Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29738 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. I, 19/11/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 19/11/2018), n.29738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21355/2016 proposto da:

Banca Monte Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza Verbano n. 22, presso lo studio dell’avvocato Della Gatta

Gianluca, rappresentata e difesa dall’avvocato Ripa Marco, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1478/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2018 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO

ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Banca Antonveneta, ora Banca Monte di Paschi di Siena (stante l’intercorsa fusione per incorporazione), ha richiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di T.D., quale fideiussore di Cellular Planet s.a.s. (società con cui la predetta banca aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente che presentava un saldo debitore di Euro 178.916,00).

A seguito dell’opposizione il Tribunale di Padova respingeva la domanda diretta al pagamento della somma dovuta dalla società garantita, pari a Euro 176.372,18.

2. – Proposta impugnazione, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza impugnata.

3. – Ricorre per cassazione Banca Monte dei Paschi di Siena, la quale fa valere un unico motivo di censura. T., pur ritualmente intimato, non ha svolto attività processuale nella presente sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’istante lamenta la nullità della sentenza per violazione di legge, avendo riguardo alla mancata applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c.. Deduce, in sintesi, che il giudice distrettuale non avrebbe reso alcuna motivazione circa la ritenuta irrilevanza dell’accertamento operato dal Tribunale di Padova con riferimento al credito azionato dalla banca nei confronti dell’obbligata principale. Sottolinea, in proposito, che si configura la mancanza di motivazione quando questa manchi del tutto, ovvero formalmente esista, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non consentire di individuare il fondamento giustificativo del decisum. Richiama il principio per cui in base alla nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – spiega – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

2. – Il ricorso è infondato.

Come è noto, il rapporto di subordinazione e dipendenza dell’obbligazione fideiussoria rispetto a quella principale si riflette necessariamente sul problema della prova, nel senso che il giudice chiamato ad accertare, nei confronti del fideiussore, l’esistenza e l’ammontare del debito garantito può utilizzare, quale valida prova presuntiva, il giudicato di condanna ottenuto dal creditore contro il solo debitore garantito (Cass. 10 novembre 2015, n. 22954; cfr. pure Cass. 12 luglio 2013, n. 17261, secondo cui il giudice chiamato ad accertare, nei confronti del fideiussore, l’esistenza e l’ammontare del debito garantito può utilizzare gli atti giuridici che hanno interessato detto rapporto con il debitore principale).

La Corte di merito, ha richiamato questo principio, ritenendo, tuttavia, che esso nella presente fattispecie non potesse operare; a tal fine ha rilevato: che il credito per la banca si aggirava intorno a Euro 176.000,00, mentre la garanzia fideiussoria prestata dall’odierno ricorrente era “addirittura superiore”; che T. ebbe a contestare il quantum e che la contestazione formulata non poteva ritenersi generica, tenuto conto che essa doveva raffrontarsi con l’affermazione della banca di essere creditrice della somma indicata; che non vi era prova degli estratti conto e del loro invio al debitore principale; che l’accertamento operato nel giudizio intercorso tra la banca e il debitore principale non era concludente, tenuto conto che “il fideiussore può formulare eccezioni personali che la debitrice principale potrebbe in tesi non avere interesse o modo di opporre”.

Molte di tali argomentazioni sono, nel complesso, inidonee a dar ragione del mancato utilizzo della prova presuntiva costituita dal giudicato prodottosi in danno dell’obbligata principale. Oscura è, anzitutto, la valorizzazione del dato costituito dal limite massimo della garanzia prestata: il fatto che il fideiussore debba rispondere del debito fino alla concorrenza dell’importo di Euro 200.000,00 non esclude, infatti, che, per un importo inferiore, al garante possa essere opposta la prova presuntiva costituita dalla sentenza resa nei confronti della debitrice principale. L’elemento della contestazione della somma pretesa (che comunque, secondo la sentenza impugnata, ha ad oggetto la generica negazione del debito) costituisce elemento estraneo e logicamente antecedente alla tematica della prova del quantum: in tanto si pone una questione in ordine al concreto riscontro della spettanza dell’importo reclamato, in quanto il supposto debitore abbia contestato il credito azionato da controparte. L’assunto, infine, secondo cui il fideiussore ha la facoltà di formulare eccezioni che il debitore principale potrebbe non opporre si colloca su un piano di totale astrazione, ed è perciò evanescente: la Corte non afferma, infatti, che il garante, nella precorsa fase di merito, abbia fatto valere difese diverse da quelle opposte dalla debitrice principale (e che, in conseguenza, l’accertamento posto in atto nei confronti del debitore principale era diverso da quello che avrebbe dovuto conseguirsi nel giudizio contro il fideiussore).

Deve invece reputarsi atta a dar conto della decisione assunta l’affermazione secondo cui la banca ha mancato di documentare la propria pretesa, essendosi limitata a produrre l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili di cui all’art. 50 t.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993) senza integrare la prova del credito con i pertinenti estratti conto. Come è ben noto, l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca, di cui all’art. 50 cit., in caso di contestazione non costituisce di per sè prova del credito vantato dalla banca nei confronti del correntista (Cass. 3 maggio 2011, n. 9695). La Corte di merito ha dunque inteso evidenziare che, sul piano della prova dell’esposizione debitoria fatta valere dall’odierna ricorrente, fosse dirimente l’assoluta carenza di una documentazione che desse conto dell’andamento del rapporto di conto corrente. Tale argomentazione è sufficiente ad escludere il lamentato vizio motivazionale, in quanto riflette un giudizio di fatto della Corte di merito riguardo alla consistenza del complessivo materiale probatorio sottoposto al suo esame. Infatti, pur dovendosi riconoscere che il giudicato di condanna nei confronti del debitore principale possa apprezzarsi alla stregua di una presunzione semplice, compete pur sempre al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni (oltre che individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge) (Cass. 8 gennaio 2015, n. 101; Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961; Cass. 13 novembre 2009, n. 24028; Cass. 11 maggio 2007, n. 10847). La censura del vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può del resto limitarsi alla proposizione di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. 2 aprile 2009, n. 8023; Cass. 21 ottobre 2003, n. 15737): tanto più a seguito dell’intervento legislativo che, modificando la previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha nella sostanza privato di rilevanza ogni anomalia motivazionale che non si risolva in violazione di legge costituzionalmente rilevante (anomalia che, con riferimento alla contraddittorietà argomentativa, consiste nel solo “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, che nella fattispecie di certo non ricorre).

3. – Non è luogo a pronuncia di condanna in punto di spese, essendo mancata la resistenza dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 1^ Sezione civile, il 23 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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