Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29733 del 12/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/12/2017, (ud. 10/10/2017, dep.12/12/2017),  n. 29733

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione del 13 settembre 1984, V.M. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Bergamo, la madre G.E., vedova V., e i fratelli V.A. e V.M.R.. Esponeva di aver ottenuto il sequestro giudiziario di tutti i beni relitti dal padre in data 8 agosto 1984 e, accanto alla convalida del provvedimento, domandava la divisione del patrimonio ereditario, oltre al risarcimento dei danni.

I convenuti, ritualmente costituiti, negata la sussistenza dei danni lamentati, dichiaravano di non opporsi alla divisione.

1.1. – V.M. – con distinta citazione, notificata il 20 marzo 1990 – chiedeva altresì l’accertamento della qualità di proprietaria a titolo di legato degli immobili siti in (OMISSIS), oltre a formulare altre domande nei confronti della madre e del fratello A..

1.2. – Riuniti i giudizi, all’esito dell’istruttoria, decedeva G.E., sicchè la causa, dopo l’interruzione, era riassunta nei confronti dei convenuti, nella loro qualità di eredi.

Nel giudizio intervenivano altresì A. e B.A., figli di V.M., in conseguenza della di lei rinuncia all’eredità materna.

1.3. – Rimessa la causa al collegio, il Tribunale di Bergamo – con sentenza non definitiva, depositata il 10 febbraio 2000 accertava la qualità di erede universale in capo a V.M., le attribuiva la casa di (OMISSIS), da imputarsi nella sua quota ereditaria, ordinava il rilascio dell’immobile e, con separata ordinanza, rimetteva la causa sul ruolo per il prosieguo dell’istruttoria. Tale pronuncia, impugnata da V.M.R. e V.A., veniva confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza depositata il 18 febbraio 2003, passata in giudicato.

1.4. – Riassunta la causa, espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza definitiva, depositata il 18 settembre 2007, il Tribunale di Bergamo dichiarava lo scioglimento della comunione, assegnando i lotti formati dal C.T.U., e compensava interamente le spese processuali.

2. – Con atto notificato il 23 ottobre 2008, V.M.R. e V.A. proponevano appello avverso la sentenza definitiva.

Si costituiva in giudizio V.M., contestando gli assunti avversari e svolgendo, a sua volta, appello incidentale per ottenere l’esclusione dell’immobile di (OMISSIS) dalla quota ereditaria, nonchè il risarcimento dei danni da lucro cessante e danno emergente e l’intera rifusione delle spese di lite.

Si costituivano altresì A. e Ba.An., concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

2.1. – La Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 20 settembre 2012, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Bergamo del 18 settembre 2007, rideterminava i conguagli tra le quote spettanti agli eredi come da dispositivo e confermava nel resto la decisione impugnata, compensando tra le parti le spese del gravame.

3. – Per la cassazione della pronuncia della corte d’appello ha proposto ricorso V.A. sulla base di due motivi.

V.M. si è costituita con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale fondato su tre motivi.

V.M.R., A. e Ba.An., pur regolarmente intimati, non si sono costituiti.

In prossimità dell’udienza, le parti costituite hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Vanno innanzitutto affrontati i primi due motivi del ricorso incidentale, prospettando questioni in grado di incidere sull’intera ricostruzione della fattispecie, così come effettuata in sede di merito.

1.1. – Con il primo motivo del ricorso incidentale V.M. prospetta la violazione degli artt. 2909,588,727,728 e 734 c.c. Si contesta, al riguardo, la sentenza d’appello nel punto in cui riconosce effetti obbligatori e non reali all’attribuzione, effettuata dal de cuius, dell’abitazione in (OMISSIS). Il conferimento della proprietà dell’immobile in questione sarebbe avvenuto come institutio ex re certa e il relativo accertamento sarebbe coperto da giudicato sostanziale in relazione alla sentenza parziale del Tribunale di Bergamo che, riconoscendo la qualità di erede universale di V.M., le ha attribuito l’immobile in oggetto da imputarsi alla sua quota ereditaria. Tale pronuncia parziale è poi passata in giudicato a seguito del rigetto dell’impugnazione da parte della Corte d’appello di Brescia con la sentenza depositata il 18 febbraio 2003. L’immobile oggetto della institutio ex re certa, essendo già stato attribuito dal de cuius, costituendo un atto di divisione del proprio patrimonio ex art. 734 c.c., doveva essere computato nella quota ereditaria ma andava escluso dalle operazioni di divisione in senso proprio, con la conseguente inapplicabilità dei criteri adottati per la divisione dei beni comuni circa il momento di riferimento della valutazione. La valutazione del bene oggetto della institutio ex re certa, al fine di determinare i conguagli in denaro, doveva quindi essere effettuata non con riferimento al valore del bene al momento dello scioglimento della comunione, non essendo parte di tale comunione, ma al suo valore al momento dell’apertura della successione. Sul bene oggetto della institutio ex re certa, la corte avrebbe inoltre dovuto applicare la rivalutazione, secondo gli indici ISTAT, sul conguaglio, determinato alla stregua del valore alla data di apertura della successione.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale si prospetta la violazione degli artt. 2909,588,727,728,734 e 2043 c.c. con cui la ricorrente incidentale chiede la rideterminazione dell’importo dovuto da V.A. a titolo di occupazione dell’immobile oggetto della institutio ex re certa. Evidenziando l’efficacia reale della disposizione testamentaria con la quale il de cuius ha destinato a V.M. l’immobile sito in (OMISSIS), la ricorrente incidentale ritiene che l’indennità di occupazione sia dovuta per l’intero e non in ragione della quota di 5/12 dell’asse ereditario spettante all’occupante, come stabilito nella sentenza d’appello.

1.2. – I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.

Con sentenza non definitiva, depositata il 10 febbraio 2000, confermata dalla pronuncia d’appello del 18 febbraio 2003, passata in cosa giudicata, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto che l’immobile sito in (OMISSIS), sia stato attribuito a V.M. quale institutio ex re certa (art. 588 c.c., comma 2), da imputarsi alla sua quota, escludendo al tempo stesso che tale attribuzione costituisse un legato.

L’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, ai sensi dell’art. 2909 c.c., entro i limiti oggettivi che sono segnati dai suoi elementi costitutivi, come tali rilevanti per l’identificazione dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si fonda, costituiti dal titolo della stessa azione (causa petendi), dal bene della vita che ne forma l’oggetto (petitum mediato) a prescindere dal tipo di sentenza adottato (petitum immediato) (Cass. 3 novembre 2004, n. 21069).

Entro questi limiti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, restando salva e impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificati dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si è formato, e fissa la regola del caso concreto, partecipando della natura dei comandi giuridici, e la sua interpretazione deve essere assimilata alla interpretazione delle norme giuridiche (Cass., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24664).

1.3. – Tanto permesso in punto di diritto, con riferimento alla pronuncia passata in giudicato che ha imputato l’immobile sito in (OMISSIS) alla quota di V.M., cristallizzando tale affermazione, deve osservarsi che l’imputazione in oggetto non può che avvenire con i conguagli e su questo neanche la ricorrente incidentale si oppone, lamentandosi delle modalità di calcolo degli stessi e del valore da attribuirsi al bene.

Non si pone, pertanto, alcuna questione di legittimità della divisione o del rapporto tra criteri dettati per la divisione (art. 733 c.c.) e la divisione disposta direttamente dal testatore (art. 734 c.c.), nè dalle parti è stata prospettata la lesione della quota di legittima o della congruità delle attribuzioni.

Se il bene va considerato nella quota ai fini della determinazione dei conguagli – secondo quanto sul punto deciso dai giudici del merito, che hanno ricondotto alla quota ereditaria l’attribuzione del cespite voluta dal testatore – vuol dire che deve essere diviso e, pertanto, il suo valore non può che essere determinato insieme agli altri beni oggetto della divisione.

Risulta quindi corretta la determinazione delle quote, così come disposta dal giudice del merito, con riferimento alla valutazione contestuale compiuta dal consulente tecnico.

Essendo infondato il primo motivo (riguardante la valutazione del bene oggetto della institutio ex re certa, al fine di determinare eventuali conguagli in denaro), ne consegue il rigetto anche del secondo (rideterminazione dell’importo dovuto a titolo di occupazione dell’immobile oggetto della institutio ex re certa), strettamente connesso alle ragioni poste a fondamento del primo e alla determinazione della quota.

2. – Il terzo motivo del ricorso incidentale – riguardante la rivalutazione delle somme dovute da V.M., in favore dei condividenti, a titolo di conguaglio del valore dell’immobile assegnatole – va invece esaminato all’esito dei motivi contenuti nel ricorso principale.

3. – Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 718,725,726 e 727 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativamente al mancato adeguamento dei valori degli immobili oggetto di divisione. Si deduce, al riguardo, che in grado d’appello V.A. e la sorella V.M.R. avevano chiesto che venisse disposta una nuova valutazione dei beni ereditari, atteso che il progetto divisionale fatto proprio dal collegio in primo grado era stato redatto nel giugno 2001, ovverosia sei anni prima del deposito della sentenza del Tribunale di Bergamo (2007) e undici anni prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni in appello (2012). La richiesta si fondava sul fatto che nel lasso di tempo intercorso tra la valutazione operata dal consulente d’ufficio e quello della decisione i beni immobili avevano mutato valore in maniera tra loro non omogenea. Si evidenziava, in particolare, che i beni attribuiti a V.M., tra cui la casa familiare utilizzata quale propria abitazione, avevano goduto di una rivalutazione superiore rispetto a quella che aveva interessato gli immobili assegnati all’odierno ricorrente e alla sorella R., un secondo appartamento e altre unità immobiliari all’interno di un fabbricato degradato, rimasti inutilizzati per oltre vent’anni senza ricevere le minime opere di manutenzione ordinaria. Tali deduzioni erano corroborate dalle valutazioni espresse in una perizia valutativa allegata in giudizio. In definitiva, il lotto assegnato a V.M. avrebbe subito un incremento di valore più che proporzionale rispetto a quello assegnato all’odierno ricorrente, che avrebbe subito un detrimento più che proporzionale, talmente elevato da travalicare il valore delle porzioni quale risultante da una tale divisione e inficiare la corrispondenza tra le singole porzioni e il valore effettivo dei beni attribuiti a seguito della divisione, stabilito dagli artt. 726 e 727 c.c.

3.1. – Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di divisione ereditaria, la stima dei beni per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al loro valore venale al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di presentazione della relativa domanda giudiziale (Cass. 21 ottobre 2010, n. 21632; Cass. 10 luglio 2006, n. 15634).

Al riguardo, si è specificato che, nel relativo giudizio, occorrendo assicurare la formazione di porzioni di valore corrispondente alle quote, può farsi riferimento alla stima dei beni effettuata in data non troppo vicinà a quella della decisione soltanto se si accerti che, nonostante il tempo trascorso, per la stasi del mercato o per il minor apprezzamento del bene in relazione alle sue caratteristiche, non sia intervenuto un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima (Cass. 16 febbraio 2007, n. 3635). Il relativo accertamento è riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità qualora non sia sorretto da una motivazione logica e adeguata.

Come recentemente affermato da questa Corte (Cass., ord., 26 luglio 2017, n. 18546), la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del relativo valore – con riguardo a natura, ubicazione, consistenza, possibile utilizzazione e condizioni di mercato – rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito, le cui valutazioni in proposito sono insindacabili in sede di legittimità, anche a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se sostenute da adeguata e razionale motivazione.

La parte che solleciti una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall’epoca della stima deve peraltro allegare ragioni di significativo mutamento del valore degli stessi intervenute medio tempore, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso (Cass. 21 ottobre 2010, n. 21632; Cass. 6 febbraio 2009, n. 3029). Tale affermazione non inficia il principio generale secondo il quale il valore dei beni da dividere va considerato con riferimento al momento della divisione, al fine di garantire il rispetto dell’equilibrio tra le quote.

Nel caso di specie, con apprezzamento insindacabile in sede di legittimità, la corte d’appello ha ritenuto che nel periodo trascorso tra la valutazione del consulente tecnico d’ufficio e la pronuncia di primo grado non si fossero registrati particolari effetti inflattivi o manovre speculative che avessero stravolto il mercato immobiliare, escludendo che la perizia di parte, definita laconica, avesse fornito riscontri oggettivi per una diversa valutazione dei cespiti.

4. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 718 e 727 c.c.relativamente alla disposizione di conguagli in danaro in luogo dell’attribuzione dei beni ereditari. Il ricorso evidenzia che la sentenza d’appello ha confermato la divisione effettuata dalla pronuncia di primo grado nell’impianto generale, fatta eccezione per la correzione dell’errore relativo all’attribuzione ai soli A. e Ba.An. della quota di eredità del de cuius che spettava alla di lui moglie, G.E., e fatta eccezione per la rivalutazione dei conguagli relativi alla divisione. La corte d’appello avrebbe peraltro errato nel disporre una doppia divisione, la prima relativa ai soli beni immobili e la seconda relativa ai mobili, da ciascuna delle quali derivano distinte porzioni secondo le ideali quote spettanti a ciascuno dei condividenti, con relativi distinti conguagli, uno per quanto attiene la divisione immobiliare e un altro riguardo alla divisione mobiliare. La divisione dei beni immobili separata dalla divisione di quelli mobili avrebbe portato come conseguenza una duplicazione dei conguagli in danaro e un incremento del loro valore. Atteso l’elevato numero di beni da suddividere, sarebbe stato possibile assegnare una quota dei beni a conguaglio ai sensi dell’art. 718 c.c. e rispettare il principio di omogeneità indicato nell’art. 727 c.c. – secondo cui le porzioni di ciascuno dei condividenti devono essere formate in modo da avere beni mobili e immobili o crediti di uguale natura o qualità – senza che la rigorosa applicazione del medesimo determinasse un pregiudizio del diritto dei condividenti a conseguire una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quella spettante singolarmente sulla massa.

4.1. – Il motivo è infondato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio stabilito dall’art. 727 c.c., in virtù del quale nello scioglimento della comunione il giudice deve formare lotti comprensivi di eguali quantità di beni mobili, immobili e crediti, non ha natura assoluta e vincolante, ma costituisce un mero criterio di massima (Cass. 6 febbraio 2009, n. 3029; Cass. 16 giugno 2008, n. 16219; Cass. 22 novembre 2000, n. 15105).

Ne consegue che resta in facoltà del giudice della divisione formare i lotti anche in maniera diversa, là dove ad esempio ritenga che l’interesse dei condividenti sia meglio soddisfatto attraverso l’attribuzione di un intero immobile, piuttosto che attraverso il suo frazionamento, e il relativo giudizio è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato (Cass. 16 giugno 2008, n. 16219; Cass. 22 novembre 2000, n. 15105).

Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto di dover confermare la decisione del tribunale che aveva distinto le quote dei beni mobili da quelli immobili sulla scorta delle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio, avendo riguardo alla necessità di razionalizzare la suddivisione dei numerosi beni mobili lasciati in eredità al fine di compiere una valutazione fedele dell’intero asse ereditario. Sulla base di tali presupposti non si ravvisano gli errori dedotti sul piano della presunta duplicazione dei conguagli, non risultando censurabili al riguardo gli apprezzamenti compiuti dal giudice di merito.

5. – Deve infine essere esaminato il terzo motivo del ricorso incidentale con cui si denuncia la violazione degli artt. 718,726 e 728 c.c. Si contesta, in particolare, la sentenza d’appello – nella parte in cui ha disposto la rivalutazione delle somme dovute da V.M., in favore dei condividenti, a titolo di conguaglio del valore dell’immobile assegnatole. La ricorrente incidentale ritiene che la sentenza, dopo aver affermato che non vi fossero, nel caso di specie, i presupposti per procedere a una nuova valutazione dei beni immobili non avrebbe potuto procedere alla rivalutazione dei conguagli.

5.1. – Il motivo è fondato.

La determinazione del conguaglio in denaro, ai sensi dell’art. 728 c.c., a carico di colui cui viene attribuita la porzione in natura di maggior valore e a favore del condividente al quale è attribuita la porzione di minor valore, prescinde dalle singole domande delle parti, atteso che essa attiene alle concrete modalità di attuazione del progetto divisionale devolute alla competenza del giudice e la sentenza di scioglimento della comunione persegue il mero effetto di perequare il valore delle rispettive quote (Cass. 26 marzo 2008, n. 7833).

Tuttavia, la rivalutazione d’ufficio da parte del giudice del debito di valore è dovuta se e nei limiti in cui nel frattempo vi sia stata una apprezzabile lievitazione del prezzo di mercato del bene, tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono rispettivamente titolari i condividenti e quindi una alterazione della funzione di riequilibrio cui il conguaglio è finalizzato (Cass. 3 luglio 2014, n. 15288). Ciò che spetta alla parte è solo un onere di allegazione circa l’avvenuta verificazione della sproporzione eventualmente intervenuta, al fine di sollecitare i poteri officiosi di accertamento del giudice.

Nel caso di specie, la corte d’appello non ha tenuto conto del principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione, procedendo alla rivalutazione in mancanza di un accertamento in ordine all’incremento significativo del prezzo di mercato dèi beni da conguagliare, avendo peraltro affermato poco prima proprio al fine di escludere una diversa valutazione dei beni immobiliari rispetto alla consulenza d’ufficio – che non si erano registrati particolari effetti inflattivi o manovre speculative che avessero stravolto, medio tempore, il mercato immobiliare.

5. – La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto del ricorso incidentale con rinvio alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, rigettando gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017

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