Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29725 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 19/11/2018), n.29725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7841-2018 proposto da:

E.N.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SARDEGNA N. 29, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato JACOPO RUSSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 655/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, del

il 24/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

VALITUTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

E.N.J. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 655/2018, che ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Caserta in data 14 luglio 2017, con la quale erano state rigettato le domande di riconoscimento della protezione internazionale proposte dall’istante;

il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello, confermando le statuizioni della decisione di prime cure, abbia erroneamente ritenuto, ai fini della concessione della protezione sussidiaria, insussistente il requisito di cui alla norma succitata, ossia la sussistenza, nel Paese di origine, di un danno grave alla persona, in caso di ritorno in Patria;

a tale conclusione la Corte territoriale, pur reputando credibili le dichiarazioni dell’istante, è pervenuta sulla base del rilievo che il suo allontanamento dalla Nigeria era dovuto ad una vicenda privata, “priva di alcuna matrice etnica, religiosa o politica”, derivata dall’investimento, da parte del richiedente, del figlio di un militare nigeriano, rimasto paraplegico in conseguenza del fatto; Ritenuto che: in via di principio, il diritto alla protezione sussidiaria non possa essere escluso dalla sola circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass., 20/07/2015, n. 15192; Cass., 03/07/2017, n. 16356; Cass., 09/10/2017, n. 23604);

peraltro, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197Cass., 28/06/2018, n. 17069);

Rilevato che: nel caso concreto, l’istante – nelle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale, trascritte nel ricorso – ha allegato di avere subito l’incendio della propria abitazione, per effetto della ritorsione posta in essere dal padre della vittima di un sinistro da lui provocato (un militare dell’esercito nigeriano), e di avere ricevuto minacce dal medesimo, senza che la polizia locale si fosse dimostrata in grado di fare alcunchè, essendosi limitata “ad offrire generiche rassicurazioni”;

soltanto nel giudizio di appello (v. sentenza impugnata, p. 3) – l’istante ha sostenuto che – per le carenze del sistema giudiziario locale, “caratterizzato da risorse insufficienti, corruzione e generale sfiducia” – il ritorno in Patria lo avrebbe esposto al pericolo di un grave pregiudizio personale, essendovi per lui il rischio di essere ucciso dal padre del ragazzo investito, senza operare, peraltro, come rilevato dalla Corte territoriale, riferimento alcuno a ragioni di carattere politico o religioso, tali da ricondurre la sua storia personale al contesto socio-politico della Nigeria;

nessun riferimento all’eventuale situazione di violenza indiscriminata risulta, inoltre, effettuata dal richiedente, tale da comportare l’obbligo per l’autorità giudiziaria di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione del Paese di origine;

Ritenuto che: in difetto di allegazioni – come rilevato dalla Corte d’appello, che ha richiamato, altresì, il disposto dell’art. 342 c.p.c. – circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata debba considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, (cfr. Cass., 15/02/2018, n. 3758);

Considerato che: con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello avrebbe “omesso di verificare se il contesto ordinamentale del Paese di provenienza fosse caratterizzato da un livello di violenza generalizzata”, tale da giustificare quanto meno la concessione della forma più attenuata di protezione, costituita dal permesso di soggiorno per ragioni umanitarie;

la censura si palesa, del pari infondata, non avendo – come dianzi detto l’istante allegato in sede di giudizio di merito l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata, nel Paese di provenienza, tale da comportare l’obbligo per l’autorità giudiziaria di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione del Paese di origine, e neppure l’eventuale sussistenza di altre condizioni di vulnerabilità suscettibili di rendere necessaria la forma di protezione in parola;

l’esito del giudizio sul motivo in esame non muta, peraltro, anche alla luce delle nuove disposizioni di cui al D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 – seppure applicabili alla fattispecie concreta – che non assumono rilievo alcuno rispetto ai fatti dedotti a fondamento dell’originaria domanda di protezione umanitaria;

Ritenuto che: per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.050,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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