Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29730 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2020, (ud. 21/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7718/2014 R.G. proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Alberico II n. 33,

presso l’avv. Antonio Damascelli che lo rappresenta e difende per

procura speciale in calce al ricorso (Fax 080.5243068, p.e.c.

a.damascelli.giuffre.it);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 124/6/2014, pronunciata il 19.11.2013 e depositata il

21.1.2014;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 ottobre 2020 dal consigliere Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.V. presentava ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari per l’annullamento di due avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate di Bari aveva determinato sinteticamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5 il reddito complessivo netto di 57.137,00 Euro per l’anno 2007 e di 62.742,00 Euro per l’anno 2008, in contrasto con la capacità contributiva del contribuente emergente dalle dichiarazioni presentate, in cui aveva indicato un reddito imponibile di 2.125,00 Euro per l’anno 2007 e pari a zero, per l’anno 2008. L’accertamento traeva origine dal possesso da parte del contribuente di alcune autovetture, del costo di alcune polizze assicurative, del canone di locazione relativo all’abitazione principale, del consumo di energia elettrica per uso domestico, che facevano presumere una capacità di spesa, correlata ad esborsi di danaro ed a spese di gestione, non giustificata dal reddito imponibile dichiarato.

Il contribuente eccepiva la falsa applicazione della normativa citata, atteso che l’ufficio non aveva tenuto conto della circostanza che le autovetture, rappresentavano beni strumentali della propria attività e che l’ufficio non aveva tenuto conto della perdita di 33.847,00 Euro per un incendio subito il 26.6.2006, nè della perdita di 182.999,00 Euro a causa di due furti di pneumatici subiti nel 2007; inoltre non aveva tenuto conto del reddito percepito dal coniuge per tali anni di 13.869,00 Euro e di 7.849,00 Euro.

La C.T.P. di Bari accoglieva il ricorso, ma la Commissione tributaria regionale della Puglia con sentenza n. 124/6/2014, depositata il 21.1.2014, accoglieva l’appello interposto dall’Ufficio, ritenendo inadeguate le motivazioni opposte dal ricorrente e legittimo l’accertamento sintetico del reddito complessivo effettuato dall’Agenzia ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5.

Il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, e del D.M. 10 settembre 1992, ex art. 360, n. 3) richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 lamentando che la C.T.R. non avrebbe tenuto conto delle valide giustificazioni fornite, idonee a privare di qualsiasi valore probatorio i dati posti a fondamento della ripresa e della rideterminazione del reddito operata dall’Ufficio, talchè sarebbe errata la ratio decidendi della sentenza che ha limitato l’esclusione dal calcolo redditometrico soltanto ad alcune autovetture, pur avendo il ricorrente offerto la prova della destinazione di tutte le autovetture oggetto degli avvisi di accertamento utilizzate ai fini del calcolo.

Con il secondo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, ex art. 360 c.p.c., n. 3) richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 norme di cui la C.T.R. nel contestare la validità della giustificazione del furto (e dell’incendio) avrebbe fatto malgoverno, non avendo valorizzato l’elemento fattuale, il fenomeno storico dei fatti denunciati regolarmente al fisco e, sul piano giuridico, l’influenza della perdita rilevante nelle due annualità accertate (2007 e 2008) idonee a vincere la presunzione (semplice) dell’accertamento redditometrico.

I due motivi, suscettibili di trattazione unitaria, in quanto strettamente connessi, sono inammissibili in quanto tendono a sollecitare una revisione degli accertamenti di fatto operati dalla C.T.R. in ordine alla congruità dei redditi sinteticamente determinati dall’ufficio.

In particolare il ricorrente lamenta l’omessa e/o insufficiente valutazione dei riscontri documentali offerti nel giudizio di merito, con particolare riferimento alle autovetture che erano state escluse dal calcolo del reddito sintetico accertato, non tenendo conto che le stesse venivano utilizzate per l’attività commerciale esercitata, nonchè alle spese per la medesima attività svolta imputabili all’uso delle autovetture, oltre che alle spese per le polizze assicurative.

Tali doglianze si appalesano inammissibili in quanto il contribuente denuncia errori di giustificazione della decisione sul fatto, con riferimento al rapporto tra motivazione della sentenza d’appello e dati processuali; doglianze che pongono complessivamente un duplice e assorbente problema: quello della selezione dei dati offerti o comunque disponibili e quello dei limiti del controllo del giudice di legittimità sulla estensione della motivazione della decisione impugnata (v. Cass. Sez. 5, 21/01/2015, n. 961).

Sul primo tema è ormai consolidato in giurisprudenza il principio che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso (Cass. Sez. L., 20/02/2006, n. 36011. Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. E’, infatti, necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. Sez. 1, 13/01/2005, n. 520). In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purchè tale valutazione risulti logicamente coerente. Sotto tale profilo, dunque, l’odierna censura del ricorrente di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri: il che esula dai poteri del giudice di legittimità.

Sul secondo tema, riguardante i confini del controllo del giudice di legittimità sull’apparato motivazionale, è prevalente nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che il vizio di motivazione sia censurabile unicamente nella misura in cui risulti dal testo della decisione gravata dal ricorso. Il controllo di logicità del giudizio di fatto, infatti, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. Sez. L., 05/03/2002, n. 3161). Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un non consentito giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso sub specie di omesso esame di un punto decisivo (Cass. Sez. L., 06/03/2006, n. 4766). Sicchè, come si è detto in dottrina, “il controllo di legittimità è davvero incompatibile con un controllo sull’estensione della motivazione, perchè il significato delle prove lo deve stabilire il giudice di merito, non lo può definire il giudice di legittimità sulla base della lettura necessariamente parziale del ricorso”. Nè a ciò soccorre il principio di autosufficienza poichè “il divieto di accesso agli atti istruttori è la conseguenza di un limite all’ambito di cognizione della Corte di cassazione” e, dunque, “non ha una funzione solo logistica, che possa essere soddisfatta mediante la trascrizione”, così eludendo la esclusiva devoluzione al giudice di merito della selezione delle prove.

In sostanza, “con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. Sez. 5, 22/03/2017, n. 7324).

Nella specie, il giudice di appello ha correttamente impostato il proprio giudizio di merito sulla base dei principi di diritto evocati dal ricorrente, con specifico riguardo agli oneri probatori rispettivamente gravanti sulle parti litiganti, giungendo a conclusioni a lui sfavorevoli sulla base di analitiche considerazioni di merito che certamente non possono essere sindacate in questa sede. La C.T.R. infatti ha – con puntualità e congrua considerazione – analizzato in fatto gli argomenti su cui si fondava l’atto impositivo, con particolare riguardo alle perdite subite dal ricorrente a seguito di un incendio e di due furti, al reddito (invero modesto) del coniuge, al giro di affari dell’attività commerciale da lui esercitata (di 1.036.000 Euro nel 2007 e di 915.000 Euro nell’anno successivo) e agli asseriti risparmi accumulati con i quali avrebbe ripianato le perdite subite, rimarcando la inidoneità delle giustificazioni fornite a superare il ragionamento inferenziale/induttivo dell’Agenzia delle entrate (Cass. Sez. 6-5, 06/04/2011, n. 7921).

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso del contribuente e lo condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 4.100,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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