Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29720 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. III, 15/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 15/11/2019), n.29720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22991/2016 proposto da:

S.M., S.A., S.L., V.F.,

S.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIOTTO 3

E, presso lo studio dell’avvocato CINZIA PIETROGRAZIA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIGLIOLA VALENTI

STOCCO;

– ricorrenti –

contro

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. VICO 1,

presso lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROSELLA FACCO,

FRANCESCO BALDON;

– controricorrente –

e contro

G.M., SI.MA., S.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1525/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 06/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

G.S. e M. agirono in giudizio per sentir accertare l’autenticità delle sottoscrizioni dell’atto del 18.7.1977 con cui S.F. (anche in nome e per conto dei comproprietari Si.Lu., R. e M.) aveva ceduto a G.V. (padre e dante causa degli attori) una porzione di terreno (facente parte di un più ampio appezzamento già condotto in affitto dal medesimo G.), deducendo che, fin dalla data della convenzione, gli immobili erano rimasti nella loro disponibilità, ma i venditori non avevano mai voluto formalizzare il trasferimento con atto pubblico;

i convenuti V.F. e S.F., R., Ma., A., M. e L. resistettero alla domanda, rilevando che G.V. e – dopo la sua morte – gli eredi non avevano adempiuto all’obbligo di liberare la restante parte del fondo (che era occupata da un subaffittuario) e chiesero, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al risarcimento dei danni per avere precluso l’accesso alla loro proprietà e per il degrado subito dagli immobili;

i G. proposero successiva domanda subordinata di accertamento di avvenuto acquisto per usucapione;

il Tribunale di Venezia accertò l’autenticità delle sottoscrizioni apposte nell’atto del 18.7.1977 e, per l’effetto, affermò l’avvenuto acquisto della proprietà in capo ai G., ordinando la trascrizione della sentenza; rigettò, invece, la domanda riconvenzionale dei convenuti;

la Corte di Appello di Venezia ha respinto il gravame dei S. e della V. osservando – fra l’altro – che, “a fronte dell’inadempimento dei G. all’obbligo di liberare e rilasciare la parte restante del fondo, i S. non hanno proposto domanda di risoluzione del contratto, che non può neppure ritenersi risolto di diritto”, ma “hanno solo proposto eccezione di inadempimento, a giustificare il proprio inadempimento all’obbligo di volturare il fondo ceduto”; che, “peraltro al momento della formulazione della domanda di declaratoria di autenticità delle firme (…), la parte restante del fondo era già nella disponibilità dei S.”; che, inoltre, “la domanda formulata in giudizio dai signori G. non è di esecuzione dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c., bensì di accertamento della autenticità delle firme dell’accordo scritto che aveva già trasferito la proprietà dei beni in questione, rispetto al quale non avrebbe, comunque, valenza risolutoria un eventuale inadempimento degli appellati”;

hanno proposto ricorso per cassazione V.F. e S.F., A., M. e L., affidandosi a due motivi; hanno resistito, con controricorso, G.S. e M..

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1460 e 1463 c.c. e censura la sentenza impugnata “per non aver valutato l’inadempimento dei signori G. nella giusta proporzione e per aver ritenuto necessaria da parte dei signori S. la domanda di risoluzione per inadempimento e non la sola eccezione di inadempimento”: assumono i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe dovuto respingere la domanda sulla base della proposta eccezione di inadempimento senza ritenere necessaria la proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento;

il motivo è infondato: correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che, a fronte di una domanda di accertamento della autenticità delle sottoscrizioni di un contratto di compravendita (già perfezionato con scrittura privata ancorchè necessitante dell’accertamento giudiziale ai fini della trascrizione), la mera eccezione di inadempimento risulti inidonea a inibire l’accoglimento (a differenza di quanto sarebbe potuto accadere in caso di domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.);

col secondo motivo, viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, individuato nella circostanza che non era stato rispettato il termine previsto dalla convenzione per la liberazione della restante porzione del terreno, sull’assunto che tale liberazione sarebbe dovuta avvenire nel 1977 (e non a distanza di 18 anni, come accaduto), tenuto presente che “per i signori S. la funzione economico sociale della convenzione del 1997 era ottenere la restituzione immediata del terreno agricolo”;

il motivo è inammissibile in quanto:

postula la previsione di una contestualità fra il trasferimento della porzione al G. e la liberazione – da parte dello stesso – del fondo residuo, che risulterebbe dal testo della convenzione, rispetto alla quale tuttavia il ricorso non ottempera all’onere di trascrizione di cui all’art. 366, n. 6;

non individua un fatto effettivamente decisivo giacchè la liberazione della residua parte del fondo non è comunque prospettata come elemento condizionante l’efficacia del contratto di compravendita;

non è correlato ad una censura della statuizione che ha negato ai S. e alla V. il risarcimento dei danni, rispetto alla quale l’individuazione del termine per il rilascio avrebbe potuto risultare rilevante;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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