Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29736 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. II, 29/12/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 29/12/2020), n.29736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8607/2016 proposto da:

GRAPHO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 334, presso lo

studio dell’avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA, che la rappresenta e

difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato BRUNO TAVARELLI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.A., già titolare della omonima ditta INFORMA DI

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO 12,

presso lo studio dell’avvocato LUISA TALDONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DOMENICO ZAMBRINO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 418/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 29/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con D.I. n. 11 del 2000, il Tribunale di Lagonegro ingiungeva alla Grapho S.r.l. il pagamento della somma di Lire 41.126,238 in favore di I.A..

La predetta somma era stata reclamata dall’ingiungente I. a titolo di pagamento di residuo prezzo dovuto per la fornitura della macchina di stampa di cui in atti.

L’intimata società proponeva opposizione asserendo che la vendita della suddetta macchina costituiva, in effetti ed suo dire, un pagamento parziale. Detto pagamento era dovuto, secondo la succitata società, nell’ambito di un complessivo contratto inter partes a formazione progressiva ed avente ad oggetto la cessione, in favore dell’opposto, di macchinari del valore della complessiva somma di L.. 350milioni, in ordine alla quale veniva svolta domanda riconvenzionale al fine i ottenere la condanna dell’ I. alla differenza del prezzo pattuito a saldo.

Il Tribunale accoglieva sia l’opposizione al D.I. che la proposta domanda riconvenzionale.

L’ I. interponeva appello avverso la decisione del Tribunale di prima istanza.

La società appellata resisteva all’avverso gravame.

Con sentenza n. 581/2004 l’adita Corte di Appello di Potenza rigettava l’opposizione a D.I. e la domanda riconvenzionale proposta dalla società Grapho, condannata al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

La società stessa ricorre avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale con atto affidato a due ordine di motivi e resistito dall’intimato.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di violazione degli artt. 1326 e 1362 c.c..

L’essenza della censura svolta col motivo si fonda sulla pretesa “chiarezza ed inequivocità della comune intenzione (contrattuale) delle parti” e, quindi, sull’intervenuto perfezionamento del contratto nei termini e nei sensi esposti dalla società ricorrente fin dalla costituzione nel giudizio di opposizione al richiesto D.I.. La sentenza impugnata viene, altresì, censurata sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto per aver la Corte territoriale operato una indebita prevalenza di canoni interpretativi-integrativi rispetto a quelli strettamente interpretativi, il tutto con riferimento al dictum di Cass., Sez. Terza 11 marzo 2014, n. 5595.

Il motivo non può essere accolto.

La Corte territoriale, con la decisione gravata, svolge – nell’ambito delle sue prerogative- una propria ricostruzione in fatto circa la formazione del contratto. Quest’ultimo, peraltro, si appalesava come un negozio di non immediata intellegibilità dati anche i vari passaggi, inter partes, relativi alla successiva formazione del contratto medesimo.

Pertanto più che essere al cospetto della lamentata violazione di legge, si è di fronte ad un legittimo esercizio del potere di valutazione in fatto del giudice del merito.

Deve, al riguardo, rammentarsi quanto – più di recente – risulta affermato da queste Corte con riguardo al sollevato profilo di censura.

“Nell’interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti. (Cass. civ., Sez. Terza, Ord. 26 luglio 2019, n. 20294).

Il motivo è, dunque, infondato e va respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di violazione dell’art. 116 c.p.c., in correlazione all’art. 115 c.p.c..

Secondo la prospettazione di cui al ricorso in esame la Corte di Appello non avrebbe operato la valutazione delle risultanze probatorie secondo il richiesto “prudente apprezzamento”.

La censura svolta attiene, per come prospettata, a questione palesemente meritale, nel cui ambito non può che rientrare il preteso non “prudente apprezzamento”.

Peraltro quest’ultimo non appare soggetto ad ammissibile censura anche ove considerato sotto il profilo della carenza motivazionale.

Infatti “in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (ex plurimis e da ultimo: Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 12 ottobre 2017, n. 23940 e, prima ancora, Cass. civ., S.U., Sent. 7 aprile 2014, n. 8053).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

3.- Il ricorso va, quindi, rigettato.

4.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

5.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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