Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29744 del 12/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/12/2017, (ud. 20/09/2017, dep.12/12/2017),  n. 29774

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Pistoia, in accoglimento delle domande proposte da I.M. nei confronti della s.p.a. Poligrafici Editoriale, condannava la società al pagamento della somma di Euro 408.376,53 a titolo di differenze retributive rivendicate dal ricorrente in relazione al rapporto di lavoro giornalistico di natura subordinata intercorso fra le parti sin dal 1982, con riconoscimento del trattamento economico e normativo spettante al giornalista professionista ed il mantenimento della qualifica e delle mansioni di redattore ordinario.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, in accoglimento dell’appello interposto dalla società, la condannava al pagamento in favore di controparte, del minore importo di Euro 25.991,45.

A fondamento del decisum, per quel che qui rileva, i giudici del gravame rimarcavano come dal 1 gennaio 1989 l’ I. fosse stato assunto presso la redazione decentrata de “La Nazione” in qualità di pubblicista con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e parziale ex art. 36 c.c.n.l. giornalisti, assistito dal requisito della stabilità. Argomentavano che da tale data, egli avrebbe potuto liberamente agire, senza alcun metus, a tutela dei propri diritti; doveva quindi ritenersi che fosse decorso il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4, non rilevando, al riguardo, l’azione di simulazione del contratto stipulato fra le parti nel dicembre 1988 diretta a far emergere l’effettivo mutamento della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato. Confermavano, quindi, la pronuncia del giudice di prima istanza, nella parte in cui aveva accertato l’espletamento, da parte del ricorrente, di mansioni di redattore, quantificando sulla scorta di tale parametro, le differenze retributive spettanti; confermavano altresì l’accertamento del diritto del lavoratore ad essere inquadrato, dal momento della iscrizione all’elenco dei giornalisti professionisti, nella qualifica di redattore ordinario.

La cassazione di tale pronuncia è domandata da I.M. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la società intimata proponendo ricorso incidentale affidato a tre motivi cui replica con controricorso l’ I.. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

La causa, inizialmente riservata alla udienza camerale, è stata quindi rinviata per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, artt. 2935,2936,1414,1418,2126 e 1398 c.c. del L. n. 69 del 1963, art. 45, della L. n. 300 del 1970, art. 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto operante la prescrizione dei crediti rivendicati anteriormente alla epoca di messa in mora del 23/9/2005, tralasciando di considerare che al rapporto di lavoro subordinato nullo per contrarietà a norma imperativa quale quello in esame, in ragione della mancanza di iscrizione all’Albo dei Giornalisti Professionisti L. n. 69 del 1963, ex art. 45, non si applica la disciplina dei licenziamenti con conseguente sospensione dei termini di prescrizione.

Gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame contrasterebbero con i principi inderogabili in materia di nullità secondo i quali le conseguenze proprie della nullità del contratto non possono essere evitate per mezzo di un diverso accordo intervenuto fra le parti. La natura meramente formale del rapporto di lavoro part time in contrasto con la realtà fattuale dello stesso, avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di simulazione del rapporto ex art. 1414 c.c..

Ogni questione attinente al diritto di credito vantato dal lavoratore rilevava in relazione al solo contratto dissimulato, che, in quanto nullo per violazione di legge, avrebbe comportato la sospensione dei termini prescrizionali di legge.

2. Il motivo è infondato.

E’ principio informativo in materia di crediti di lavoro, che la disposizione dell’art. 2948 c.c., n. 4, vada interpretata, in relazione alla normativa, anche pattizia, che introduca un regime di stabilità del posto di lavoro, nel senso che essa consente il decorso della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro – dal momento della maturazione di ciascuno di essi – solo nei rapporti dotati di tale stabilità (Cass. 5/1/1984, n. 42).

Già con la sentenza n. 63 del 1966 la Corte Costituzionale aveva statuito che le disposizioni del codice civile le quali consentono che la prescrizione quinquennale o quelle presuntive, relative a retribuzioni corrisposte per periodi non superiori o superiori al mese sono da ritenere affette da illegittimità costituzionale nella parte in cui fanno decorrere i termini relativi durante la costanza del rapporto di lavoro. Ciò nella considerazione che, allorchè quest’ultima ipotesi si verifichi, è da presumere che la mancanza di tempestiva impugnazione sia determinata dal timore di licenziamento, sicchè la prescrizione non corre prima del giorno in cui sia cessato il rapporto.

Dopo l’emanazione della richiamata pronuncia, è intervenuta la L. 15 luglio 1966, n. 604, il cui art. 1 stabilisce che, nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per i quali la stabilità non risulti assicurata da norme di legge o di contratto, il licenziamento non possa avvenire se non per giusta causa, o per giustificato motivo, ponendo a carico del datore di lavoro l’onere di fornirne la prova. La successiva L. 20 maggio 1970, n. 300, innovando con l’art. 18 alle precedenti disposizioni, ha stabilito che, ferma restando l’esperibilità delle procedure di cui all’art. 7 di queste ultime, l’annullamento del licenziamento disposto senza giusta causa debba essere accompagnato dall’ordine al datore di reintegrare il licenziato nel rapporto di lavoro; con l’obbligo per lui, oltre che di risarcire il danno da questo subito a causa del licenziamento, di corrispondergli le retribuzioni dalla data della sentenza fino a quella dell’avvenuta reintegrazione.

Con sentenza n. 143 del 1969, i Giudici delle leggi ebbero a ritenere che il principio con quella affermato non dovesse trovare applicazione tutte le volte che il rapporto di lavoro subordinato fosse caratterizzato da una particolare forza di resistenza, quale deriva da una disciplina che assicuri normalmente la stabilità del rapporto e fornisca le garanzie di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione; e tale interpretazione, fatta allora valere per i rapporti di pubblico impiego statali, anche se di carattere temporaneo, trova applicazione in tutti i casi di sussistenza di garanzie che si possano ritenere equivalenti a quelle disposte per i rapporti medesimi. In tal senso con la sentenza della Corte Costituzionale n. 174 del 1972, si è ritenuto che siffatta analogia si verifichi allorchè ricorra l’applicabilità delle due serie di disposizioni menzionate, di cui la seconda deve considerarsi necessaria integrazione della prima, dato che una vera stabilità non si assicura se all’annullamento dell’avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare.

3. Sulla scia di tali pronunce, questa Corte di legittimità, con approccio del tutto univoco, ha ribadito che ai fini della decorrenza della prescrizione, per la configurabilità di un rapporto di lavoro assistito dalla garanzia della stabilità è necessario che lo stesso sia regolato da una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della sua risoluzione alla sussistenza di circostanze oggettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo; il che deve essere riconosciuto allorquando il posto di lavoro – quale che sia la natura pubblica o privata del datore di lavoro – possa essere oggetto di una tutela reale.

Detta tutela deve consentire, cioè, non soltanto il risarcimento del danno di fronte all’illegittimo licenziamento, ma anche la reintegrazione del lavoratore, ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, ovvero di altre disposizioni che comunque garantiscano la stabilità (Cass., sez. lav., 20/6/1997, n. 5494, Cass. 23/4/2002 n. 5934 in motivazione).

4. Il successivo problema inerente alla individuazione del presupposto della stabilità reale del rapporto, è stato, quindi, risolto da questa Corte nel senso che deve essere verificato in relazione al concreto atteggiarsi del rapporto stesso ed alla configurazione che di esso danno le parti nell’attualità del suo svolgimento (dipendendo da ciò l’esistenza, o meno, della effettiva situazione psicologica di metus del lavoratore) e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto, in astratto, regolare il rapporto ove questo fosse sorto, sin dall’inizio, con le modalità e la disciplina che il giudice, con un giudizio necessariamente ex post, riconosce applicabili nella specie, con effetto retroattivo per il lavoratore (ex plurimis, vedi Cass. 4/6/2014, n. 12553, Cass. S.U. 28/3/2012 n. 4942, Cass. 19/1/2011 n. 1147).

A siffatti principi la Corte distrettuale, nel proprio incedere argomentativo, si è, dunque, conformata, laddove ha accertato che la stabilità del rapporto scrutinato era garantita ex ante al ricorrente dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, in quanto gli assicurava – sia pure in relazione al rapporto di lavoro quale giornalista pubblicista part – time “la permanenza di tale vincolo contrattuale al riparo da condotte ritorsive aziendali…e gli consentiva di rivendicare quei diritti conseguenti alla diversità fattuale del rapporto”.

In altri termini al ricorrente nel caso di specie, la stabilità del suo rapporto lavorativo veniva assicurata sul piano sostanziale dalla legislazione che subordinava l’efficacia del licenziamento alla sussistenza di circostanze oggettive e prefissate, e sul piano della tutela dei diritti, dall’affidamento al giudice del contratto delle suddette circostanze, con la garanzia di rimozione degli effetti del licenziamento illegittimo.

Va, quindi, rimarcato che nella fattispecie in esame non si riscontra alcun margine di incertezza circa il permanere del rapporto, assistito da quella particolare forza di resistenza che la giurisprudenza dei Giudici delle leggi pone quale presupposto per la decorrenza dei termini prescrizionali nel corso del rapporto di lavoro e dalla insussistenza di una situazione di metus del lavoratore nei confronti della parte datoriale.

Nell’ottica descritta non appare decisiva l’argomentazione posta a fondamento del motivo, secondo cui il rapporto di lavoro dissimulato, in quanto nullo per violazione di legge, avrebbe comportato la sospensione dei termini prescrizionali di legge giacchè, da un lato, secondo i dicta di questa Corte, ai fini della individuazione del regime prescrizionale applicabile, è necessario il riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto stesso ed alla configurazione che di esso danno le parti nell’attualità del suo svolgimento che, nello specifico, era integrato da un contratto di lavoro quale giornalista pubblicista part-time a tempo indeterminato; dall’altro, sempre alla luce del consolidato orientamento di legittimità in tema di domanda di accertamento della nullità del negozio apparente, se l’azione ai sensi dell’art. 1422 c.c. è imprescrittibile, il decorso del tempo può invece colpire i diritti che presuppongono l’esistenza del negozio dissimulato (vedi Cass. sez. seconda 27/8/2013, n. 19678, Cass. 26/11/2003, n. 18025).

Anche sul punto la decisione dei giudici d’appello, per essere corretta in diritto ed adeguatamente motivata, si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità.

Nei sensi descritti, non appare, dunque, dirimente il richiamo di parte ricorrente a precedente arresto di questa Corte (Cass. 12/11/2007, n. 23472), in ragione della fattispecie scrutinata, non sovrapponibile per la sua specificità, a quella oggetto del precedente invocato, il cui thema decidendum aveva ad oggetto un contratto di lavoro subordinato qualificato come autonomo, con modalità del rapporto lavorativo ben differente da quello oggetto di esame in questa sede.

5. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, dell’art. 2948 c.c., n. 4, artt. 1363 e 1367 c.c., della L. n. 69 del 1963, dell’art. 36 c.c.n.l. giornalisti professionisti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente argomenta dalla affermata nullità del rapporto e dalla conseguente sua inefficacia, la inidoneità del contratto inter partes ad assicurare al lavoratore “irregolare” la stabilità del rapporto. Precisa che dalla pattuizione collettiva di cui all’art. 36 si evince che le parti sociali hanno inteso adeguare il rapporto giornalistico redazionale alle disposizioni inderogabili della L. n. 69 del 1963, prevedendo una tutela transitoria per i rapporti di lavoro già in atto con pubblicisti assunti a tempo pieno e con vincolo di esclusiva. La disposizione assicurerebbe esclusivamente una tutela di tipo economico in relazione ad un rapporto irregolare, che esulerebbe da ogni riflesso sulla stabilità del rapporto.

6. La censura presenta profili di improcedibilità non essendo prodotto integralmente, ma solo per stralcio, il contratto collettivo di settore, così come previsto dal costante orientamento espresso da questa Corte (vedi ex plurimis, Cass. 26/9/2016 n. 18866 nonchè Cass. 4/3/2015 n. 4350, secondo cui “nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.” cui adde). Si palesa comunque infondata alla luce delle considerazioni espresse in relazione al motivo che precede.

In definitiva, il ricorso principale non è meritevole di accoglimento.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, dell’art. 36 C.C.N.L. FNSI/FIEG del 10/1/1959 recepito con D.P.R. n. 153 del 1961 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che “un giornalista pubblicista, assunto a tempo parziale, ogni qualvolta utilizzato per lo svolgimento di un’attività di lavoro a tempo pieno, pone in essere una prestazione di lavoro viziata da nullità insanabile e, pertanto, idonea a poter esser tutelata solo ai sensi dell’art. 2126 c.c.”. Argomenta per contro, che la prestazione resa dal giornalista, ancorchè a tempo pieno, non può essere considerata affetta da nullità, stante la legittimazione del giornalista pubblicista addetto alle redazioni decentrate, a svolgere appieno anche l’attività giornalistica in virtù della citata disposizione contrattuale collettiva. Incongrua era quindi da ritenersi l’azione intrapresa dal ricorrente ex art. 2126 c.c., correttamente inquadrabile nell’ambito della rivendicazione di differenze retributive per lavoro straordinario il cui svolgimento non aveva rinvenuto adeguato riscontro in sede istruttoria.

8. Con il secondo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, artt. 1 e 63 dell’art. 36 C.C.N.L.G. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Critica la sentenza impugnata per aver applicato il trattamento retributivo proprio del giornalista professionista in relazione alle prestazioni lavorative rese dall’ I. in eccedenza rispetto all’orario di lavoro contrattuale, a lui competendo i compensi riconosciuti in favore dei praticanti giornalisti.

9. Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, art. 29, art. 31, comma 1, n. 3 e art. 34, nonchè degli artt. 35 e 36C.C.N.L.G. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce, in sintesi, che l’iscrizione dell’ I. all’Albo dei Giornalisti professionisti sarebbe avvenuta in difformità dall’iter procedimentale previsto ex lege vantando il proprio diritto a non vedere modificato il rapporto di lavoro per effetto della illegittima iscrizione del lavoratore all’albo dei giornalisti.

10. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi per plurime concorrenti ragioni.

Non può sottacersi, innanzitutto, che presentano aspetti di improcedibilità per violazione dei dettami di cui all’art. 369 c.p.c., n. 4, con riferimento al deposito in forma integrale del c.c.n.l. di settore, che non risulta ritualmente prodotto.

11. Deve inoltre, evidenziarsi, con riferimento al terzo motivo, che non risulta dimostrata la rituale formulazione della questione nel corso del giudizio di merito.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (vedi Cass. 22/4/2016, n. 8206). La censura non si sottrae, dunque, ad un giudizio di inammissibilità.

12. In ogni caso va rimarcato, ancora una volta, come la Corte distrettuale, laddove ha accertato lo svolgimento da parte dell’ I., di attività redazionale, quotidiana e a tempo pieno, con attribuzione del trattamento economico previsto dall’art. 36 c.c.n.l. per il giornalista professionista redattore ordinario, abbia emesso una statuizione conforme a diritto perchè coerente coi dicta di questa Corte secondo cui “per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria la iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti. Ne consegue che il contratto giornalistico concluso con un redattore non iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, detta nullità non produce effetti ex art. 2126 c.c. e il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice di merito” (vedi da ultimo Cass. 21/4/2017, n. 10158 – che ha confermato la decisione con cui la Corte territoriale aveva considerato che il pieno svolgimento, da parte del giornalista, delle mansioni di redattore ordinario giustificasse l’adozione di un parametro remunerativo in tutto corrispondente alle previsioni per tale figura del CCNL Giornalisti – cui adde Cass. 22/11/2010, n. 23638, Cass. 10/3/2004, n. 4941).

Al lume delle superiori argomentazioni, anche il ricorso incidentale deve, conclusivamente, essere respinto.

In considerazione della situazione di reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio possono essere compensate fra le parti.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017

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