Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29743 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. I, 19/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 19/11/2018), n.29743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7054/2014 proposto da:

Hi Tech Solutions S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, (quale cessionaria nel confronti della Cogefi s.r.l.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Largo Sarti n. 4, presso lo studio

dell’avvocato Capponi Bruno, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Tollis Elisabetta, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21, presso gli

Uffici dell’Avvocatura Comunale, rappresentata e difesa

dall’avvocato Graziosi Antonio, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 805/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA

depositata l’11/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/09/2018 dal cons. MARULLI MARCO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto che

Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il ricorso in atti la Hi Tech Solutions s.r.l., avente causa dalla CO.GE.FI. s.r.l. a sua volta cessionaria del ramo di azienda della SO.RO.CO s.r.l., chiede che sia cassata l’epigrafata sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in riforma della decisione emessa in primo grado dal locale Tribunale, ha respinto la domanda di essa ricorrente nei confronti dell’intimata Roma Capitale, intesa a veder riconosciuto il ristoro dei danni patiti in conseguenza dell’illegittima sospensione dei lavori relativi all’appalto per la ristrutturazione di una scuola, sul rilievo che, nella specie, la sospensione si era resa necessaria a causa dell’inadempimento dell’appaltatrice che, benchè vi fosse onerata in base alle disposizioni di contratto, aveva omesso di richiedere il Nulla Osta Preventivo dei VV.FF. al fine dell’esecuzione delle opere relative alle vie di esodo.

Il mezzo azionato si vale di nove motivi, cui replica l’intimata con controricorso, seguito da memoria della ricorrente.

Requisitorie del P.M. ex art. 380-bis1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il primo motivo di ricorso – a mezzo del quale la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c., nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in ragione del dedotto difetto di specificità dei motivi di appello – non ha fondamento poichè, fermo che l’esigenza della specificazione dei motivi di appello non postula l’adozione di formule sacramentali ovvero una rigorosa precisazione delle ragioni invocate dall’appellante a sostegno della proposta impugnazione ed una analitica formulazione di essi in specifici capi distinti e separati, è principio stabilmente affermato che l’onere in parola “deve ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall’appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico” (Cass., Sez. 3^, 18/09/2015, n. 18307), di modo che va conseguentemente esente da ammende il deliberato qui impugnato che, in coerenza con il principio enunciato, abbia inteso “enucleare dalla citazione, in cui sono esposti in modo discorsivo” i motivi del gravame declinato avanti a sè.

3. Il secondo motivo di ricorso – deducente la violazione dei nova in appello, poichè, a giudizio della ricorrente, avanti al giudice del gravame Roma Capitale avrebbe proposto nuove domande – è inammissibile per più ragioni, difettando di pertinenza rispetto alle difese dispiegate nel grado dall’appellante, volte a confutare le ragioni della condanna pronunciata in grado di appello e non a conseguire la statuizione su un bene della vita, di autosufficienza, omettendosi nell’illustrazione del motivo di riportare le conclusioni rassegnate dalla convenuta nel giudizio di primo, e di specificità rispetto alle ragioni del decisum, reiterando l’analoga censura declinata nel resistere al proposto atto di gravame senza confrontarsi con le motivazioni adottate dal decidente per disattenderla.

4. Il terzo e quarto motivo di ricorso – con cui il ricorrente si duole, dapprima, dell’equivoco terminologico in cui sarebbe incorso il decidente nel confondere il Nulla Osta Preventivo con il Nulla Osta Provvisorio e, quindi, dell’errore ancora compiuto dal medesimo nel fare riferimento al Nulla Osta Provvisorio, quando nella specie si rendeva necessaria l’acquisizione del Nulla Osta Preventivo e nell’omettere la considerazione del fatto decisivo che ai fini dell’esecuzione dei lavori era necessaria la preventiva acquisizione del nulla osta dei VV.FF. – sono entrambi affetti da pregiudiziale inammissibilità evidenziabile sotto un duplice profilo.

Da un lato, ne va invero rimarcato il difetto di conferenza rispetto al ragionamento decisorio sviluppato dal decidente, inequivocamente orientato, come bene ha chiosato il P.M., a sottolineare che nella vicenda in esame le attestazioni di sicurezza, al cui rilascio avrebbero dovuto provvedere i VV.FF., “dovevano essere ottenute a cura dell’appaltatore”; e nel far questo pure dell’avviso, dettato a diretta a confutazione delle obiezioni ricorrenti, che “il nulla osta provvisorio certamente non doveva essere richiesto nella specie” in quanto istituto a garanzia delle attività soggette alla normativa antincendi già in essere ed ancora che “in ogni caso nel caso di specie, non il nulla osta provvisorio era stato richiesto, bensì sarebbe stato richiesto, di lì a qualche mese, il parere preventivo al progetto” previsto per legge, affermazioni che non possono intendersi se non nel senso che i riferimenti all’uno o all’altro istituto non hanno nell’economia complessiva del giudizio alcuna valenza decisionale. Dall’altro – e di ciò rende puntuale ragione il rilievo testè operato quando, come visto il discorso decisionale segue un altro itinerario rispetto a quello illustrato dalle obiezioni in parola, è palese – e tanto rileva ai fini della loro inammissibilità – che la loro deduzione non asseconda alcun interesse processuale del ricorrente che ne giustifica lo scrutinio, poichè, a fronte delle su riportate considerazioni del P.M., è indifferente ai fini dell’accoglimento delle ragioni sostanziali che presiedono al ricorso interrogarsi se il decidente abbia correttamente amministrato gli istituti in argomento, una volta che, in disparte dalla questione terminologica, abbia ritenuto che l’onere di richiedere le attestazioni di sicurezza del caso competesse all’appaltatore.

5.1. Anche quinto e sesto motivo di ricorso – intonati l’uno alla denuncia di un errore in cui il decidente sarebbe caduto nell’interpretare la lettera del contratto e nell’applicare le norme di cui alla rubrica, l’altro a rappresentare in ciò un vizio motivazionale non si sottraggono, come i precedenti, ad un preliminare rilievo di inammissibilità.

5.2. Lo statuto delle censure in diritto messo a punto della giurisprudenza di questa Corte postula, com’è noto, che la relativa denunzia debba avvenire mediante la specifica indicazione dei punti della sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina prevalente (Cass., Sez. 1^, 29/11/2016, n. 24298), sicchè non soddisfa l’onere in parola una prospettazione in cui i motivi siano affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa (Cass., Sez. 1^, 18/05/2005, n. 10420); ne consegue che non sono pertanto ammissibili censure in cui, come qui, si enuncino in rubrica solo le norme violate, ma si ometta di indicare, se non a mezzo dell’esternazione di un più generale dissenso rispetto all’iter decisionale, in che modo di esse ne sia avvenuta la violazione da parte della sentenza impugnata.

5.3. Più in dettaglio è poi ostativo al vaglio dell’errore ermeneutico la considerazione, quanto al punto di diritto, che l’interpretazione del contratto è attività tipicamente riservata al giudice di merito, che concreta un accertamento di fatto censurabile in sede di legittimità solo per violazioni dei canoni legali di interpretazione, mediante la deduzione del criterio che si assume violato e l’indicazione del luogo della sentenza in cui la pretesa violazione è avvenuta (Cass., Sez. 3^, 28/11/2017, n. 28319), onde è perciò inammissibile la censura che, come qui si limiti, ad allegare la violazione del criterio letterale – per di più sorvolando sulla circostanza che non solo sulla lettera del contratto si radica la determinazione contestata – e, che senza aggiungere altro, si risolva perciò nella surretizia sollecitazione a rinnovare l’accertamento di fatto esperito dal giudice di merito; e quanto al preteso vizio logico, che nella declinazione del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il “fatto decisivo” non è più identificabile nell’omesso esame di un elemento della cognizione, la cui tacitazione o il cui errato apprezzamento, come un tempo, possa compromettere l’equilibrio logico della decisione, ma è quello dell’art. 2697 c.c., (Cass., Sez. 2^, 14/06/2017, n. 14802), onde se il fatto è costituito, come pare, dalla fonte negoziale non vi è dubbio che, pur se non assecondando i disegni del ricorrente, il “fatto” in questione sia stato senz’altro esaminato dal giudice d’appello.

6. Inammissibile, ancora, è il settimo motivo di ricorso – inteso a contestare con la pretesa violazione pure degli artt. 1362 e 1318 c.c., la legittimità della sospensione dei lavori disposta dalla committenza al di fuori delle condizioni che, alla stregua del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30, ne legittimano l’adozione – giacchè, come bene ha replicato il P.M., “il motivo tralascia le affermazioni della Corte di appello secondo la quale la sospensione fu disposta su richiesta dell’appaltatore e non vide l’iscrizione di riserva alcuna”, onde accogliere l’invito ad una rivisitazione del punto vorrebbe dire acconsentire ad un’indebita intromissione nel sindacato di merito.

7.1. Anche l’ottavo motivo di ricorso – con cui si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo avendo il decidente del tutto omesso di considerare ed esaminare i reali profili di fatto concernenti le richieste economiche oggetto di causa – risulta inammissibile; e ciò per più aspetti.

7.2. In linea generale – e del tutto astratta rispetto al concreto tenore della vicenda in atti – esso non si accorda con il parametro invocato, essendosi già chiarito che “fatto decisivo” nell’ottica sposata dalla novellazione del 2012 è solo quello che, in guisa di fatto principale o secondario, consente di ritenere assolto l’onere della prova e, dunque, non è la difforme valutazione del fatto, come qui si denuncia, che integra il dedotto vizio cassatorio.

7.3. Nel merito della vicenda, mette conto poi di osservare che dovendo ovviamente la censura intendersi come limitata alle sole voci di danno che non hanno trovato ristoro, vero, infatti, che per la sospensione dei lavori seguita al rilascio in data 2.12.1996 del parere preventivo, la responsabilità risarcitoria del committente non è stata posta in discussione – limitatamente al periodo 15.10.1992 – 2.12.1996 la doglianza, quando mai fosse scrutinabile, risulta assorbita nell’inammissibilità del settimo motivo di ricorso, ciò rendendo non più contestabile che per quel periodo la sospensione dei lavori fosse stata disposta in modo legittimo.

8. Il nono motivo di ricorso investe il quantum risarcitorio e, come si evince dalla sua illustrazione, – ove si lamenta che “il forte abbattimento delle spese generali determinato in sentenza è del tutto erroneo ed ingiustificato”, che “la statuizione della Corte d’Appello in ordine ai danni riconducibili alla voce spese generali… è del tutto illegittima, apodittica ed illogica”, che “le considerazioni della Corte d’Appello sulle circostanze e sulle modalità della guardiania e della presenza dei macchinari sono fuorvianti”, che “le considerazioni della Corte d’Appello riguardo dette spese generali sono del tutto erronee ed infondate”, che “dette voci di danno sono state dalla Corte d’Appello del tutto dimenticata, ignorando anche la documentazione allegata dall’impresa a suffragio della domanda”, che “la Corte di merito, infatti, ha completamente omesso di considerare… “, “l’erroneo rilievo attribuito dalla Corte d’Appello… alle testimonianze richiamate in sentenza”, che “il rilievo attribuito dalla Corte d’Appello a dette testimonianze è davvero arbitrario ed errato”, che “la Corte d’Appello ha completamente omesso di attribuire qualsivoglia rilievo (invece assolutamente determinante) a tutta la documentazione deposita in causa dall’impresa”, che “ferma l’assoluta arbitrarietà e incomprensibilità dei criteri utilizzati dalla Corte d’Appello per la quantificazione della voce di danno di cui si discute.. detti criteri sono finanche il frutto di ragionamenti intrinsecamente contradditori”, e, non ultimo, che “l’illogicità del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello è dunque evidente” esso è inteso unicamente a sollecitare una rimeditazione in fatto degli assunti enunciati dal giudicante e si sottrae per questo al giudizio di questa Corte che, come si ben si sa, non è giudice del fatto sostanziale.

9. Il ricorso va dunque conclusivamente dichiarato inammissibile.

10. Le spese riflettono la soccombenza.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 1^ sezione civile, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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