Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29739 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. I, 19/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 19/11/2018), n.29739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25842/2013 proposto da:

Icp Mandara S.r.l., in persona dell’Amministratore unico legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso

Trieste n. 185, presso lo studio dell’avvocato Versace Raffaele,

rappresentata e difesa dall’avvocato Pellegrino Raffaele, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 22255/2012 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 07/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2018 dal cons. DI VIRGILIO ROSA MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 28/9/2007, il Tribunale di Napoli, in accoglimento della domanda proposta ex art. 67 L. Fall., comma 1, n. 1, dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l., revocava la vendita fatta dalla società in allora in bonis della propria azienda alla ICP Mandara s.r.l., per il prezzo ritenuto notevolmente inferiore al valore reale, determinato, in mancanza di documentazione e non esistendo più l’azienda, con l’ausilio di consulenza tecnica.

La Corte d’appello, con sentenza del 14/12/2009, respingeva l’appello della ICP Mandara s.r.l., ritenendo, nello specifico e per quanto ancora rileva, che correttamente il Tribunale aveva rinvenuto l’estremo oggettivo della notevole sproporzione tra il prezzo fissato nell’atto e il valore reale dell’azienda, in base alla C.T.U. che, per valutare l’azienda non più esistente ed in assenza di documentazione, aveva utilizzato il metodo reddituale, e che in tal modo non era stato violato il principio dell’onere della prova, avendo la Curatela svolto tutta la necessaria attività difensiva per dimostrare il proprio assunto, allegando idonea documentazione.

Con la sentenza depositata il 7/12/2012, questa Corte ha respinto il ricorso proposto dalla ICP Mandara, e nello specifico, ha valutato unitariamente i primi sei motivi di ricorso, intesi a denunciare vizi di motivazione (tale essendo anche la doglianza, prospettata come di violazione dell’onere della prova da parte della Curatela, consistente esclusivamente nell’assunto di essersi la Curatela sottratta all’onere probatorio), nonchè il nono mezzo, meramente consequenziale al terzo, ed ha concluso per la genericità delle doglianze, per la parte in cui non ritenute meramente valutative, rilevando: che detti motivi sostanzialmente si appuntavano sulla inconsistenza della documentazione allegata dalla Curatela a sostegno della domanda, e sul contenuto della C.T.U.; di non avere accesso diretto agli atti; che dalla sentenza impugnata non emergeva la fondatezza delle doglianze, dato che ivi si faceva riferimento alla documentazione prodotta dal curatore (che non era evidentemente quella dell’azienda fallita); che la ricorrente non aveva indicato specificamente gli atti della Curatela in tesi inidonei a fornire indizi di prova, e neppure la sede processuale ove rinvenire gli stessi, come prescritto a pena di improcedibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Nel resto, ha ritenuto legittimo e giustificato, in mancanza di altri elementi, il ricorso al metodo induttivo, nel caso il metodo reddituale, per accertare il valore dell’azienda; che le carenze indicate inficiavano anche il vaglio di legittimità in relazione alla C.T.U., nè poteva essere sufficiente a riguardo la mera estrapolazione di qualche passo dal contesto della relazione ai fini del vizio di motivazione; che la doglianza di omessa considerazione di argomenti difensivi era priva della indicazione della decisività degli stessi, non altrimenti evincibile dagli atti.

ICP Mandara s.r.l. ha proposto ricorso per revocazione, ex artt. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4.

Il Fallimento non ha svolto difese.

Depositata dal Consigliere relatore la relazione ex art. 380 bis c.p.c., all’adunanza camerale dell’8/4/2016, il Collegio, vista l’incompatibilità del Presidente, ha disposto la rimessione alla prima sezione civile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A fondamento della revocazione richiesta ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, la ricorrente sostiene di avere con i primi due motivi di ricorso segnalato i dati di fatto decisivi, ed in particolare, di avere dedotto a pag. 10 del ricorso, “attraverso la apposita e specifica trascrizione del relativo atto, la circostanza evidenziata dal consulente nel corso dei contatti da questi intrapresi…” e di avere “fatto quindi richiamo al dato univoco e tranciante indicato nella missiva indirizzata dal CTU al Curatore, missiva riportata nello svolgimento del primo motivo del ricorso al giudice di legittimità”.

La parte riporta in ricorso detta missiva, datata 4/10/2004, nella quale il CTU clava atto di non disporre, allo stato, di documentazione sufficiente a consentire la stima dell’azienda, ed elencava la documentazione di cui sarebbe stato utile disporre.

Secondo la ricorrente, pertanto, a fronte dell’avvenuta deduzione della giuridica inconsistenza della documentazione prodotta dalla Curatela, deve ritenersi viziata da errore di fatto la pronuncia impugnata, per avere affermato la “mancata specificazione, da parte dell’istante, degli atti della curatela inidonei a fornire indizi di prova sui quali si fondava la domanda.”

Ciò posto, deve a riguardo rilevarsi che l’impianto del ricorso per revocazione è basato su di una lettura non corretta della pronuncia impugnata: ed infatti, in detta pronuncia, la Corte ha rilevato che, a fronte del riferimento nella sentenza impugnata alla documentazione prodotta dalla Curatela e posta a base della domanda(che non poteva essere la documentazione dell’azienda fallita), la ricorrente non aveva indicato specificamente gli atti del Fallimento, inidonei in tesi a fornire indizi di prova, oltre a non indicare la sede processuale di produzione degli stessi, come prescritto dall’ art. 366 c.p.c., n. 6.

Ora, l’odierna ricorrente vorrebbe sostenere di avere provveduto alla chiesta specificazione facendo riferimento e trascrivendo la missiva di cui sopra, proveniente dal C.T.U. ed intesa a consentire l’espletamento della consulenza stessa con le richieste documentali, ritenute utili per valutare la sussistenza nel caso del requisito oggettivo della notevole sproporzione.

E’ di chiara evidenza la diversità della documentazione alla quale fa riferimento il C.T.U., relativa alla specifica valutazione dell’azienda, da quella alla quale si è riferito il Giudice del merito, e cioè quella allegata dalla Curatela a sostegno della domanda, come esplicitamente osservato nella stessa pronuncia impugnata.

Ed infatti, sub paragrafo 4.1 della sentenza, la Corte ha osservato che la documentazione alla quale si era riferita la Corte d’appello non era “evidentemente la documentazione dell’azienda fallita”, ma quella fatta valere dalla Curatela a sostegno della domanda, e ritenuta dal Giudice del merito idonea a fornire elementi di prova e che, a riguardo, la ricorrente non aveva indicato gli atti della Curatela, in tesi inidonei, a fornire elementi di prova.

La sentenza impugnata pertanto si è pronunciata proprio sul profilo che la ricorrente intenderebbe far valere come motivo di ricusazione, ritenendo, di fondo, che la documentazione prodotta dalla Curatela ed alla quale si era riferita la pronuncia di merito non potesse essere quella relativa all’azienda ceduta.

Da quanto sopra rilevato consegue pertanto l’inammissibilità della chiesta revocazione, non solo per essersi pronunciata la sentenza impugnata sul punto controverso ex art. 395 c.p.c., n. 4, u.p., ma anche per non avere l’odierna ricorrente colto la ratio decidendi della statuizione resa dalla Suprema Corte a riguardo, incentrata sul rilievo della diversità della documentazione allegata dalla Curatela a sostegno della domanda, da quella relativa all’azienda fallita.

E, come di recente ribadito nella pronuncia dell’11/1/2018, n. 442, l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato: l’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.

Non v’è luogo alla pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l’intimato Fallimento.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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