Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29744 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. I, 19/11/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 19/11/2018), n.29744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2477/2014 proposto da:

Italsime S.r.l., già S.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Adriana n. 8

presso lo studio dell’avvocato Gambardella Daniela, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Biasiotti Mogliazza

Giovanni Francesco, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Cesare Beccaria n. 9, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Anziano Daniela

e De Ruvo Gaetano, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6060/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/09/2018 dal cons. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Italsime s.r.l. ricorre a questa Corte onde sentir cassare l’epigrafata sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma, respingendone il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado che, in merito al contratto di appalto in essere con l’INPS “per l’acquisizione dei dati relativi alle posizioni assicurative dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari e dei prosecutori volontari dei versamenti”, aveva disatteso le domande di essa ricorrente in punto di compenso per gli oneri aggiuntivi sostenuti in dipendenza delle anomalie presenti nei dati oggetto di lavorazione e di ristoro dei danni conseguenti alla riduzione dei flussi lavorativi e al mancato rispetto da parte dell’INPS degli accordi presi con il Ministero del Lavoro per l’affidamento di nuove commesse, in vista delle quali si era reso necessario adeguare la capacità produttiva con ovvio aggravio di costi ed, in ultimo, del maggior danno da svalutazione monetaria.

Il mezzo proposto si vale di otto motivi ai quali replica l’INPS con controricorso.

Memoria della parte ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Il Collegio, ricordati i precedenti già intervenuti tra le parti e più generalmente osservato che le considerazioni sviluppate nella memoria non evocano questioni che non abbiano già formato oggetto di pronunciamento da parte di questa Corte, rileva che con i primi tre motivi di ricorso la ricorrente censura il capo della decisione impugnata afferente agli oneri aggiuntivi di cui essa aveva chiesto il compenso per le impreviste operazioni di precontrollo dei modelli, pervenuti completamente alla rinfusa da sedi diverse, nonchè per le operazioni aggiuntive che si erano rese necessarie per lo stato dei bollettini, che avevano obbligato l’affidataria ad effettuare una preliminare attività di preparazione al fine di rendere i dati lavorabili.

2.2. La detta decisione sarebbe perciò, nell’ordine, errata in diritto perchè assunta in violazione dell’art. 1655 c.c., degli artt. 1362,1363 e 1367 in relazione agli artt. 1, 3, 5, 7 e 14 del capitolato speciale di appalto e degli artt. 1346,1355 e 1366 c.c., atteso che se il decidente avesse correttamente interpretato il capitolato d’appalto secondo le ricordate regole ermeneutiche non sarebbe pervenuto alla conclusione, fondata sull’inciso conclusivo dell’art. 14 del capitolato (“si intende a carico della ditta ogni altro onere connesso con l’esecuzione del servizio”), di ritenere comprese nell’oggetto dell’appalto anche le impreviste operazioni di precontrollo, sottolineando in tal senso anche il fatto notorio che le condizioni in cui si trovavano i documenti sarebbero state riconoscibili dall’appaltatrice prima della stipulazione del contratto, giacchè così ragionando, oltre a violare gli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., aveva finito con l’attribuire al contratto un oggetto indeterminato sottoponendolo, oltre tutto, alla condizione potestativa dell’appaltante, che avrebbe potuto variare a proprio piacimento la misura degli obblighi gravanti sulla controparte (primo motivo); sarebbe, poi, stata assunta in violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., giacchè, da un lato, il fatto notorio, in ragione dei volumi di documenti da trattare, non avrebbe potuto essere affatto conoscibile e, dall’altro, esso era stato rilevato senza che l’INPS ne avesse fatto menzione alcuna nelle proprie difese (secondo motivo); sarebbe, infine, sempre errata in diritto, oltre che viziata per omesso esame di un fatto decisivo, nella specie comprovato dalla corrispondenza intercorsa, con riferimento alle lavorazioni imposte dalla inidoneità dei bollettini alla lettura ottica, per violazione dell’art. 1655 c.c. e art. 167 c.p.c., dal momento che, contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello che aveva ritenuto indimostrate le relative pretese, l’INPS “pacificamente” non aveva mai contestato questo assunto e sussisteva la prova documentale delle richieste di questo intese ad apportare sostanziali modifiche alla procedura di acquisizione (terzo motivo).

2.3. I sopradetti motivi non meritano adesione.

2.4. Quanto al primo, a suffragio dell’infondatezza delle doglianze in diritto – cui va limitato lo scrutinio risultando tardiva l’allegazione di cui si legge alla pagina 6 della memoria – vale qui reiterare ciò che questa Corte ha già avuto modo di affermare in relazione ad un’analoga vicenda che ha visto le parti confrontarsi sul medesimo tema di diritto (Cass., Sez. 1^, 30/05/2017, n. 13533).

Nell’occasione – ove parimenti si dibatteva dell’interpretazione resa dal decidente in merito ad una clausola contenuta in un contratto di appalto concluso tra Italsime ed INPS, la cui legittimità era stata contestata dalla ricorrente Italsime deducendo, come qui, la violazione delle norme di ermeneutica, in relazione alle disposizioni recate dal capitolato speciale, nonchè la violazione degli artt. 1346,1355 e 1655 c.c., – la Corte ha replicato con motivazione reiterata anche in successive occasioni (Cass., Sez. 1^, 2/11/2017, n. 26068; Cass., Sez. 1^, 28/05/2018, n. 13301; Cass., Sez. 1^, 31/05/2018, n. 13993; Cass., Sez. 1^, 9/07/2018, n. 18002; Cass., Sez. 1^, 9/07/2018, n. 18003) – a cui il collegio – pur con i limiti ora indotti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass., Sez. 2^, 13/08/2018, n. 20718) – intende prestare adesione, osservando quanto alla denunciata violazione dei canoni interpretativi previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg., che “l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., sempre che il ricorrente faccia esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti e precisi in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità”, di talchè, in applicazione del citato principio, la lettura delle risultanze contrattuali espletata nel caso che ne occupa dal giudice capitolino non è suscettibile di rimeditazioni, ove egli abbia inteso ricomprendere nella dizione “ogni altro onere connesso all’esercizio del servizio”, anche le attività per cui è causa, facendo seguire a questo rilievo la considerazione che “il dato assorbente” era nella specie costituito dalla “circostanza che non risulta che il contratto ed il capitolato prevedessero una specifica modalità di “confezionamento” dei dati da trasmettere a Italsime”.

2.5. Infondate a giudizio del medesimo arresto – da condividersi anche in parte qua – vanno poi reputate anche le ulteriori doglianze oggetto di denuncia con il motivo – che la ricorrente argomenta come ricadute negative dell’interpretazione accolta dalla Corte d’Appello – atteso che “l’oggetto del contratto si deve, invero, considerare indeterminabile nel solo caso in cui l’individuazione del bene o del servizio non sia desumibile dagli elementi contenuti nell’atto, ma sia rimessa ad una successiva scelta di uno dei contraenti, restando irrilevante, a tal fine, l’eventuale adempimento della controprestazione”, diversamente risultando quello pattuito nella specie tra le parti tutt’altro che viziato sotto il denunciato profilo, posto che, come si evince dall’integrale trascrizione dell’art. 1 del capitolato d’appalto, “l’appalto concerne l’acquisizione dei dati relativi alle posizioni assicurative dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari e dei prosecutori volontari…”, il che non esclude che, come ravvisato dal decidente rigettando la relativa pretesa in punto di oneri aggiuntivi, la prestazione dovuta dall’appaltatore fosse comprensiva anche del confezionamento dei dati da lavorare; e ancora che, in presenza di una volontà espressa da entrambe le parti circa la determinazione dell’oggetto del contratto, qual è quella così accertata dal decidente, “non è neppure conferente il riferimento – operato dalla ricorrente – alla condizione meramente potestativa ex art. 1355 c.c., vero che la condizione può definirsi tale solo quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte medesima di ritenersi vincolata dal contratto”.

2.6. Il rigetto del primo motivo non è senza riflessi riguardo al secondo motivo che deve reputarsi assorbito.

Invero, poichè il capo della decisione oggetto di gravame risulta sorretto dalla duplice affermazione che in direzione dell’imputazione all’appaltatrice degli oneri aggiuntivi militano l’interpretazione dell’art. 14 del capitolato e la circostanza che l’impresa abbia aderito al contratto malgrado le lamentate anomalie procedurali, il fatti che, rigettando il primo motivo, la prima affermazione resti incensurata ed appresti in tal modo valido fondamento alla decisione impugnata rende superfluo l’esame delle altre questioni ed esclude perciò la necessità o la possibilità di provvedere su di esse (Cass., Sez. I, 27/12/2013, n 28663).

2.7. Infondate sono anche le doglianze allegate con il terzo motivo di ricorso.

Va, invero, osservato quanto all’allegazione in diritto, che secondo la giurisprudenza di questa Corte “il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (Cass., Sez. 6^-3^, 22/05/2017, n. 12840). E tuttavia, nella specie non solo la ricorrente si astiene dal dar corso al predetto onere, ma offre la prova del contrario asserendo, in chiusa della deduzione, che l’INPS, con l’evidente scopo di non assecondare la pretesa, aveva affermato nell’occasione “che si trattava di lavori già previsti e comunque compresi nel capitolato d’appalto”.

Va da sè. poi, quanto alla doglianza motivazionale che, nella declinazione del relativo vizio da parte del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cui la specie soggiace ratione temporis l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7/04/2014, n. 8053)..

3.1. Con il quarto motivo di ricorso la Italsime si duole della contrarietà dell’impugnata sentenza all’art. 2697 c.c. e agli artt. 115 e 167 c.p.c., dal momento che il giudice d’appello avrebbe rigettato la domanda risarcitoria in punto di danno da ritardato svincolo della fideiussione e da fermo operativo dovuto al mancato rispetto da parte dell’INPS dei calendari di lavorazione giudicandola indimostrata, quantunque le emergenze probatorie di causa comprovassero il contrario, onde la motivazione adottata sarebbe per questo illegittima.

3.2. Come si è già affermato altrove tra le medesime parti, la doglianza è inammissibile.

Tramite la sua rassegnazione la ricorrente richiede, infatti, “una vera e propria rivisitazione” delle difese spiegate in prime cure e del materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio di merito e già esaminato dal giudice di appello, al fine di pervenire a conclusioni diverse favorevoli alle tesi difensive sostenute in giudizio, sulla base di una diversa ricostruzione dei fatti di causa.

Si è osservato allora – e si deve ribadire ora – che si è così in presenza “di deduzioni del tutto inammissibili in questa sede, non potendo di certo la Corte operare un riesame degli elementi di prova già sottoposti al vaglio del giudice di seconde cure, onde trarne conseguenze favorevoli alle aspettative del ricorrente, trattandosi, com’è evidente, di una richiesta inammissibile in sede di legittimità”, e ciò perchè “il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto incompatibile con il giudizio di legittimità”.

4.1. Con il quinto motivo di ricorso si sostiene con riferimento agli oneri aggiuntivi, nonchè con riferimento alla riduzione dei flussi lavorativi, che la decisione sia errata in diritto perchè assunta senza applicare l’art. 2735 c.c., in relazione all’art. 1703 c.c., in violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., ed ancora viziata dall’omesso esame di un fatto decisivo, atteso che, da un lato, il giudice d’appello, discostandosi, come già il primo giudice, dalle risultanze della Commissione istituita internamente all’ente appaltante per verificare la sussistenza delle criticità denunciate anche in relazione a vicende analoghe, aveva erroneamente qualificato il relativo documento come prova atipica, ancorchè esso avesse natura di confessione stragiudiziale, avendo la Commissione agito su mandato dell’ente appaltante, e potesse in ogni caso utilizzarsi come prova diretta, trattandosi di documento proveniente da una delle parti; dall’altro, aveva omesso di valutare ai fini della sua rilevanza probatoria l’esito sul punto dell’espletata prova testimoniale.

4.2. Entrambe le allegazioni risultano affette da pregiudiziale inammissibilità.

Ed invero quanto agli enunciati profili di diritto, quantunque sia vero che anche nelle precedenti fasi del giudizio il tema delle risultanze delle indagini affidate Commissione di inchiesta interna all’ente abbia formato oggetto di disamina ed abbia indotto il decidente ad escluderne la decisività sul rilievo che, costituendo esse fonte di una prova atipica, non risultavano agli atti “altri elementi probatori con riferimento al preteso compimento di operazioni non dedotte in contratto idonee ad intengrare il valore indiziario della stessa”, le questione di che trattasi, e che oggi si vorrebbe sottoporre al giudizio di questo collegio, non hanno tuttavia costituito materia di alcun confronto processuale, onde ne deve per questo essere rilevata la novità, con la conseguenza che ne è perciò precluso l’esame in questa sede, non essendo, com’ è noto prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito (Cass., Sez. 6^-1^, 9/07/2013, n. 17041).

Anche la seconda allegazione condivide la medesima declaratoria, essendosi già osservato che l’omesso esame di elementi istruttori non è ragione di un vizio motivazionale denunciabile alla stregua del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.1. Il sesto motivo di ricorso investe il capo della decisione impugnata afferente al mancato riconoscimento del danno conseguente alla riduzione dei flussi lavorativi, dedotto dalla ricorrente sul presupposto che l’INPS, malgrado gli impegni contrattuali assunti, aveva proceduto a consegnare un numero di modelli da sottoporre ad elaborazione minore di quello concordato, così da subire un danno complessivo per mancato guadagno e danni economici derivanti dal mancato utilizzo della struttura. In particolare, allega la ricorrente, la decisione, dell’avviso in parte qua, che la specie soggiaccia all’applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 11 e che l’art. 4 del capitolato fornisca al riguardo un dato meramente indicativo, risulta errata in diritto perchè viola l’art. 1655 c.c., gli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., l’art. 1355 c.c. e il R.D. n. 2440 del 1923, art. 11, in quanto omette di interpretare le norme del capitolato alla luce del contratto di appalto e della Delib. n. 59 del 1982, adottata dall’ente ai fini dell’affidamento dell’incarico e riconosce all’INPS la facoltà potestativa di variare il volume dei dati da trattare; e risulta altresì viziata in motivazione giacchè “la panoramica generica” sul contenuto degli atti richiamati dal decidente “è palesemente omessa in relazione agli altri documenti prodromici a quello esaminato che avrebbero dovuto obbligatoriamente esaminarsi”.

5.2. Il motivo non può trovare seguito alcuno.

Osservato ancora, quanto alla dedotta violazione motivazionale, che nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cui la specie soggiace, come detto, ratione temporis l’omesso esame di un documento non concreta il vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo, onde la relativa allegazione si rivela inammissibile, circa le pure sollevate obiezioni di diritto occorre rimarcare in linea di fatto che il giudice d’appello nel respingere le avverse pretese ha richiamato l’attenzione sul fatto che il capitolato (art. 4 richiamato in contratto) attribuisse “valore puramente indicativo” ai volumi di lavoro, significando che essi potevano anche subire variazioni in più o in meno anche per l’adozione di nuovi sistemi organizzativi da parte dell’INPS, fatto in soccorso della cui assorbenza decisoria convergono il principio – già speso dalla Corte in relazione alle medesime parti in occasione delle pregresse pronunce tra di esse intervenute -, in guisa del quale “nei contratti di diritto privato stipulati da un ente pubblico, la volontà negoziale – i cui vizi possono essere fatti valere dall’ente medesimo a norma dell’art. 1441 c.c. – deve essere tratta unicamente dalle pattuizioni intercorse tra le parti contraenti e risultanti dal contratto tra le stesse stipulato, interpretato secondo i canoni di ermeneutica stabiliti dagli artt. 1362 c.c. e segg., mentre le deliberazioni dei competenti organi dell’ente hanno rilevanza ai soli fini del procedimento formativo della volontà di uno dei contraenti” (Cass., Sez. 3^, 24/07/2013, n. 17946).

6.1. Il settimo motivo di ricorso concerne il capo della decisione impugnata in cui la Corte d’Appello prende posizione, per respingerlo, in ordine al preteso ristoro delle perdite economiche accusate dalla ricorrente in conseguenza della mancata attuazione degli impegni assunti dall’INPS per l’implementazione di nuove commesse, ricusato sulla considerazione che all’accordo raggiunto presso il Ministero del Lavoro, dal quale gli impegni in questione discenderebbero, “non può attribuirsi forza vincolante” per l’INPS, avuto riguardo alla sua qualità di soggetto pubblico e stante il difetto di una sua sottoscrizione.

Esso è, nello specifico, censurato sotto il profilo dell’asserita violazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., dal momento che se la Corte d’Appello avesse esaminato le Delib. n. 59 del 1982 e Delib. n. 117 del 1982 e l’accordo ministeriale del 26.5.1982 secondo la loro successione temporale e la loro concatenazione giuridica, avrebbe dovuto riconoscerne il collegamento negoziale e non avrebbe potuto perciò escluderne la vincolatività in capo all’INPS, diversamente non essendo dato di conoscere in base a quali elementi letterali e di comportamento la Corte sia pervenuta al convincimento enunciato.

6.2. Il motivo non può trovare seguito.

Previamente rilevata invero la non scrutinabilità del dubbi motivazionali rassegnati dalla ricorrente in chiosa del motivo per evidente estraneità al novellato dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto alle pure spiegate doglianze di diritto – di cui parimenti andrebbe previamente dichiarata l’inammissibilità in quanto dirette a promuovere una rinnovazione del giudizio di fatto che ha indotto il decidente di merito a disattendere ogni conferenza all’argomento tratto dall’attività deliberativa dell’ente – la loro infondatezza consta dalla palmare aderenza del deliberato in disamina al comando nomofilattico dispensato da questa Corte nel citato precedente a cui si è fatto richiamo nell’esame del sesto motivo di ricorso, che tributa esclusiva rilevanza, nelle negoziazioni di diritto privato concluse dalla P.A., alla sola volontà enunciata dalle pattuizioni contrattuali, interpretate in conformità ai canoni di ermeneutica contrattuale senza alcuna inferenza eccerpibile dalle attività deliberative rilevanti ai soli fini del procedimento formativo della volontà di uno dei contraenti.

Si legge infatti in sentenza, una volta escluso, come visto, che si possa attribuire efficacia vincolante nei confronti dell’ente all’accordo raggiunto presso il Ministero del Lavoro, che “tale forza va riconosciuta soltanto ai contratti di appalto successivamente sottoscritti dall’INPS. Deve ricordarsi infatti che per il perfezionamento dei contratti stipulati dagli enti pubblici è necessaria una manifestazione documentale della volontà negoziale da parte del rappresentante dell’ente, alla quale deve comunque seguire l’accettazione anch’essa in forma scritta della proposta da parte del destinatario”. E questo basta a mettere la decisione al riparo dalla censura sollevata.

7.1. L’ottavo motivo lamenta, in ordine al capo della decisione impugnata che ha ricusato il pretesto ristoro del maggior danno da svalutazione monetaria per difetto di prova, la violazione dell’art. 1224 c.c., contrastando l’affermazione de qua con il contrario insegnamento di Cass., Sez. U, 16/07/2008, n. 19499.

7.2. Anche qui soccorre esaustivamente nel senso dell’infondatezza della censura – sul preliminare rilievo che le somme liquidate dai decidenti di merito afferivano ad obbligazioni espressamente ritenute di valuta – quanto questa Corte ha già statuito tra le medesime parti, facendo notare che “è bensì vero che questa Corte ha più volte affermato che, in caso di inadempimento di un’obbligazione di valuta il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., spettante a qualunque creditore ne chieda il risarcimento, senza necessità di inquadrarlo in una apposita categoria, è determinato in via presuntiva nell’eventuale differenza, durante la mora, tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e il saggio degli interessi legali (Cass. Sez. U. 16/07/2008, n. 19499; Cass. 16/02/2015, 3029; Cass. 26/02/2015, n 3954), e tuttavia, a fronte della statuizione della Corte territoriale che ha rigettato la domanda per difetto di prova, la ricorrente non ha neppure allegato, come era suo onere, che nel corso della mora, il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi fosse stato superiore – evenienza del tutto eventuale ed ipotetica – al saggio degli interessi legali nello stesso periodo” (Cass., Sez. 1^, 30/05/2017, n. 13533).

8. Il ricorso va dunque respinto.

9. Le spese seguono la soccombenza.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 1^ sezione civile, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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