Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29734 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8912/14 R.G. proposto da:

POLICENTRO EST S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore,

rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dagli

avv.ti Raffaello Lupi e Claudio Lucisano, con domicilio eletto

presso lo studio del secondo, in Roma, via Crescenzio, n. 91;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 117/43/13 depositata in data 30 settembre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso della società Policentro Est s.r.l. in liquidazione avverso la cartella esattoriale emessa a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, per il recupero di IRES non versata in conseguenza del mancato adeguamento della società al reddito minimo previsto per le società non operative, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30.

2. I giudici regionali hanno preliminarmente ritenuto giustificata l’emissione della cartella esattoriale, sottolineando che il citato art. 36-bis, consentiva all’Amministrazione finanziaria di correggere errori o omissioni di imposta in cui era incorso il contribuente senza che ciò comportasse la necessità dell’instaurazione di un preventivo contraddittorio con l’interessato, non vertendosi in ipotesi di determinazione di maggior reddito imponibile o dell’esistenza di un reddito non dichiarato; hanno inoltre rilevato che la stessa società, qualificandosi come società non operativa, aveva compilato l’apposito riquadro della dichiarazione destinato al test di “Verifica dell’operatività e della determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi”, ma non aveva poi correttamente completato la compilazione della dichiarazione, non avendo “adeguato la propria autotassazione all’imponibile minimo evidenziato dal test”.

Hanno, in particolare, segnalato che dalla ricostruzione operata dall’Ufficio risultava che “di fronte all’indicazione nel quadro RN, al rigo 6, colonna 2, di un reddito pari a 0 (zero) la società avrebbe dovuto riportare quale reddito l’importo minimo dichiarato dalla stessa nel Quadro RF, rigo 87, in Euro 56.749,00”; hanno, quindi, ritenuto legittima l’iscrizione a ruolo delle imposte derivante dalla errata ed incompleta compilazione della dichiarazione dei redditi.

3. La società contribuente ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con due motivi. L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo – rubricato “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis – Mancata emissione di avviso di accertamento” – la ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano dato rilievo unicamente al profilo formale della compilazione del quadro della dichiarazione dei redditi dedicato al “test di operatività” ed al calcolo dell’eventuale reddito minimo derivante dall’applicazione della disciplina delle società di comodo, trascurando di tenere conto del fatto che la società, presentando istanza di interpello disapplicativo, aveva chiaramente mostrato di non volersi adeguare a detta disciplina. Il mancato adeguamento in dichiarazione dei redditi al reddito minimo previsto dalla L. n. 724 del 1994, non era dunque una mera “svista” o un errore materiale, ma costituiva piuttosto una scelta consapevole, considerato che, a seguito della risposta negativa all’interpello, non aveva avuto altra soluzione per contestare le risultanze di detta risposta se non omettere di adeguarsi al reddito minimo; ad avviso della ricorrente, pertanto, la scelta effettuata, se ritenuta non corretta dall’Ufficio, avrebbe richiesto una attività accertativa che avrebbe dovuto concludersi con un avviso di accertamento debitamente motivato sotto il profilo dell’applicabilità della L. n. 724 del 1994. In difetto dell’emissione di avviso di accertamento, l’adozione dell’avviso di liquidazione costituiva palese violazione del richiamato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis.

2. Con il secondo motivo censura, in via subordinata, la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalle ragioni oggettive previste per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo.

Pur avendo rappresentato già in sede di ricorso introduttivo la sussistenza delle condizioni oggettive di esclusione del regime delle società di comodo, ribadendo le medesime argomentazioni anche nel giudizio di appello, la Commissione regionale non ne aveva fatto menzione, omettendo in tal modo di decidere su una questione decisiva, oggetto di discussione tra le parti.

3. In controricorso l’Agenzia delle entrate ha posto in rilievo, con riguardo alla questione oggetto del presente ricorso, che con la Dir. 12 febbraio 2013, n. 8, ha sollecitato “l’abbandono delle controversie instaurate avverso cartelle di pagamento emesse dagli uffici a seguito di controllo automatizzato delle dichiarazioni per recuperare le imposte dovute sul reddito minimo delle società non operative”, affermando che “la contestazione relativa all’omesso adeguamento al reddito “minimo” deve trovare la sua naturale sede nella fase di accertamento e non in quella di liquidazione della dichiarazione”; avendo proceduto, in ottemperanza alle istruzioni dettate da tale direttiva, all’annullamento, in autotutela, della cartella esattoriale oggetto di impugnazione, ha insistito per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite.

4. Il ricorso è fondato e va accolto.

Dalla sentenza impugnata emerge che la cartella di pagamento è stata emessa per l’importo indicato dalla società contribuente quale reddito minimo risultante dal test di operatività di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, e non anche quale reddito effettivamente percepito.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che, in materia di società di comodo, i parametri previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, convertito dalla L. n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, ferma restando la facoltà per il contribuente di fornire la prova contraria e di dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Cass., sez. 5, 21/10/2015, n. 21358; Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9852; Cass., sez. 5, 30/12/2019, n. 34642).

Conseguentemente, come precisato da Cass., sez. 6-5, 12 dicembre 2016, n. 25472, il risultato del cd. test di operatività non è da solo idoneo a giustificare l’emissione della cartella D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, senza la previa emissione di un avviso di accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 38 e ss., costituendo il valore del test di operatività un dato meramente presuntivo, sulla base del quale il contribuente ben potrà fornire la prova contraria contestando le risultanze dei parametri e degli indici di cui alla L. n. 724 del 1994, citato art. 30.

Infatti, l’emissione di cartella a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, è ammissibile solo quando l’importo scaturisca da un controllo meramente formale dei dati forniti dallo stesso contribuente o da una mera correzione di errori materiali o di calcolo, ma non quando, come nel caso in esame, presuppone la risoluzione di questioni giuridiche (Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11292; Cass., sez. 5, 8/06/2018, n. 14949; Cass., sez. 5, 21/03/2019, n. 7960).

5. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata.

Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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