Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29729 del 12/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/12/2017, (ud. 04/10/2017, dep.12/12/2017),  n. 29729

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La R.O.L.F. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 409/2014 del 29 maggio 2014, che aveva parzialmente accolto l’appello formulato dalla stessa R.O.L.F. s.r.l. contro la sentenza n. 689/2009 resa in primo grado dal Tribunale di Ascoli Piceno.

M.V. si è difeso con controricorso, mentre l’altra intimata S.E. non ha svolto attività difensive.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

2. La sentenza della Corte di Appello di Ancona ha rideterminato in complessivi Euro 125.269,55 il compenso spettante all’ingegnere M.V. per l’attività professionale svolta, su incarico della R.O.L.F. s.r.l., in relazione alla costruzione in (OMISSIS) di un villino, cinque palazzine, opere di lottizzazione, un campo da tennis e di bocce e relativi spogliatoi. La causa era iniziata con citazione dell’8 aprile 1993 proposta dalla stessa R.O.L.F. s.r.l. per l’accertamento del credito dovuto all’ingegnere M., il quale domandava un compenso pari a Lire 402.889.200. Nel giudizio era poi intervenuta l’avvocato S.E., già difensore di Vitangelo M., a tutela del proprio credito verso l’ex cliente. Il Tribunale, con sentenza del 9 ottobre 2009, riconobbe al M. il compenso di Euro 211.144,24, oltre interessi legali dal 30 novembre 1995. Accogliendo in parte l’appello principale della R.O.L.F. s.r.l., e tenuto conto degli acconti da questa corrisposti dal gennaio 1985 al maggio 1991 per un complessivo importo di Euro 54.069,11, nonchè dei costi sostenuti dalla società documentati da parcelle dell’ingegnere M. per un totale di Euro 31.805,58, la Corte di Ancona ha ritenuto di dover detrarre dall’importo riconosciuto dal CTU e recepito nella sentenza di primo grado, pari ad Euro 211.144,24, la complessiva somma di Euro 85.874,69, già versata a titolo di acconto, rideterminando il saldo residuo dovuto dalla R.O.L.F. s.r.l. a M.V. in Euro 125.269,55, oltre interessi legali dal 30 novembre 1995 al saldo.

3. Sono infondate le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, depositata il 19 settembre 2017. Invero, la dedotta nullità della notifica del controricorso, eseguita ad un numero civico erroneo rispetto a quello dell’effettivo domicilio eletto dalla destinataria, deve dirsi sanata in quanto la medesima ricorrente la ha eccepita nella memoria, con ciò dimostrando che la notifica ha raggiunto il suo scopo, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, essendole poi stato ritualmente comunicato dalla cancelleria il successivo avviso di fissazione dell’adunanza camerale, che ha consentito alla parte di venire a conoscenza del controricorso (cfr. Cass. Sez. 1, 15/02/2007, n. 3455). Parimenti, non sussiste l’eccepita inammissibilità del controricorso per la mancata autonoma esposizione sommaria dei fatti di causa, in quanto, poichè il controricorso assolve alla sola funzione di contrastare l’impugnazione altrui, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 2, che richiama l’art. 366 c.p.c., comma 1, è sufficiente pure che l’atto si limiti, come avvenuto nella specie, a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero alla narrazione di essi contenuta nel ricorso (Cass. Sez. 3, 21/09/2015, n. 18483).

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte di Ancona detratto gli acconti sui compensi professionali, pari ad Euro 85.874,69, dal totale ottenuto comprensivo di interessi e rivalutazione.

Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 1224 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., in quanto la somma di Euro 211.144,24, indicata dal CTU e dal Tribunale di Ascoli Piceno, ed utilizzata dalla Corte d’Appello come base di calcolo per detrarne gli acconti, cumula indebitamente rivalutazione ed interessi per un totale di Euro 58.661,43.

Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c., per l’illegittimo riconoscimento di interessi anatocistici, ovvero di interessi sul compenso rivalutato e già comprensivo di interessi.

4.1. I tre primi motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano fondati nei limiti di seguito tracciati.

E’ certo in premessa che il credito del professionista per il compenso a lui spettante in ragione dell’attività svolta nell’esecuzione di un contratto d’opera, ex artt. 2230 c.c. e segg., è “di valuta”, e non si trasforma in credito “di valore” neppure per effetto dell’inadempimento del cliente, sicchè esso dà luogo, in caso di mora, alla corresponsione degli interessi nella misura legale, indipendentemente da ogni prova del pregiudizio subito, salvo che il creditore dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c. (Cass. Sez. 2, 24/09/2014, n. 20131; Cass. Sez. 2, 22/06/2004, n. 11594; Cass. Sez. 2, 15/07/2003, n. 11031). Come in ogni altro caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può, peraltro, ritenersi esistente in via presuntiva ove, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta, infatti, a qualunque creditore, fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio (Cass. Sez. U, 16/07/2008, n. 19499).

Sempre perchè trattasi di debito di valuta, allorchè, come nel caso in esame, sia intervenuto il pagamento di acconti prima della liquidazione, di questi il giudice deve tenerne conto facendo riferimento al criterio dettato dall’art. 1194 c.c., occorrendo perciò imputare il pagamento agli interessi ed alle spese, prima che al capitale, salvo diverso consenso del creditore, sempre che tanto il credito per il capitale quanto quello accessorio per gli interessi e le spese fossero simultaneamente liquidi ed esigibili (arg. da Cass. Sez. 1, 16/04/2003, n. 6022; Cass. Sez. 3, 27/10/2005, n. 20904).

La Corte di Ancona, col detrarre gli acconti di Euro 85.874,69 versati dalla debitrice tra il 1985 e il 1991 dal totale dovuto stimato dal CTU all’attualità in Euro 211.144,24 (totale che risulterebbe comprensivo di Euro 21.286,60 per interessi legali maturati al 30 novembre 1995 e di Euro 21.286,60 per rivalutazione), oltre ancora interessi legali dal 30 novembre 1995 al saldo, ha adoperato una motivazione obiettivamente incomprensibile, o comunque apparente, di piena adesione alle risultanze peritali, basandosi su affermazioni e pervenendo a conclusioni però inconciliabili coi richiamati principi di diritto.

5. Il quarto motivo di ricorso censura la violazione dell’art. 115 c.p.c., non avendo il M., a dire della ricorrente, mai fornito la prova dei compensi accessori e delle vacazioni pari a complessivi Euro 18.531,00.

5.1. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

La violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ovvero, come nella specie, ha condiviso le risultanze peritali, che confutavano le avverse allegazioni difensive delle parti (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892). Le considerazioni svolte nel quarto motivo (mancanza di documentazione attestante gli esborsi e le spese sostenute dall’ingegnere M., luogo sede del domicilio professionale dello stesso, difetto di prova delle prestazioni retribuite a vacazioni) si limitano a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza delle risultanze documentali, invitando la Corte di legittimità a disattendere le conclusioni del CTU, invece condivise dalla sentenza impugnata, ed a svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa.

6. Il quinto motivo di ricorso denuncia, infine, la violazione della L. n. 143 del 1949, art. 20, essendo identiche, e quindi da calcolare con unico compenso, le prestazioni relative alle cinque palazzine gemelle.

6.1. Il quinto motivo è inammissibile. Esso propone una questione di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, sicchè era onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta sua deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. L’accertamento che l’incarico conferito al professionista riguardasse l’esecuzione di più opere di tipo e di caratteristiche costruttive identiche, senza che il complesso di insieme richiedesse speciali cure di concezione, richiede all’evidenza nuovi accertamenti di fatto, che non possono essere compiuti per la prima volta nel giudizio di legittimità.

7. Il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso vanno dunque accolti, vanno rigettati i restanti motivi e la sentenza impugnata va cassata nei limiti delle censure accolte, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo altresì a regolare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12dicembre 2017

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