Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29733 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. I, 19/11/2018, (ud. 12/06/2018, dep. 19/11/2018), n.29733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25041/2015 proposto da:

A.P., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Clodio

n. 32, presso lo studio dell’avvocato Ciabattini Lidia,

rappresentato e difeso dagli avvocati Girgenti Ornella, Tanca

Francesco, Tosi Paolo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione, in persona del Curatore

dott. D.P.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Livio

Andronico n. 24, presso lo studio dell’avvocato Loiacono Romagnoli

Maria Teresa, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

La Gioia Claudio, Romagnoli Ilaria, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1199/2015 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato

il 22/09/2015;

viste le memorie delle parti ex art. 378 c.p.c.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/06/2018 dal cons. VELLA PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato E. Puccetti, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato La Gioia che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il signor A.P., nominato Presidente del Consiglio di Amministrazione della società (OMISSIS) S.p.a. (di cui era già componente dal 2005) il (OMISSIS) e assunto il giorno successivo dallo stesso C.d.A. come Direttore Generale (in sostituzione del dimissionario P.E.), con la qualifica di dirigente, ha insinuato al passivo del Fallimento “(OMISSIS) S.p.a. in liquidazione” (dichiarato dal Tribunale di Brescia con sentenza n. 48/2010) i seguenti crediti: Euro 444.628,88 in via privilegiata ex art. 2751-bis c.c., n. 1, per retribuzioni maturate sino al 13/02/2009 (data di licenziamento per giusta causa), t.f.r., indennità sostituiva di preavviso e ferie non godute, indennità supplementare e risarcimento danni da demansionamento; Euro 191.000,00 in via privilegiata ex art. 2751-bis c.c., n. 2, a titolo di compenso per l’attività di amministratore, svolta quale componente del C.d.A. sino alla revoca per giusta causa nell’agosto 2008; Euro 23.772,83 88 in via privilegiata ex artt. 2749,2755 e 2779 c.c., per spese legali di recupero dei crediti ante fallimento; Euro 500.0 00,00 in via chirografaria a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali “da condotte emulative e vessatorie”.

2. Il giudice delegato ha accolto la domanda limitatamente alla somma di Euro 25.000,00 in via chirografaria, per compensi arretrati per l’attività di amministratore, con esclusione di ogni pretesa afferente il rapporto di lavoro subordinato, ritenuto “inesistente, trattandosi di amministratore con delega”.

3. Adito dall’ A. con opposizione ex art. 98 L. Fall., il Tribunale di Brescia ha stabilito, per quanto rileva in questa sede: 1) che un complesso di elementi istruttori (testimoniali e indiziari) rendeva “incontestabile la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale, quantomeno apparente”, tanto che la stessa curatela aveva discusso anche della legittimità dell’intimato licenziamento; 2) che ai fini della configurabilità del rapporto di lavoro subordinato tra una società di capitali ed un componente del C.d.A. era onere di quest’ultimo fornire la prova del vincolo di subordinazione, essendo la qualifica di amministratore compatibile con quella di lavoratore subordinato “solo ove sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita”, in difetto dovendo ritenersi “la nullità del rapporto di lavoro”, salvo il diritto al compenso quale amministratore; 3) che l’opponente non aveva “fornito idonea prova dell’attribuzione (e del concreto svolgimento) di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita”, e ciò trovava “conferma nelle risultanze della copiosa prova testimoniale assunta nel corso dell’istruzione (diretta prevalentemente a dimostrare l’elemento della subordinazione nei confronti dell’amministratore di fatto P.G.) e, soprattutto, nell’elenco proposto dallo stesso A. di pretese “mansioni connesse alla funzione di Direttore Generale” (pagg. 12 e seguenti del ricorso ex art. 98 L. Fall.), mansioni che, a ben vedere, appaiono proprie della carica sociale rivestita”; 4) che difettava quindi “idonea prova della valida costituzione di un rapporto di lavoro subordinato”.

4. L’ A. ha impugnato il suddetto decreto con ricorso affidato a cinque motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2704 c.c., relativamente alla opponibilità al fallimento dei documenti attestanti il rapporto di lavoro del dott. A. (art. 360 c.p.c., n. 3)” per avere il Tribunale ritenuto insussistente il dedotto rapporto di lavoro pur dopo aver dato atto che i documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo (proposta di assunzione, contratto di lavoro e buste paga) avevano data certa anteriore al fallimento.

1.1. La censura è inammissibile perchè non sembra cogliere l’effettiva ratio decidendi del decreto impugnato, con cui il Tribunale non nega affatto – ma anzi afferma esplicitamente – l’esistenza di documenti aventi data certa anteriore al fallimento, nonchè di un “complesso di elementi istruttori (testimoniali e indiziari) che rendono francamente incontestabile la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale, quantomeno apparente, fra l’ A. e la società poi fallita”, aggiungendo, però, che esso sarebbe sostanzialmente nullo, avendo ad oggetto le medesime mansioni da questi svolte quale amministratore della società.

1.2. In ogni caso, l’error in iudicando per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non è correttamente prospettato, in quanto, per un verso, non emerge alcuna violazione del principio dispositivo e, per altro verso, il principio del libero convincimento del giudice opera sul piano dell’apprezzamento di merito, come tale sindacabile in sede di legittimità solo attraverso la denunzia di un difetto motivazionale, nei limiti ora consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (Cass. Sez. 3, 12/10/2017 n. 23940). Al riguardo, questa Corte ha chiarito che l’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito può essere sindacato solo sotto due profili: “qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass. Sez. 1, 28/02/2018, n. 4699; conf. Cass. 11/10/2016, n. 20382).

2. Con il secondo mezzo si deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1415,1417 e 2697 c.c., relativamente all’onere probatorio circa la eccepita simulazione del rapporto di lavoro (art. 360 c.p.c., n. 3)”, per avere il Tribunale ritenuto che il ricorrente dovesse “ulteriormente provare sia la sussistenza del vincolo della subordinazione sia l’attribuzione di mansioni diverse dalla carica sociale rivestita”, gravando invece sulla curatela l’onere di provare l’eccezione di simulazione del rapporto di lavoro, “essendo pacifica la stipulazione del contratto di lavoro”.

2.1. Come la precedente, anche questa censura non sembra cogliere l’effettiva ratio decidendi della pronuncia impugnata, poichè si sofferma sul mancato assolvimento, da parte della curatela, dell’onere di provare l’eccezione di simulazione del rapporto di lavoro, quando in realtà il Tribunale non ha affatto accolto quella eccezione, ma ha ritenuto che il rapporto di lavoro sia stato invalidamente costituito, non avendo il ricorrente “fornito idonea prova dell’attribuzione (e del concreto svolgimento) di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita” – ossia quelle di presidente, con deleghe, del C.d.A. – ed essendo comunque risultato il contrario dall’istruttoria espletata.

2.2. Peraltro, il Tribunale ha fatto specificamente leva sul precedente per cui “La qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima solo ove sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita. Nell’ipotesi in cui la suddetta diversità non sussista e si verifichi l’attribuzione soltanto delle funzioni proprie del rapporto organico la nullità del rapporto di lavoro avente ad oggetto tali funzioni non esclude il diritto al compenso eventualmente pattuito in favore degli amministratori della società” (Sez. L., 12/01/2002, n. 329).

2.3. Detto orientamento è stato anche di recente confermato, nel senso che “Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purchè si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società” (Sez. 1, 30/09/2016, n. 19596; conf. Cass. n. 24972 del 2013).

2.4. E’ stato altresì precisato che la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato del componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali costituisce un “accertamento del giudice di merito, insindacabile in cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici” (Sez. L 08/02/1999 n. 1081, con riguardo alla esclusione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di un amministratore delegato di società di ridotte dimensioni, titolare di amplissimi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione e assoggettato solo ad una normale attività di controllo da parte del consiglio di amministrazione; conf. Sez. 1, 22/09/2000 n. 12546; Sez. 6-1, 03/05/2013 n. 10396).

3. Nel terzo motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., relativamente alla motivazione apparente del capo di sentenza sulla mancata prova della valida costituzione di un rapporto di lavoro subordinato (art. 360 c.p.c., n. 4)” – ci si duole che il Tribunale non abbia “in alcun modo illustrato le ragioni per cui la “copiosa prova testimoniale assunta” non avrebbe dimostrato la distinzione tra il ruolo di Presidente del C.d.A. e la funzione di Direttore Generale”, nè tra le corrispondenti mansioni.

3.1. La censura è infondata, in quanto il sostrato motivazionale della decisione impugnata non risulta al di sotto della soglia del “minimo costituzionale” cui, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), si è ridotto il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Sez. U, 8053/2014).

3.2. Secondo l’insegnamento delle sezioni Unite di questa Corte, può invero ritenersi meramente “apparente” solo la motivazione che, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U., n. 22232 del 2016), mentre nel caso di specie il Tribunale ha sufficientemente chiarito il proprio percorso motivazionale, nei termini già indicati, facendo esplicito riferimento non solo alle “risultanze della copiosa prova testimoniale assunta nel corso dell’istruzione (diretta prevalentemente a dimostrare la sussistenza dell’elemento della subordinazione nei confronti dell’amministratore di fatto P.G.)”, ma anche – “e soprattutto” – allo specifico “elenco proposto dallo stesso A. di pretese “mansioni connesse alla funzione di Direttore Generale” (pagg. 12 e seguenti del ricorso ex art. 98 L. Fall.); mansioni che, a ben vedere, appaiono proprie della carica sociale rivestita”.

4. Con il quarto mezzo si assume la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,2380 bis, 2381,2392 e 2396 c.c., relativamente alla diversità della funzione di amministratore delegato e di direttore generale (art. 360 c.p.c., n. 3)” per non avere il Tribunale considerato che le menzionate disposizioni “qualificano gli amministratori come rappresentanti della società secondo un rapporto di immedesimazione organica… mentre qualificano i direttori generali come prestatori di lavoro cui siano affidati determinati poteri di gestione e direzione”.

4.1. La censura è inammissibile poichè, sebbene veicolata come violazione di legge, riguarda in realtà il giudizio di merito e coinvolge la valutazione delle risultanze probatorie operata dal giudice a quo.

4.2. Al riguardo, questa Corte ha più volte chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), può rivestire la forma della violazione di legge – intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato – e della falsa applicazione di norme di diritto – intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero nella deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua – pur corretta – interpretazione (Cass. 26 settembre 2005, n. 18782); b) non integra nè violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra la violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) e l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata – come nel caso di specie – dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11/01/2016 n. 195; 30/12/2015 n. 26110; 04/04/2013 n. 8315; 16/07/2010 n. 16698; 26/03/2010 n. 7394; cfr. Sez. U. 05/05/2006 n. 10313).

5. Il quinto motivo prospetta infine la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di simulazione del rapporto di amministrazione e relativa qualificazione in termini di lavoro subordinato (art. 360 c.p.c., n. 4)”, avendo l’opponente chiesto, “in via subordinata rispetto alla rivendicata sussistenza di una duplicità di rapporti con il (OMISSIS)”, che fosse semmai ritenuto simulato “il rapporto di amministrazione”, piuttosto che quello di lavoro subordinato.

5.1. La censura è infondata, per insussistenza del prospettato error in procedendo; dalla lettura del decreto impugnato emerge in realtà una pronuncia implicita di rigetto, avendo il Tribunale espressamente ritenuto invalido il solo rapporto di lavoro subordinato dirigenziale, peraltro dopo aver confermato la parziale ammissione al passivo del ricorrente a titolo di compensi residui per lo svolgimento della carica di presidente del consiglio di amministrazione della società (v. punto 3 del decreto impugnato, intitolato “Compenso di amministratore”).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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