Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29745 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. II, 29/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10279/2016 proposto da:

R.M., MA.KI. S.R.L., elettivamente domiciliati in Roma, via

Degli Scipioni, 267, presso lo studio dell’avvocato Daniela Ciardo,

rappresentati e difesi dall’avvocato Cosimo Ruppi;

– ricorrenti –

contro

D.V.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale Giulio

Cesare n. 78, presso lo studio dell’avvocato Renato Botrugno,

rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Giuseppe Pagliarulo;

G.S.P., elettivamente domiciliato in Roma, via

Vito Artale 6, presso lo studio dell’avvocato Donato Toma,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE BRILLANTE;

C.M.R., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Delle

Belle Arti 2, presso lo studio dell’avvocato Francesca Potì,

rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Rita Cassone;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 786/2015 della Corte d’appello Di Lecce,

depositata il 13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Un gruppo di tre professionisti ( D.V.A., G.S.P. e C.M.R.) – premesso che avevano ricevuto dalla MA.KI. s.a.s. incarico finalizzato a fare ottenere alla società le agevolazioni finanziarie previste da un bando della Regione Puglia; che l’incarico comprendeva il mandato di seguire l’iter della pratica, sino all’ottenimento del provvedimento definitivo di concessione delle agevolazioni; che, una volta predisposta e presentata la domanda, i professionisti avevano sollecitato la cliente a curare gli adempimenti a suo carico nei termini improrogabili assegnati dall’amministrazione, sotto pena di revoca delle agevolazioni già concesse; che la revoca delle agevolazioni era poi effettivamente intervenuta – chiedevano e ottenevano dal Tribunale di Lecce, citando nel giudizio la MA.KI. s.r.l., risultante dalla trasformazione della MA.KI. s.a.s., e R.M., la condanna in solido dei convenuti al pagamento del corrispettivo pattuito, pari al 2,5% del contributo assegnato.

La Corte d’appello di Lecce, nel confermare la sentenza di primo grado, rigettava in primo luogo il motivo d’appello avente ad oggetto il difetto di legittimazione passiva di R.M.. Al riguardo rilevava che il R. era stato convenuto in giudizio non in proprio, ma quale ex socio accomandatario della MA.KI. s.a.s., come poteva agevolmente desumersi dall’atto introduttivo della lite, tenuto conto che la condanna era stata chiesta in solido con la società della quale egli era accomandatario al momento dell’assunzione della obbligazione. La corte di merito aggiungeva, sul piano dei principi, che ai sensi dell’art. 2500-quinquis c.c., la trasformazione della società obbligata, da società in accomandita semplice in società a responsabilità limitata, non comporta la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali sorte prima degli adempimenti previsti dell’art. 2500 c.c., comma 3, se i creditori sociali non abbiano consentito alla trasformazione. Nel caso di specie, tale consenso non risultava essere stato prestato.

La corte d’appello ricostruiva poi l’iter della vicenda, quale risultava dai documenti prodotti, traendone la conclusione che la pratica cui si riferiva l’incarico aveva avuto esito favorevole, essendo state accordate le agevolazioni richieste. Invero la revoca del beneficio era poi avvenuta per il mancato adempimento, nei termini improrogabili assegnati dall’amministrazione, degli adempimenti ulteriori a carico della società committente. Al riguardo essa precisava che la revoca del beneficio costituiva conseguenza di un comportamento negligente dell’interessata, che non poteva elidere gli effetti dell’avveramento della condizione in favore dei professionisti, verificatosi in concomitanza con la concessione delle agevolazioni. Ciò derivava dall’applicazione delle norme di cui agli artt. 1358 e 1359 c.c., che impongono di ritenere la condizione verificata quando sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa. Nelle condizioni miste, quale quella in esame, costituisce comportamento imputabile, ex art. 1359 c.c., non solo la condotta commissiva, ma anche quella omissiva, se la parte era tenuta a determinati comportamenti in relazione all’avveramento della condizione.

La corte d’appello aggiungeva che non occorreva nominare un consulente per accertare il quantum dovuto ai professionisti, in presenza di determinazione convenzionale del compenso.

Propongono ricorso per cassazione la MA.KI. s.r.l. e R.M. sulla base di due motivi.

I professionisti intimati resistono controricorso.

D.V.A. ha depositato il 21 ottobre 2020, una volta scaduto il termine accordato dall’art. 380-bis.1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 2313 c.c., in relazione all’art. 2500-quinquies c.c., ed all’art. 75 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.; contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: art. 360, nn. 3 e 5”.

Contrariamente da quanto sostenuto dalla corte d’appello, gli scritti difensivi avversari confermavano che il R. fu citato in giudizio in proprio e non nella qualità di ex socio accomandatario della MA.KI. s.a.s.. I ricorrenti censurano poi la sentenza per non avere la stessa corte d’appello considerato che, ai sensi dell’art. 2500 quinquies c.p.c., nella trasformazione della società di persone in società di capitali, il consenso dei creditori alla liberazione si presume, ogni qual volta la trasformazione sia stata resa pubblica secondo le modalità di cui all’art. 2504 c.c., a prescindere dalla spedizione della raccomandata. Si richiama a sostegno della tesi Corte Cost. n. 47 del 20 febbraio 1995, evidenziando che, nella specie, c’erano le condizioni per ritenere operante tale presunzione, in quanto i professionisti, a conoscenza della trasformazione, non si erano opposti. Ciò risultava sia dalla corrispondenza da essi spedita prima della causa, che aveva come destinataria esclusiva la MA.KI. s.r.l., sia dal loro comportamento processuale. Infatti, i professionisti, sui quali gravava l’onere di allegazione, non avevano contestato la trasformazione della società di persone in società di capitali, riconoscendone quindi le conseguenze.

2. Il motivo è infondato.

La trasformazione di una società non libera i soci a responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali anteriori alla iscrizione della delibera di trasformazione nel registro delle imprese, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione. Tale consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi di comunicazioni che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento, non hanno espressamente negato la loro adesione nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione (art. 2500 quinqies c.c.).

Secondo la Suprema Corte la comunicazione deve avere come oggetto specifico la trasformazione della società. Essa può consistere nella semplice notizia della trasformazione, non essendo necessario portare a conoscenza del destinatario l’intero contenuto della deliberazione. Infatti, la comunicazione serve soltanto a metterlo in grado di tutelare i propri interessi, manifestando il proprio dissenso alla liberazione (Cass. n. 11994/2002).

Il ricorrente sostiene che il consenso voluto dalla legge può essere espresso tacitamente, indipendentemente dalla spedizione di una raccomandata. Il rilievo confonde due problemi diversi: la necessità della raccomandata riguarda non la manifestazione di consenso dei creditori alla liberazione, ma la forma della comunicazione della trasformazione, che può avvenire per lettera raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento. La giurisprudenza già ammetteva la notificazione a mani proprie a mezzo ufficiale giudiziario. Quanto al consenso dei creditori alla liberazione, non si pone un problema di forma, perchè questo si presume in conseguenza del semplice silenzio protratto per sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione. In verità il ricorrente, attraverso tali impropri riferimenti, vorrebbe accreditare la diversa idea che, ai fini della operatività della presunzione di consenso, possa supplire una conoscenza della trasformazione comunque acquisita da parte dei creditori.

Tale possibilità invece non sussiste, potendosi avere un consenso “presunto” esclusivamente per effetto della comunicazione che abbia quale oggetto specifico la trasformazione. Alla mancata comunicazione non possono supplire nè la conoscenza acquisita aliunde della stessa trasformazione da parte dei creditori (Cass. n. 8530/2008); nè l’invio di atti ai medesimi dai quali l’avvenuta trasformazione sia riconoscibile; tanto meno è sufficiente la notizia legale dell’avvenuta trasformazione che deriva dalla pubblicità della delibera, come infondatamente adombrano i ricorrenti.

Il richiamo di Cost. n. 47 del 1995 non apporta alcun argomento alla tesi del ricorrente. Nulla si legge in questa pronuncia che possa autorizzare la illazione che il termine accordato ai creditori per manifestare il dissenso verso la liberazione dei soci illimitatamente responsabili debba farsi decorrere non dalla comunicazione della trasformazione, ma dal compimento della pubblicità della relativa delibera.

3. I professionisti hanno agito nei confronti della società di capitali, derivante dalla trasformazione della società di persone (art. 2498 c.c.) e nei confronti del socio illimitatamente responsabile della società di persone che aveva effettuato la trasformazione. La corte di merito, sulla base della interpretazione degli atti processuali, ha ritenuto che il R. fosse stato chiamato nel giudizio nella qualità di socio accomandatario e non in proprio. Contro tale interpretazione, i ricorrenti oppongono stralci degli scritti difensivi avversari e degli atti processuali che dovrebbero provare il contrario, ma che in realtà non contraddicono l’assunto del giudice di merito. E a un attento esame, non lo contraddicono perchè i ricorrenti sollevano una questione priva di rilevanza, perchè la qualità di (ex) socio accomandatario non attiene alla vocatio in ius, ma integra il fondamento giustificativo della domanda proposta dai creditori sociali nei confronti del R., i quali, appunto, hanno convenuto in giudizio la persona fisica in ragione della sua pregressa qualità di socio accomandatario della società poi trasformata in società di capitali. Si ricorda che “la responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni sociali, prevista dall’art. 2313 c.c., è personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo del creditore di escutere il patrimonio sociale (artt. 2304 e 2318 c.c.)” (cfr. Cass. n. 3022/2015; n. 18312/2007).

4. Il secondo motivo denuncia – violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1353,1358 e 1359 c.c., in relazione con gli artt. 1325,1362,1375 e con l’art. 2233 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 2232 e 2233 c.c.; omessa e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.

Il motivo propone due censure:

a) La condizione prevista nel contratto, alla quale era subordinato il diritto dei professionisti al compenso, aveva per oggetto non il semplice ottenimento del beneficio, ma implicava l’erogazione del contributo: in assenza di erogazione non poteva ritenersi verificata. Non c’erano neanche i presupposti per l’operatività della finzione di avveramento, tenuto conto che il contenuto del dovere previsto dagli artt. 1358 e 1359 c.c., delineato con la clausola di buona fede, non può essere inteso come obbligazione a far realizzare la condizione, “qualora uno specifico patto in tal senso non risulti dal contratto sottoposto a condizione”.

b) La corte d’appello era poi incorsa in un ulteriore errore di diritto, allorchè ha riconosciuto come dovuto l’intero corrispettivo contrattuale, nonostante la prestazione fosse stata eseguita dai professionisti solo in parte. Infatti, l’incarico aveva un contenuto più ampio, prevedendosi prestazioni ulteriori pacificamente non compiute a causa della revoca del beneficio (attività di verifica e di rendicontazione dello stato di avanzamento dei lavori). La corte d’appello, perciò, avrebbe dovuto determinare la somma spettante per la prestazione effettivamente svolta, utilizzando quale criterio per la determinazione del compenso, la convenzione stipulata dalle parti. Essa, invece, si è limitata a dare atto che il compenso fosse quello pattuito (rigettando la richiesta di consulenza tecnica, unico mezzo di effettivo accertamento del dovuto), consentendo così ai professionisti una vera e propria locupletazione.

5. La prima censura è infondata.

La condizione “potestativa mista” – il cui avveramento dipende in parte dal caso o dal terzo e in parte dalla volontà di uno dei contraenti – è soggetta alla disciplina degli artt. 1358 e 1359 c.c., da intendersi riferita anche al segmento non casuale (Cass. n. 23014/2012; n. 7405/2014; n. 16501/2014).

La corte di merito ha ritenuto che la condizione si fosse verificata in dipendenza della concessione del beneficio, essendo la erogazione poi mancata per un comportamento negligente della società. Tale accertamento, di cui il giudice di merito ha dato congrua e razionale motivazione, implica un giudizio di fatto, da compiersi attraverso la valutazione delle risultanze di causa. Esso, perciò, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 4070/1974; n. 1468/1974).

6. La seconda censura di cui al motivo in esame è fondata.

Nel contratto di prestazione di opera professionale il cliente può sempre recedere dal contratto, pagando al prestatore d’opera le spese sostenute e il compenso per l’opera svolta (art. 2237 c.c., comma 1). Il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che il compenso è dovuto non per tutta l’opera commessa, ma solo per l’opera svolta. Pertanto, se vi è stata tra le parti una valida determinazione convenzionale del compenso, essa- salvo che le parti stesse abbiano manifestato una volontà contraria – rimane pur sempre applicabile anche nel caso di recesso del cliente, con la sola conseguenza che il compenso pattuito per l’intera opera dovrà essere proporzionalmente ridotto in relazione all’opera prestata (Cass. n. 1736/1968; n. 2558/1973; n. 1760/1980).

Il compenso per l’opera svolta deve essere determinato secondo i criteri di cui all’art. 2233: “sicchè, in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all’intero compenso” (Cass. n. 10444/1998).

La sentenza non è in linea con tali principi.

In presenza della contestazione dei ricorrenti, i quali avevano eccepito che l’incarico comprendeva prestazioni ulteriori che supponevano la erogazione del beneficio e, quindi, pacificamente non compiute, la corte d’appello, una volta accertato che la condizione si era verificata, non poteva riconoscere automaticamente come dovuto l’intero corrispettivo contrattuale. In applicazione dei principi di cui sopra, essa avrebbe dovuto preventivamente verificare, avuto riguardo al contenuto e all’ampiezza dell’incarico, se l’esecuzione fosse stata o no integrale al momento della revoca.

7. La sentenza deve essere pertanto cassata in relazione al secondo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, affinchè determini il compenso in conformità ai principi di cui sopra.

La corte di rinvio liquiderà le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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