Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29722 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. III, 15/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 15/11/2019), n.29722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17074/2018 proposto da:

VITTORIA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore C.C., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati MICHELE NANNEI, EBE NANNEI;

– ricorrente –

contro

COMUNE CAMBIAGO, in persona del Sindaco, domiciliato ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CRISTINA BASSANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1837/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

il Comune di Cambiago agì in sede monitoria nei confronti della Vittoria Assicurazioni s.p.a. per il pagamento della somma di 26.092,18 Euro a fronte della garanzia da essa prestata in favore della Akantieri s.r.l., in relazione all’esecuzione di opere di ampliamento e ristrutturazione della mensa scolastica comunale;

la Vittoria Assicurazioni si oppose al decreto ingiuntivo, eccependo – fra l’altro – l’avvenuta estinzione della garanzia ex art. 1251 c.c., atteso che il Comune non aveva compensato il proprio credito con quello della Akantieri, che era stato ceduto alla BPM, ed aveva provveduto al pagamento in favore della Banca cessionaria;

il Tribunale rigettò l’opposizione e confermò il decreto ingiuntivo, disponendo anche la condanna della opponente ex art. 96 c.p.c., comma 3;

la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado ed ha reiterato la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3;

ha proposto ricorso per cassazione la Vittoria Assicurazioni, affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; ha resistito il Comune di Cambiago con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1251 c.c., in relazione alla “sussistenza di una causa di estinzione della garanzia rilasciata da Vittoria Ass.ni s.p.a.”, sull’assunto che “fra il Comune di Cambiago, beneficiario della polizza, ed Akantieri s.r.l., contraente di polizza e debitrice principale, erano sorti plurimi rapporti di debito-credito tali da legittimare una necessaria compensazione”;

il motivo sviluppa quattro profili di censura:

col primo (sub A.1), la ricorrente assume che la cessione del credito alla BPM non era opponibile alla stazione appaltante (in quanto non effettuata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata), cosicchè “quest’ultima avrebbe potuto/dovuto eccepire la compensazione nei riguardi della società contraente”;

col secondo (A.2) e col terzo (A.3), la Vittoria Assicurazioni sostiene che, in ogni caso, l’amministrazione avrebbe potuto opporre alla Banca cessionaria tutte le eccezioni opponibili al cedente, ivi compresa quella di compensazione e, non avendolo fatto, non poteva più avvalersi, in pregiudizio di terzi, delle garanzie a favore del suo credito;

col quarto (A.4), la ricorrente rileva che il disposto dell’art. 1251 c.c., è “perfettamente compatibile con la sussistenza di un contratto autonomo di garanzia” (quale individuato dai giudici di merito) ed evidenzia come “l’eventuale escussione della garanzia avviata dal Beneficiario dopo aver rinunciato (volontariamente) alla possibilità di invocare la compensazione (…) risulterebbe (…) palesemente abusiva, fraudolenta nonchè contraria ai (…) principi di buona fede e correttezza “;

il motivo è inammissibile sotto tutti i profili, in quanto:

la censura circa l’inopponibilità al Comune della cessione del credito alla BPM è basata sull’assunto della inidoneità formale dell’atto autenticato dal segretario comunale che, tuttavia, contesta l’accertamento compiuto dalla sentenza appellata senza fornire – in ossequio al principio dell’autosufficienza – elementi idonei a consentire di apprezzare la postulata diversa natura dell’atto autenticato;

non risulta adeguatamente censurata l’affermazione della Corte secondo cui “l’inadempimento di Akantieri è stato verificato successivamente alla cessione del credito in favore di BPM”, ragione per cui “il Comune non avrebbe potuto operare nessuna compensazione, mancando i presupposti di cui all’art. 1243 c.c., cioè liquidità ed esigibilità dei rispettivi crediti”: in effetti, la scansione temporale della vicenda illustrata a pagg. 8 e 9 del ricorso (tesa a sostenere che il pagamento alla cessionaria era avvenuto diversi mersi dopo che il D.L. aveva comunicato al Comune l’impossibilità di rilasciare il certificato di regolare esecuzione dei lavori) risulta svolta in difetto degli elementi di riscontro e appare diretta a sollecitare un accertamento fattuale inibito in sede di legittimità;

la deduzione circa la compatibilità della previsione dell’art. 1251 c.c., con la sussistenza di un contratto autonomo di garanzia è priva di interesse per mancanza di oggetto, non essendo riferibile ad una contraria statuizione della Corte di Appello;

il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 113, comma 3, nonchè del D.P.R. n. 207 del 2010, art. 123, comma 1 e art. 161, comma 12, “in ordine all’erronea determinazione dell’entità residua della somma garantita”: assume la ricorrente che, in ragione dei SAL approvati e del certificato di ultimazione dei lavori, l’importo originario della garanzia si era ridotto “progressivamente fino a permanere in capo alla comparente un obbligo pari al 25% della somma garantita e così Euro 17.390,30”, escludendo che alla Vittoria Assicurazioni fossero opponibili “varianti” in aumento della garanzia che non aveva mai conosciuto nè tanto meno accettato;

il motivo è inammissibile in quanto non contrasta adeguatamente, evidenziandone l’infondatezza sul piano fattuale, l’affermazione della Corte che ha dato atto che il Tribunale aveva accertato che il Comune aveva provato di aver rinegoziato in aumento l’importo garantito ed ha ulteriormente rilevato che “le ricognizioni suppletive, approvate in corso d’opera e prodotte in atti, hanno determinato un aumento al rialzo della somma oggetto di garanzia”;

col terzo motivo, la ricorrente lamenta la “illegittimità della condanna della Compagnia per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3”, rilevando come le contestazioni svolte dalla opponente risultassero “pienamente fondate e meritevoli di accoglimento” e che la circostanza che alcune delle argomentazioni proposte fossero state disattese in sede cautelare non poteva assumere alcun rilievo, attesa la natura sommaria degli accertamenti svolti in tale sede, tanto più che i giudizi cautelari era stati promossi dalla Akantieri;

il motivo è inammissibile, in quanto non evidenzia errori di diritto, ma contesta la rilevanza degli elementi valorizzati dalla Corte d’Appello per affermare la responsabilità aggravata della ricorrente (ossia la palese infondatezza delle contestazioni svolte dalla Vittoria Assicurazioni e la circostanza che le questioni fossero state trattate in sede cautelare), così investendo un apprezzamento di fatto che non è censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della violazione motivazionale (cfr. Cass. 19298/2016), nei limiti ancora consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, che non è stato prospettata nella specie;

le spese di lite seguono la soccombenza;

la manifesta inammissibilità del ricorso giustifica la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a fronte di un’iniziativa processuale che evidenzia l’abuso dello strumento impugnatorio (cfr., per tutte, Cass. n. 5725/2019 e Cass., S.U. n. 9912/2018), stimandosi all’uopo adeguato l’importo di Euro 2.000,00;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Condanna altresì la ricorrente, ex art. 96 c.p.c., comma 3, al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore del controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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