indisponibilità dei posti, però omettendo di chiedere l’esame delle ragioni del trasferimento nel termine di giorni cinque dalla data di comunicazione provvedimento. Infatti il succitato art. 38 al punto 6 disponeva che qualora il lavoratore richieda alla società di riesaminare le ragioni oggettive di cui al comma 1, potrà anche designare un componente della RSU ovvero un rappresentante sindacale di un’organizzazione firmataria del presente contratto collettivo, per farsi assistere nell’incontro con il responsabile della funzione aziendale che ha disposto il trasferimento, assistito a propria volta dal competente responsabile delle risorse umane, mentre nel successivo settimo punto lo stesso art. 38 stabiliva che l’incontro di cui al comma precedente dovrà attenersi entro cinque giorni dalla data di comunicazione del provvedimento. Ad avviso della società ricorrente il silenzio serbato dalla controparte, che ben poteva dichiarare di non volersi avvalere della procedura di riesame di cui all’art. 38, aveva ingenerato un ragionevole affidamento in merito alla piena accettazione trasferimento da parte del dipendente. Pertanto, l’originaria domanda nei confronti di Poste Italiane doveva essere integralmente respinta, in ragione dell’intervenuta acquiescenza da parte dell’interessato ai trasferimento in questione e per la tardività dell’impugnativa, sicchè la sentenza d’appello andava riformata;

con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è stata denunciata la violazione falsa applicazione degli artt. 115 nonchè 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., con riferimento alla produzione documentale offerta della società, attestante la situazione di eccedentarietà del personale di recapito presso il Comune di provenienza e zone limitrofe alla data della riammissione, nonchè alla relativa prova testimoniale sul punto. Di conseguenza, l’onere probatorio era stato assolto dalla società convenuta. Per contro, la Corte territoriale aveva dichiarato l’illegittimità del trasferimento nell’erroneo convincimento che la società non aveva provato la situazione di eccedenza del personale di recapito nella zona di Roma, avuto riguardo alla deposizione della teste S. (“gli aggiornamenti dei posti disponibili, tenuto conto dei trasferimenti, delle cessazione dal servizio e delle altre ragioni di scopertura di organico, viene eseguita solo mensilmente”). A ben vedere, invece, la Corte capitolina aveva omesso, totalmente ed illegittimamente, secondo POSTE ITALIANE, di considerare quanto dichiarato in premessa dalla suddetta teste, la quale aveva precisato che “la risposta del sistema si riferiva alla situazione in essere nel giorno del colloquio – ovvero della riammissione, n.d.r. – L’aggiornamento giornaliero dei posti disponibili si riferiva alla copertura dei

posti provenienti da altre sedi nel senso che se altre sedi assegnavano i posti ad altri risultava subito”. La Corte territoriale, in particolare, aveva travisato l’anzidetta deposizione, perchè aveva confuso l’aggiornamento mensile dei comuni eccedentari, finalizzato alle comunicazioni alle oo.ss., con l’aggiornamento dei posti disponibili all’atto della riammissione, giusta quanto risultante dal documento “prenotazione posto”, che veniva effettuato, giornalmente, al momento della presentazione del lavoratore per il ripristino del rapporto, in osservanza dell’accordo del 29 luglio 2004. Ai fini dell’autosufficienza del ricorso Poste Italiane ha prodotto i suddetti elenchi mensili relativi ai comuni eccedentari, trasmessi alle oo.ss., la schermata web “prenotazione posto” riferita al giorno 11 novembre 2010, nonchè la stampata del file relativo agli uffici postali con disponibilità di recapito alla suddetta data con annessa dichiarazione responsabile di Risorse Umane Centro, che, in virtù della qualifica rivestita, confermava e sottoscriveva i dati di cui all’elenco allegato precisando che gli stessi costituivano le risultanze di un programma web di gestione delle ammissioni degli ex ctd alla suindicata data e che riguardavano tutti i comuni intermedi tra la sede di provenienza e destinazione del sig. D.B., allegati al stessi alla memoria di primo grado – documenti materialmente acclusi in copia al ricorso per cassazione da pagina 20 a 51. Pertanto, la società convenuta aveva provato documentalmente e in via testimoniale la situazione di eccedentarietà del Comune di Roma nonchè l’indisponibilità di posti per le mansioni svolte dal D.B. all’atto della riammissione in servizio dello stesso. Se la Corte territoriale avesse attentamente esaminato la suindicata documentazione e valutato correttamente la prova testimoniale acquisita sarebbe pervenuta alle conclusioni per contro raggiunte. Appariva, quindi, evidente la violazione falsa applicazione delle norme di legge disciplinanti il regime delle prove e, comunque, il difetto di un corretto esame della documentazione decisiva per il giudizio, poichè la Corte d’Appello aveva trattato e deciso la controversia come se la società avesse negligentemente omesso di dimostrare la situazione di eccedenza, quando invece si era in presenza di un evidente errore di valutazione sull’avvenuto puntuale assolvimento dell’onere probatorio da parte datoriale. Pertanto, la sentenza impugnata risentiva di un’erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., commessa dalla Corte territoriale nel non attribuire rilievo alla documentazione prodotta e alle prove acquisite, dirette a dimostrare proprio l'”inesistenza di comuni non eccedentari tra quello di provenienza e quello di assegnazione e l’inesistenza di posti disponibili nelle regioni limitrofe”. Inoltre, contrariamente a quanto rilevato dalla Corte distrettuale, la prova testimoniale aveva dimostrato la situazione di eccedentarietà presso il Comune di origine alla data dell’11 novembre 2010, conformemente alla previsione del suddetto accordo 29 luglio 2004. Quindi, in violazione degli artt. 115 e 116, non era stato attribuito il corretto rilievo alla testimonianze acquisite;

tanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile;

invero, quanto al primo motivo, la questione della decadenza per omessa impugnativa del trasferimento nel termine di cui al succitato art. 38 era stata già valutata e dichiarata, però, inammissibile dalla Corte distrettuale per difetto di pertinente confutazione sul punto da parte appellante rispetto al rigetto dell’eccezione di acquiescenza, sollevata dalla stessa società, sicchè quest’ultima con il ricorso per cassazione avrebbe dovuto, in via necessariamente preliminare, dedurre, ritualmente ed univocamente in termini di nullità, il vizio (error in procedendo) di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 434 c.p.c., circa la sua errata applicazione nel caso di specie, sostenendo la specificità e la pertinenza del motivo di appello all’epoca in proposito fatto valere, ciò che non risulta per contro in alcun modo allegato;

quanto, poi, alla seconda doglianza, relativa all’asserita violazione e falsa applicazione delle disposizioni di legge ivi indicate, anche detta censura appare inconferente, posto che in primo luogo non è in discussione, evidentemente, l’onere probatorio, disciplinato dall’art. 2697 c.c., nella specie indubbiamente e pacificamente a carico di parte datoriale, la quale infatti con il ricorso assume pure di averlo assolto, però con valutazioni contenutistiche di merito, estranee quindi alla portata dello stesso art. 2697, oltre che alle previsioni della c.d. critica vincolata consentita in sede di legittimità nei limiti di cui alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 360 codice di rito;

analogamente, in secondo luogo, deve osservarsi in ordine agli artt. 115 e 116 c.p.c., visto che le lamentele al riguardo mosse da parte ricorrente attengono in effetti alla valutazione delle acquisite risultanze istruttorie, però inammissibili in sede di legittimità, trattandosi di esame riservato al giudice di merito, competente al riguardo, quindi sindacabile in proposito esclusivamente nelle sole ipotesi di motivazione inferiore al c.d. minimo costituzionale occorrente a norma dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. (error in procedendo deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), di inosservanza di prove legali (nella specie insussistenti) e di omessa valutazione di fatti rilevanti e decisivi (art. 360 c.p.c., n. 5, vizio questo peraltro nella specie neanche deducibile per effetto di doppia conforme ex art. 348-ter c.p.c., u.c., per cui d’altra parte sul punto la ricorrente non ha nemmeno allegato, nè invero altrimenti dimostrato, diversità di valutazioni in fatto – circa la sussistenza, o meno, della succitata situazione di eccedenza – tra la sentenza di primo grado, appellata con ricorso del 4 gennaio 2013 e quella di secondo grado, in data 27.4 / 16.6.2016 – r.g. n. 66/2013, tenuto conto del regime transitorio di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, laddove ha disposto con l’art. 54, comma 2, che il nuovo art. 348-ter si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto medesimo – Legge Di Conversione 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata su G.U. n. 187 in data 11-82012 – Suppl. Ordinario n. 171, entrata in vigore il 12/08/2012-.

Cfr., quindi, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in ordine alle norme di cui si assume la violazione con il secondo motivo di ricorso:

Cass. Sez. 6 – 1, n. 1229 del 17/01/2019: una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione. In senso conforme Cass. Sez. 6 – L, n. 27000 del 27/12/2016;

Cass. I civ. n. 14267 del 20/06/2006: in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità;

Cass. lav. n. 13960 del 19/06/2014: la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Conforme Cass. n. 26965 del 2007; più precisamente, v. in part. Cass. III civ. n. 23940 del 12/10/2017: in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012;

– Cass. II civ. n. 24434 del 30/11/2016: in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità. Conforme Cass. n. 14267 del 2006;

– Cass. II civ. n. 2707 del 12/02/2004: le norme (art. 2697 ss.) poste dal Libro VI, Titolo II del Codice civile regolano le materie: a) dell’onere della prova; b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere; non anche la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, che è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., e la cui erroneità ridonda quale vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

Cass. Sez. 6 – 3, n. 26769 del 23/10/2018: in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non Introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.;

Sez. 6 – 3, n. 22598 del 25/09/2018: in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione – per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile – e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In senso conforme Cass. n. 23940 del 2017);

pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al pagamento delle relative spese, liquidate come da seguente dispositivo;

sussistono, quindi, anche i presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, atteso l’esito interamente negativo della qui proposta impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro =5000,00= (cinquemila/00) per compensi professionali ed in Euro =200,00= (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione all’avv. Roberto Rizzo, procuratore anticipatario costituito per il controricorrente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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