Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29747 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. I, 19/11/2018, (ud. 28/09/2018, dep. 19/11/2018), n.29747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8985/2015 proposto da:

C.E., in proprio, elettivamente domiciliato in Roma, via

Catanzaro n. 9, presso lo studio dell’avvocato Papadia Alberto

Maria, rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l.;

– intimato –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di PIACENZA, depositato il

13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2018 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Nell’ottobre del 2014, l’avvocato C.E. ha inviato al curatore del fallimento della s.r.l. (OMISSIS) una notula per il pagamento di date attività di assistenza giudiziale svolte per l’interesse della procedura. In risposta, il curatore gli ha comunicato di non essere in grado di provvedere a pagamenti.

L’avvocato ha allora rivolto la sua richiesta al giudice delegato. Che ha stabilito di procedere all’immediata soluzione di una parte della somma richiesta, per il residuo disponendo invece che il pagamento dovesse avvenire “al tempo in cui la procedura disporrà dei fondi necessari”.

2.- Avverso tale decisione l’avvocato C. ha proposto reclamo avanti al Tribunale di Piacenza. Dolendosi del fatto che il giudice delegato non abbia disposto l’immediato pagamento dell’intera notula, l’avvocato ha in particolare sostenuto che – nella mancanza della disponibilità occorrente nelle casse del fallimento – il giudice delegato avrebbe dovuto ammettere il fallimento al patrocinio a spese dello Stato e che, comunque, avrebbe dovuto liquidare la notula ai sensi dell’art. 146, comma 3 lett. c., del testo unico delle spese di giustizia, quale anticipazione a carico dell’erario delle spese e onorari agli ausiliari del giudice.

3.- Il Tribunale piacentino ha respinto il reclamo proposto dall’avvocato, rilevando prima di tutto l’inconferenza del richiamo alla norma dell’art. 146, in quanto questa riguarda esclusivamente le persone “investite dal magistrato… a svolgere un munus pubblico, derivante direttamente dall’incarico ricoperto dal primo”, mentre l’attività difensiva dell’avvocato “si inquadra nell’ambito di un rapporto privatistico”.

Passando poi al tema dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il Tribunale ha osservato che la mancanza di fondi necessari a sostenere le spese del giudizio avrebbe senz’altro consentito al fallimento di essere ammesso al detto patrocinio. Tuttavia, secondo la normativa vigente (e, in particolare, secondo quanto disposto dall’art. 78 del testo unico), l'”onere di proporre la relativa istanza al giudice delegato” spettava al solo curatore fallimentare, “nella sua qualità di parte interessata”, non (già o) anche all’avvocato C. o al giudice delegato, come operante ex officio; tale onere, del resto, avrebbe potuto essere utilmente assolto solo prima che il giudizio interessato fosse stato definito.

4.- Contro il detto provvedimento ricorre ora l’avvocato C., con ricorso affidato a un motivo di cassazione.

Il fallimento della s.r.l. (OMISSIS) non ha svolto difese nel presente grado di giudizio.

5.- Il motivo sviluppato dal ricorrente è intestato “violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 74,75,78,79,83,124,131,144 e 146, in relazione all’art. 111 Cost., all’art. 12 preleggi, e all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Nel merito, il motivo in sintesi sostiene che, trattandosi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato di una procedura fallimentare, viene di base in applicazione la norma dell’art. 144 T.U. (“nel processo in cui è parte un fallimento, se il giudice delegato attesta che non è disponibile il denaro delle spese, il fallimento si considera ammesso al patrocinio ai sensi e per gli effetti delle norme previste dalla presente parte del testo unico, eccetto quelle incompatibili con l’ammissione di ufficio”); e che questa disposizione va interpretata nel senso che “l’unica condizione per l’emissione del decreto (che comporta l’automatico intervento a favore della procedura) è costituita dalla conoscenza, da parte del giudice delegato, che tra i beni compresi nel fallimento non vi è denaro per gli atti richiesti dalla legge”.

6.- In critica alla motivazione addotta dal Tribunale di Piacenza e a supporto della diversa lettura così sostenuta, il ricorrente svolge un’articolata serie di osservazioni. Che si concentrano sul tema della “legittimazione esclusiva del curatore” a chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, secondo quanto è stato per l’appunto ritenuto dal provvedimento del Tribunale.

Ad avviso del ricorrente, dunque, va tenuto conto in proposito che la Corte Costituzionale (28 aprile 2006, n. 174) ha “introdotto il principio per cui tutti i professionisti, che prestano la loro opera nel contesto di una procedura fallimentare priva di fondi, possano comunque percepire il compenso per l’attività prestata”.

Va altresì tenuto conto che la norma dell’art. 144 prevede solo, se correttamente interpretata, che il giudice delegato – “venuto in qualsiasi modo a conoscenza della mancanza di fondi liquidi” – “deve attestare che non è disponibile il denaro necessario per le spese”.

Del resto, a volere fare riferimento alla norma dell’art. 78 (secondo la prospettiva assunta dal Tribunale), è da notare – prosegue il motivo – che la stessa “consente a chiunque, purchè “interessato”, di chiedere di essere ammesso al gratuito patrocinio”: non può ritenersi “corretto negare che l’avvocato, che ha difeso il fallimento e che deve percepire il compenso, non sia il più interessato all’ammissione della procedura del gratuito patrocinio”.

7.- Nel caso di specie – rileva ancora il ricorso -, il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione il fatto, decisivo nella prospettiva adottata e ampiamente sottolineato dallo stesso ricorrente, che il giudice delegato alla procedura dell'(OMISSIS) sin dalla fine del 2009 era sicuramente a conoscenza che non c’erano danari per pagare il difensore: lo stesso ricorrente gli aveva più volte “chiesto l’emissione del decreto per l’ammissione al gratuito patrocinio”.

8.- Il motivo di ricorso è inammissibile.

Lo stesso non si confronta con il decreto del giudice delegato, che è il provvedimento su cui si è innestato il reclamo poi deciso dal Tribunale di Piacenza, nè, prima ancora, con la richiesta che al giudice delegato aveva propriamente rivolto l’attuale ricorrente.

Oggetto tanto della domanda, quanto pure del correlato provvedimento, risulta essere solamente la liquidazione di una parcella relativa allo svolgimento di determinate attività professionali di assistenza giudiziale.

Rispetto a un siffatto oggetto, come inquadrato e definito dalla domanda a suo tempo formulata dall’avvocato C. (si ripete: di liquidazione di un onorario), il tema relativo all’ammissione al gratuito patrocinio rimane senz’altro estraneo.

Quand’anche si ritenesse poi possibile ampliare la prospettiva del provvedimento del giudice delegato fino a contenervi pure i presupposti causali del medesimo, gli stessi si fermerebbero inevitabilmente alla constatazione dell’attuale mancanza di liquidità delle casse del fallimento dell'(OMISSIS). Giacchè questa è, secondo quanto incontestato in giudizio, la ragione oggettiva dello spostamento nel tempo del pagamento della residua parte della parcella che è stata liquidata dal giudice.

9.- Ciò posto, il Collegio reputa peraltro di doversi soffermare sulla questione di particolare importanza che risulta sollevata nel ricorso, così utilizzando il potere che la norma dell’art. 363 c.p.c., assegna alla Corte di Cassazione di enunciare principi di diritto nell’interesse della legge.

Si tratta, precisamente, della questione relativa alla definizione dei soggetti legittimati a chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel caso di processo in cui sia parte un fallimento (e sia tuttora pendente; su quest’ultimo punto cfr. Cass., 10 settembre 2013, n. 20704). La questione fa dunque riferimento a un profilo di ricostruzione della disciplina gravitante sulla disposizione dell’art. 144, testo unico delle spese di giustizia.

La peculiare importanza della medesima è sottolineata dalla frequenza assai elevata in cui l’istituto del patrocinio a spese dello Stato trova pratica applicazione e riscontro nell’ambito delle procedure concorsuali. Sulle specificità proprie di tale problema non constano, d’altro canto, precedenti interventi di questa Corte.

10.- Nell’avviare il discorso, non sembra inopportuno puntualizzare che la questione, che viene qui affrontata, non mette in discussione il diritto al compenso dei professionisti incaricati della difesa giudiziale degli interessi di un fallimento, che è stato invocato dal ricorrente a mezzo del richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 174/2006. Il tema, nella specie, riguarda semplicemente le modalità attraverso le quali attivare il meccanismo del patrocinio a spese dello Stato.

L’unica interferenza che al riguardo si può ragionevolmente predicare dalla riconosciuta sussistenza di detto diritto al compenso, in effetti, è che per il curatore fallimentare comunque si tratterà, nel caso concretamente occorrente, del compimento di uno dei “doveri del proprio ufficio” di cui all’art. 38 legge fall., con il conseguente insorgere della relativa responsabilità anche risarcitoria.

11.- La norma dell’art. 144 del testo unico non affronta in modo esplicito e diretto il tema della legittimazione alla richiesta di ammissione per il caso di processo fallimentare. Nello stabilire in generale che “il fallimento si considera ammesso ai sensi e per gli effetti della presente parte del testo unico” – parte III “patrocinio a spese dello Stato”, come comprensiva delle norme dall’art. 74, all’art. 145 -, tuttavia, essa viene comunque a fornire, in modo univoco, il criterio di organizzazione e selezione normativa di questo profilo.

Che risulta appunto costituito dalla norma dell’art. 78 (“istanza per l’ammissione”), secondo cui “l’interessato che si trova nelle condizioni indicate nell’art. 76, può chiedere di essere ammesso al patrocinio in ogni grado e stato del processo”: all’indicazione delle condizioni di “reddito minimo” di cui all’art. 76, naturalmente, intendendosi sostituita l’attestazione della mancata disponibilità del “danaro delle spese”, che è prevista nell’art. 144.

12.- A proposito dell'”interessato” di cui all’art. 78, il ricorrente ha sostenuto che, in questa nozione, rientra senz’altro l’avvocato che ha difeso il fallimento, posto che questi ha appunto interesse a percepire il compenso spettantegli. Come si vede, questa interpretazione propone una nozione di “interessato” di tipo “debole”, aperto e diffuso, se non proprio indifferenziato.

Tale ricostruzione non risulta condivisibile. Come emerge dalla stessa costruzione sintattica della frase di legge, la norma dell’art. 78 identifica l'”interessato” nel soggetto destinato a godere in modo diretto del beneficio dell’ammissione: e questo – secondo quanto dichiara l’art. 74 del testo unico – è “il cittadino non abbiente”, le cui “ragioni risultino non manifestamente infondate”.

Del resto, quella sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è normativa che trova la propria giustificazione di fondo nell’attuazione del precetto costituzionale che intende garantire “ai non abbienti” i mezzi occorrenti per potere effettivamente difendere i propri diritti (art. 24 Cost., comma 3).

Non risulta apportare deviazioni rispetto a questo schema di base (per il profilo qui in interesse, quanto meno) la peculiarità di una protezione accordata, nel contesto della protezione in giudizio delle persone “non abbienti”, (anche) alle strutture fallimentari, nelle persone dei relativi curatori. Chè questa viene a spiegarsi, in conformità con la rilevazione compiuta dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 174/2006, con il “carattere pubblicistico del procedimento concorsuale”.

13.- E’ ancora da chiedersi se, nell’eventualità di una perdurante inerzia del curatore a presentare la richiesta di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, sia praticabile un intervento di tipo surrogatorio da parte di creditori della procedura (compresi, nel caso, pure quelli da attività di difesa giudiziale).

La risposta è di ordine negativo. Non basta, infatti, constatare in proposito l’estraneità alla problematica in discorso della norma della L. Fall., art. 51, posto che il tema non verte su “beni compresi nel fallimento”. E nemmeno è sufficiente escludere che, in ragione delle specificità della materia fallimentare, la richiesta di ammissione possegga quel carattere “personalissimo” che è fatto oggetto di speciale considerato nella parte finale della norma dell’art. 2900 c.c..

Decisivo appare piuttosto risultare, al riguardo, il rilievo dell’assegnazione in via esclusiva al curatore della gestione fallimentare, secondo l’organizzazione generale della procedura disposta dalla norma della L. Fall., art. 31, comma 1, che non tollera ingerenze di stampo gestorio – qual è, seppur solo di riflesso, quella data dall’azione surrogatoria – da parte dei creditori (fuori dagli ambiti assegnati al comitato dei creditori).

14.- Com’è naturale, la normativa generale sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non contempla l’ipotesi dell’ammissione di ufficio. Posto inoltre il silenzio serbato dalla norma dell’art. 144, pure l’ulteriore problema se il giudice delegato possa attestare anche d’ufficio la mancata disponibilità “del denaro delle spese”, così senz’altro determinando l’ammissione al patrocinio ai sensi dell’art. 144, non può che essere considerato rispetto al contesto della struttura organizzativa della procedura fallimentare attualmente prevista dalla legge.

Così delineata la prospettiva del problema, l’indicazione di un’attestazione d’ufficio non appare incontrare le coordinate di base del sistema oggi vigente. Che, a seguito della riforma del 2006, ha visto propriamente mutare la funzione riconosciuta al giudice delegato, passato da una posizione di sostanziale direzione della procedura al compito di “vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura” (L. Fall., art. 25, comma 1, e art. 31, comma 1): mal si concilia una simile funzione con il riconoscimento di poteri di “sostituzione diretta” nell’area di azione oggi assegnata alla “titolarità” al curatore (su questi concetti v., in generale, Cass., 4 giugno 2012, n. 8929).

Con l’impostazione della funzione del giudice delegato in chiave di vigilanza e di controllo è coerente, piuttosto, il potere di convocazione del curatore ai sensi della L. Fall., art. 25, comma 1, n. 3, nonchè, nel caso occorrente, quello di proporre la revoca del medesimo L. Fall., ex art. 37, comma 1.

15.- In base alle considerazioni esposte è possibile enunciare il seguente principio di diritto: “per il caso in cui il fallimento sia parte di un processo, il curatore ha legittimazione esclusiva a proporre istanza per l’ammissione del medesimo al patrocinio a spese delle Stato, senza che il giudice delegato possa procedere d’ufficio all’attestazione della mancanza di disponibilità del “denaro delle spese”, di cui al D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 144″.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, di misura pari a quello dovuto per il ricorso, a mente del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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