Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29719 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. III, 15/11/2019, (ud. 30/09/2019, dep. 15/11/2019), n.29719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi iscritti al numero 21284 del ruolo generale dell’anno

2017 proposti da:

S.G., (C.F.: (OMISSIS)), M.A. (C.F.:

(OMISSIS)), MI.El. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi,

giusta procure allegate al ricorso, dall’avvocato Angelo Carbone

(C.F.: (OMISSIS));

– ricorrenti – controricorrenti al ricorso incidentale –

nei confronti di:

GENERALI ITALIA S.p.A. (C.F.: 00885351007), in persona dei

rappresentanti per procura Co.Pi. e P.M.,

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso,

dagli avvocati Renato Magaldi (C.F.: MGLRNT62C30F839C) e Franco

Tassoni (C.F.: TSSFNC65L13H501T);

– controricorrente – ricorrente in via incidentale –

ASSICURATORI DEI LLOYD’S SOTTOSCRITTORI DELLE POLIZZE N. (OMISSIS) E

N. (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Rappresentante

Generale per l’Italia, Sc.Vi. rappresentato e difeso, giusta

procura (rilasciata dalla Dott. ssa An.Ni.) in calce al

controricorso, dall’avvocato Guido Foglia (C.F.: FGLGDU74H28H501F);

A.F.G., (C.F.: (OMISSIS)), A.E.

(C.F.: (OMISSIS)) rappresentati e difesi, giusta procura in calce al

controricorso, dall’avvocato Arturo Rianna (C.F.: RNNRTR62T26F839D);

C.A. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta procura

in calce al controricorso, dall’avvocato Vittorio Sellitti (C.F.:

SLLVTR661321F839U);

– controricorrenti al ricorso principale –

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del Curatore pro tempore, rappresentato e

difeso, giusta procura a margine dei controricorsi, dall’avvocato

Livio Persico (C.F.: PRSLVI68L04F839P);

– controricorrente ai ricorsi principale e incidentale –

per la cassazione della sentenza del della Corte di Appello di Napoli

n. 2319/2017, pubblicata in data 29 maggio 2017 (che si assume

notificata in data 15 giugno 2017);

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

30 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento

dell’ottavo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri,

nonchè del ricorso incidentale;

l’avvocato Sergio D’Avino, per delega dell’avvocato Angelo Carbone,

per S.G., M.A. ed Mi.El.;

l’avvocato Renato Magaldi, per Generali Italia S.p.A.;

l’avvocato Alessandro Izzo, per delega dell’avvocato Livio Persico,

per la curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l.; l’avvocato Guido

Foglia, per gli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione ha agito in giudizio nei confronti di C.A., A.F.G., A.E., M.A., Mi.El. e S.G., rispettivamente amministratori (i primi tre) e sindaci (gli ultimi tre) della società fallita per ottenere il risarcimento dei danni da questi causati alla società e ai creditori sociali.

I sindaci hanno chiamato in giudizio, per essere garantiti in caso di condanna, le proprie compagnie di assicurazione della responsabilità civile (Ina Assitalia S.p.A., nelle cui posizioni soggettive è subentrata Generali Italia S.p.A., per il M. ed il Mi.; Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, per il S.) ed hanno proposto azione di manleva e regresso nei confronti degli amministratori convenuti.

Nel corso del giudizio è intervenuta transazione tra la curatela attrice e gli amministratori convenuti.

Il Tribunale di Nola ha: a) dichiarato cessata la materia del contendere nei rapporti tra la curatela attrice e gli amministratori convenuti; b) condannato i sindaci, in solido, a pagare alla curatela, a titolo risarcitorio, l’importo di Euro 479.946,30, oltre accessori; c) dichiarato le rispettive compagnie assicuratrici tenute a manlevare i sindaci condannati; d) rigettato la domanda di manleva dei sindaci nei confronti degli amministratori.

La Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado, che per il resto ha confermato, ha: a) condannato i sindaci, in solido, a pagare alla curatela, a titolo risarcitorio, il più elevato importo di Euro 1.342.494,03, oltre accessori; b) rigettato la domanda di manleva dei sindaci Mi. e S. nei confronti delle rispettive compagnie di assicurazione.

Ricorrono i sindaci M., Mi. e S., sulla base di nove motivi.

Al ricorso dei sindaci resistono, con distinti controricorsi: a) la curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione; b) Generali Italia S.p.A. (due distinti controricorsi); c) gli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra; d) gli amministratori A.F.G. ed E.; e) l’amministratrice C..

Generali Italia S.p.A. propone a sua volta ricorso incidentale, cui resistono, con distinti controricorsi: a) i sindaci M., Mi. e S.; b) la curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l..

Hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., i sindaci ricorrenti, la curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l., Generali Italia S.p.A., gli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premessa.

Preliminarmente vanno dichiarati inammissibili i controricorsi ed il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.A..

In caso di proposizione del ricorso (e/o del controricorso) a mezzo di procuratore speciale, ai sensi dell’art. 77 c.p.c., la produzione del relativo documento che contenga la procura è indispensabile per la verifica del corretto conferimento al procuratore dei poteri, sostanziali e processuali, a norma dell’art. 77 c.p.c.; in mancanza, il ricorso (o il controricorso) è inammissibile; il vizio è sempre rilevabile di ufficio (diversamente da quanto avviene in caso di costituzione del legale rappresentante dell’ente o di soggetto al quale il potere di rappresentanza deriva direttamente dall’atto costitutivo o dallo Statuto) e non basta che colui che si qualifica come rappresentante dell’ente in forza di una procura notarile ne indichi gli estremi, in quanto, se l’atto non è stato prodotto, resta ferma l’impossibilità di verificare il potere rappresentativo del soggetto (giurisprudenza costante di questa Corte; cfr. Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11898 del 07/05/2019, Rv. 653802 01; Sez. 2, Sentenza n. 4924 del 27/02/2017, Rv. 643163 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21803 del 28/10/2016, Rv. 642963 01; Sez. 3, Sentenza n. 16274 del 31/07/2015, Rv. 636620 01; Sez. L, Sentenza n. 23786 del 21/10/2013, Rv. 628512 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1345 del 21/01/2013, Rv. 624765 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 9091 del 05/06/2012, Rv. 622651 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13207 del 26/07/2012, non massimata; Sez. 1, Sentenza n. 22009 del 19/10/2007, Rv. 599237 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10122 del 02/05/2007, Rv. 597012 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11285 del 27/05/2005, Rv. 582413 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11188 del 26/05/2005, Rv. 582325 – 01).

Nella specie, Generali Italia S.p.A. risulta costituita in persona di Co.Pi. e P.M., che si dichiarano procuratori speciali, “muniti degli occorrenti poteri giusta procura a rogito notaio D.G.B. di Treviso del 18 dicembre 2014, rep. n. (OMISSIS)”.

Tale procura però non è stata prodotta: essa non risulta elencata nell’indice dei documenti allegati al ricorso e comunque non si rinviene in nessuno dei due fascicoli di parte della società.

Non è pertanto possibile la verifica dei poteri dei procuratori speciali costituiti per quest’ultima.

2. Il ricorso principale (proposto da M.A., Mi.El. e S.G.).

2.1 Con il primo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione ed erronea applicazione dell’art. 1322 c.c., art. 1341 c.c. e dell’art. 1917 c.c.. Violazione dei principi fondamentali in tema di meritevolezza di una clausola contrattuale”.

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5. Omesso e contraddittorio esame di un punto decisivo della controversia”.

I primi due motivi – riguardanti esclusivamente il rapporto di garanzia intercorrente tra il S. e gli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra – hanno in sostanza il medesimo oggetto e sono logicamente connessi; possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Le relative censure sono inammissibili, ancor prima che infondate.

La questione posta è quella della validità della clausola cd. claims made contenuta nella polizza assicurativa fatta valere dal S., in base alla quale resta esclusa la copertura per il sinistro oggetto della controversia in ragione della data in cui è stata avanzata la relativa richiesta risarcitoria.

L’assunto di parte ricorrente, per cui la clausola in questione non sarebbe valida, è essenzialmente fondato sul suo preteso carattere vessatorio, ai sensi dell’art. 1341 c.c..

In primo grado, effettivamente, il tribunale ha condiviso tale assunto; ritenuta la clausola di carattere vessatorio, ne ha dichiarato l’invalidità in quanto non sottoscritta specificamente ed ha conseguentemente accolto la domanda di manleva del S..

In sede di gravame, al contrario, la corte di appello ne ha escluso il carattere vessatorio, ritenendo che essa non fosse diretta a limitare la responsabilità dell’assicuratore ma ad individuare l’oggetto del contratto e fosse comunque meritevole di tutela, anche per la presenza della condizione di favore per l’assicurato costituita dall’estensione della garanzia ai danni causati da condotte poste in essere nei cinque anni anteriori al periodo di efficacia del contratto, in mancanza di altri e diversi elementi del contenuto negoziale di particolare sfavore per lo stesso assicurato. Ha altresì escluso la dedotta illegittimità della clausola in questione per contrasto con la disciplina dell’obbligo assicurativo (D.P.R. n. 137 del 2012, art. 5; D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5), essendo la polizza anteriore all’entrata in vigore delle norme in questione.

Ha di conseguenza rigettato la domanda di manleva proposta dal S. nei confronti degli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra.

Nel ricorso si sostiene, in sostanza, che la clausola non sarebbe meritevole di tutela, che essa sarebbe quindi vessatoria e come tale non valida, in quanto non sottoscritta specificamente (vengono richiamati anche alcuni precedenti di questa Corte che hanno affrontato la questione della validità di tale tipologia di clausole inserite nei contratti di assicurazione della responsabilità civile e, in particolare, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017, Rv. 644008 – 01).

Orbene, in primo luogo – nonostante nella rubrica si richiami l’art. 1322 c.c. e venga invocato un precedente di questa stessa Corte che sembra escludere, in generale, che tale tipologia di clausole sia meritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2 – in concreto ciò che si chiede di accertare è il carattere vessatorio della clausola, non la sua nullità ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2.

D’altra parte, anche a volersi porre nell’ottica del cd. giudizio di meritevolezza, le censure esposte nei motivi di ricorso in esame risulterebbero prive della necessaria specificità, in quanto non viene richiamato (e tanto meno trascritto) puntualmente il contenuto del contratto (e, segnatamente, delle due distinte polizze assicurative di cui si discute, di cui non è neanche sufficientemente chiarito l’oggetto e il periodo di efficacia), con tutte le relative clausole, come sarebbe stato necessario per consentire alla Corte di esaminare effettivamente nel merito la questione posta.

A prescindere, comunque, dai profili di inammissibilità dei motivi di ricorso in esame per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, risulta assorbente la considerazione che la decisione impugnata nella sostanza è pienamente conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte, a Sezioni Unite, in ordine alla non vessatorietà, alla validità ed alla operatività delle clausole cd. claims made contenute nei contratti di assicurazione della responsabilità civile.

In proposito è stato infatti dapprima sancito che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola “claims made” mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del D.Lgs. n. 206 del 2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 9140 del 06/05/2016, Rv. 639703 – 01) e, successivamente, che “il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917 c.c., comma 1, consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 1, della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale; tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22437 del 24/09/2018, Rv. 650461 – 01).

Nella specie, la corte di appello ha – del tutto correttamente, per quanto appena osservato – escluso la natura vessatoria della clausola in discussione, anche in base ad una valutazione dello specifico contenuto del contratto (valutazione non censurabile nella presente sede), sostanzialmente ritenendo il relativo assetto sinallagmatico lecito e adeguato rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti. D’altra parte, non risulta dedotta alcuna violazione dei limiti di legge di cui all’art. 1322 c.c., comma 1, nè risultano avanzate specifiche censure in relazione ad eventuali domande o eccezioni pertinenti a particolari profili di illiceità della causa concreta del contratto ovvero attinenti alla fase precontrattuale (con particolare riguardo all’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e/o dell’attuazione del rapporto (con particolare riguardo all’eventuale inserimento di clausole abusive).

Le censure in esame, in definitiva, oltre a presentare evidenti profili di inammissibilità, risultano comunque infondate in diritto.

2.2 Con il terzo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5. Erronea valutazione del contratto di assicurazione di cui alla polizza n. (OMISSIS) stipulata dal Dottor Mi.El.. Erronea individuazione del periodo di validità del contratto. Conseguente erronea individuazione delle condotte omissive dei sindaci ed in particolare del dottor Mi.El.”.

Con il quarto motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione ed erronea applicazione degli artt. 1342,1362,1363,1366 c.c.. Conseguente operatività della polizza n. (OMISSIS)”.

Tali motivi sono inammissibili.

Le censure riguardano il rapporto di garanzia intercorrente tra il Mi. e Generali Italia S.p.A., fatto valere sulla base di due diverse polizze assicurative, entrambe stipulate con Ina Assitalia S.p.A., nelle cui posizioni soggettive è poi subentrata Generali Italia S.p.A. (la polizza n. (OMISSIS) e la polizza n. (OMISSIS)).

Il tribunale ha accolto la domanda di manleva.

La compagnia, in sede di gravame, ha contestato l’operatività della garanzia in relazione ad entrambe le polizze.

In particolare: a) per quanto attiene alla prima polizza, ha sostenuto che la copertura non fosse efficace, sia in relazione alla data in cui erano state poste in essere le condotte lesive, sia in relazione alla data in cui erano pervenute le relative richieste risarcitorie; b) per quanto attiene alla seconda polizza, ha dedotto che essa non copriva la responsabilità derivante dall’attività di componente del collegio sindacale.

Poichè secondo la corte di appello la garanzia assicurativa ritenuta operativa dal tribunale era pacificamente da riferire alla seconda polizza (essendo la prima scaduta il 23 aprile 1995), è stata presa in considerazione solo quella ed in relazione alla stessa è stato ritenuto fondato il gravame della compagnia.

2.2.1 In relazione alla prima polizza, parte ricorrente contesta l’affermazione del tribunale secondo cui questa sarebbe scaduta in data 23 aprile 1995, sostenendo che invece la sua scadenza era fissata al 2001, che le condotte illecite addebitate ai sindaci avevano avuto luogo a partire dal 1997/1998 e che la garanzia copriva le richieste risarcitorie pervenute fino a dieci anni dopo la cessazione del contratto, onde tale polizza avrebbe dovuto ritenersi pienamente operativa in relazione ai danni oggetto di causa.

Si osserva, in primo luogo, che le censure in esame sono fondate sulla contestazione dell’erronea indicazione da parte della corte di appello della data di scadenza della polizza in discussione (n. (OMISSIS)), ma tale contestazione non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto.

La corte di appello ha infatti chiaramente ritenuto di dover prendere in considerazione esclusivamente la seconda polizza (n. (OMISSIS)), in quanto il tribunale aveva “pacificamente” fondato l’accoglimento della domanda di garanzia del Mi. solo su tale ultima polizza (implicitamente, quindi, rigettando la domanda in relazione all’altra). In altri termini, l’indicazione della data di scadenza della prima polizza, nel contesto della decisione impugnata, non esprime la ragione della sua omessa considerazione, che è un’altra (e cioè il fatto che il tribunale aveva accolto la domanda di garanzia esclusivamente in base alla seconda polizza, quindi rigettandola in relazione alla prima, senza che d’altra parte vi fosse stato alcun appello incidentale condizionato sul punto).

Inoltre, nel ricorso non viene specificamente richiamato nè il contenuto del contratto di assicurazione e, in particolare, l’esatto contenuto di tutte le clausole delle polizze fatte valere dal Mi., in relazione all’efficacia temporale della copertura assicurativa, nè il contenuto delle difese svolte in proposito dalle parti in primo grado, l’esatto tenore della sentenza di primo grado, lo specifico contenuto dell’appello in relazione a tale decisione e quello delle difese degli appellati in secondo grado.

Il motivo di ricorso in esame non rispetta dunque il requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e il difetto di specificità delle censure non consente comunque alla Corte di poterne valutare effettivamente il merito.

2.2.2 Con riguardo alla seconda polizza (n. (OMISSIS)), è contestata l’interpretazione ad essa data dalla corte di appello, in relazione alla ritenuta esclusione della copertura della responsabilità per l’attività di sindaco.

Anche queste censure sono inammissibili.

Parte ricorrente sostiene che sarebbero state violate le norme in tema di interpretazione del contratto; fa presente, in particolare, che la polizza stipulata originariamente con la compagnia copriva certamente i rischi derivanti dall’attività di sindaco (benchè fosse stata addirittura stipulata prima dell’assunzione della suddetta qualità) e che sarebbe irragionevole pensare che l’assicurato avesse inteso rinunciare a tale estensione di copertura, nella nuova polizza sostitutiva della precedente, stipulata quando ormai ricopriva la carica.

L’interpretazione del contenuto della polizza offerta dalla corte di appello è in realtà sostenuta da adeguata motivazione.

I giudici di secondo grado hanno osservato: a) che tale polizza escludeva di regola la copertura per l’attività di sindaco, a meno che questa estensione di rischio non fosse richiamata nelle “condizioni aggiuntive applicabili solo se espressamente richiamate nel frontespizio”; b) che nel frontespizio della polizza non vi era alcun richiamo a detta condizione aggiuntiva.

I contrari argomenti della parte ricorrente non hanno pregio, nè sotto il profilo logico (la scarsa opportunità per una delle parti di scegliere una determinata opzione prevista tra le condizioni negoziali non può, evidentemente, giustificare il superamento del chiaro contenuto letterale del contratto, specie laddove si tratti di un’estensione del rischio in una polizza assicurativa, che ha ovviamente incidenza sull’entità del premio), nè, tanto meno, sotto il profilo giuridico.

Sebbene articolate in termini di violazione di norme di diritto, tutte le censure risultano in effetti fondate su un generico richiamo degli artt. 1362 c.c. e segg., senza una effettiva specificazione di concrete violazioni dei canoni interpretativi invocati. Esse si risolvono, in sostanza, nella proposta di una interpretazione del contenuto negoziale diversa rispetto a quella offerta dai giudici di merito, cioè nella contestazione di accertamenti di fatto e nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità (cfr. in proposito, tra le tante: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 – 01; Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/04/2010, Rv. 613562 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 – 01; Sez. L, Sentenza n. 23569 del 13/11/2007, Rv. 600273 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 22536 del 26/10/2007, Rv. 600183 – 01).

2.3 Con il quinto motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 2394,2395,2407 e 2949 c.c.. Conseguente erronea valutazione dei fatti di causa con individuazione del dies a quo relativo alla decorrenza della prescrizione della domanda del fallimento in un momento non conforme alla corretta lettura e valutazione degli atti processuali”.

Le censure di cui al motivo in esame hanno ad oggetto la data di decorrenza della prescrizione dell’azione principale di responsabilità proposta dalla curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l. nei confronti dei sindaci S., M. e Mi..

Esse sono infondate.

La decisione impugnata è pienamente conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità (sociale e dei creditori sociali) esercitata dal curatore, ai sensi della L. Fall., art. 146, nei confronti di amministratori e sindaci delle società di capitali.

Secondo tali principi, la prescrizione “decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui alla L. Fall., art. 5, derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito; in ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore (o sul sindaco) la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24715 del 04/12/2015, Rv. 638141 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 13378 del 12/06/2014, Rv. 631369 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 9619 del 22/04/2009, Rv. 608227 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 941 del 18/01/2005, Rv. 579312 – 01).

Nella specie, la corte di appello ha ritenuto che non fosse oggettivamente percepibile per i creditori lo stato di insufficienza patrimoniale della società nel periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Si tratta di un accertamento di fatto operato all’esito della valutazione delle prove e sostenuto da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.

Le censure esposte nel motivo di ricorso in esame si risolvono dunque, in sostanza, nella contestazione di tale accertamento di fatto e nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.

2.4 Con il sesto motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione ed erronea applicazione degli artt. 2385,2386,2400,2401 e 2484 c.c., conseguente ulteriore violazione ed erronea applicazione degli artt. 2393,2941,2394 e 2949 c.c.. Violazione ed erronea interpretazione della legge ai sensi dell’art. 12 preleggi”.

Si tratta di censure aventi ad oggetto la questione della data di cessazione dei sindaci dalla carica (e, in particolare, l’applicabilità anche ad essi del principio cd. della prorogatio, previsto per gli amministratori, in caso di dimissioni dall’incarico), ancora in relazione all’azione principale di responsabilità proposta dalla curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l. nei loro confronti.

Anche questo motivo è infondato.

In ordine alla questione giuridica posta dai ricorrenti (e cioè l’applicabilità ai sindaci del principio cd. della prorogatio, previsto dall’art. 2385 c.c., esclusivamente per gli amministratori) è stato affermato espressamente da questa Corte che, diversamente da quanto accade per gli amministratori, per i sindaci sono previsti supplenti, sicchè per essi un problema di prorogatio può porsi solo quando il numero dei dimissionari sia superiore al numero dei supplenti; peraltro, la stessa previsione della necessaria nomina di supplenti per i sindaci costituisce evidente espressione di un’esigenza di continuità dell’organo di controllo del tutto analoga all’esigenza di continuità dell’organo di amministrazione salvaguardata dall’art. 2385 c.c. e giustifica pertanto la conclusione di un’applicazione quantomeno analogica della disciplina sulla proroga (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9416 del 12/04/2017, non massimata, in motivazione).

Sotto diversa ma concorrente prospettiva, si è poi sancito, in linea generale, che le dimissioni presentate non esonerano il sindaco di società di capitali da responsabilità, in quanto non integrano un’adeguata vigilanza sull’operato altrui e sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perchè la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni diventano anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità (Sez. 1 -, Sentenza n. 18770 del 12/07/2019, Rv. 654662 – 03).

La decisione impugnata risulta conforme ai principi di diritto esposti, che il ricorso non contiene argomenti idonei ad indurre a rimeditare.

2.5 Con il settimo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5. Erronea applicazione della L. Fall., art. 146, comma 2 e degli artt. 2697,2392 e 2394 c.c.. Omessa valutazione dei fatti posti a base della domanda. Inidoneità degli elementi di prova relativamente alla quantificazione della domanda”.

Anche questo motivo riguarda l’azione principale di responsabilità proposta dalla curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l. nei confronti dei sindaci e, in particolare, la questione della prova del nesso di causa tra le condotte illecite a questi imputate e il relativo danno (liquidato dalla corte di appello nella misura del cd. sbilancio fallimentare).

Esso è inammissibile, in quanto non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto.

I ricorrenti sostengono, nella sostanza, che sarebbe stato individuato il pregiudizio patrimoniale subito dai creditori nel cd. sbilancio fallimentare, per la mancata tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori.

In realtà la corte di appello ha ritenuto gli amministratori responsabili (non per la semplice omessa tenuta delle scritture contabili, bensì) per la perdita e/o la sottrazione di ingenti poste attive, emergenti dai bilanci sociali anteriori al fallimento e non rinvenute in sede fallimentare, nonchè per avere effettuato forniture a credito in favore di soggetti palesemente e notoriamente insolvibili, che avevano determinato di fatto la perdita della merce senza ritorno economico, il tutto per importi notevolmente superiori allo sbilancio fallimentare.

Ha poi liquidato il danno nei limiti di quest’ultimo esclusivamente perchè il curatore (come di frequente accade, soprattutto per motivi fiscali) aveva contenuto la domanda nei limiti di tale somma.

La censura risulta dunque del tutto inconferente in relazione all’effettivo contenuto della decisione contestata.

2.6 Con l’ottavo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, per erronea applicazione ed interpretazione dell’art. 1292 c.c., per erronea individuazione e quantificazione della somma a seguito della intervenuta transazione tra gli amministratori ed il fallimento”.

Il motivo riguarda la questione dell’incidenza della transazione stipulata tra il fallimento e gli amministratori con riguardo all’obbligazione risarcitoria gravante sui sindaci.

La censura è inammissibile.

La curatela, nel corso del giudizio di primo grado, ha stipulato una transazione con i tre amministratori convenuti (per un importo complessivo di Euro 80.000,00).

Il giudizio è proseguito nei confronti dei sindaci, i quali hanno dichiarato di voler profittare della transazione ai sensi dell’art. 1304 c.c. e sostenuto che, di conseguenza, anche la loro obbligazione dovesse intendersi limitata alla somma di Euro 80.000,00. Il tribunale ha disatteso tale tesi e li ha condannati a pagare l’intero importo liquidato a titolo risarcitorio.

In sede di gravame, sia i sindaci che Generali Italia S.p.A. hanno nuovamente sostenuto che la responsabilità dei primi dovesse essere limitata all’importo di Euro 80.000,00 e, in subordine, che dalla complessiva obbligazione risarcitoria si dovesse sottrarre per intero la quota gravante sui tre obbligati solidali che avevano stipulato la transazione.

La corte di appello, ritenuto che non fosse applicabile l’art. 1304 c.c., in quanto la transazione non aveva avuto ad oggetto l’intera obbligazione solidale, nel condannare i sindaci al risarcimento dei danni subiti dalla società e dai creditori sociali, ha decurtato il solo importo di Euro 80.000,00 da quello della complessiva somma liquidata a titolo risarcitorio.

Con il motivo di ricorso in esame i sindaci insistono, in primo luogo, nel sostenere che la loro responsabilità dovrebbe essere in realtà limitata al solo importo di Euro 80.000,00, avendo dichiarato di voler profittare della transazione ai sensi dell’art. 1304 c.c. e, in subordine, chiedono decurtarsi dalla somma oggetto della loro condanna il valore della quota ideale del debito gravante sui condebitori solidali che hanno stipulato la transazione, che sostengono essere pari alla metà del totale (senza in verità chiarire espressamente per quale ragione).

Nella giurisprudenza di questa Corte è stato da tempo chiarito che gli effetti “esterni” della transazione stipulata dal creditore con taluno degli obbligati solidali (in particolare, gli effetti con riguardo agli altri condebitori solidali) dipendono dall’individuazione dell’esatto oggetto della transazione, da ricostruirsi attraverso un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 c.c. e segg..

Laddove infatti l’accordo transattivo abbia avuto ad oggetto l’intera obbligazione solidale vi sarà la possibilità, per gli altri condebitori solidali, di beneficiare dei relativi effetti, dichiarando di volerne profittare ai sensi dell’art. 1304 c.c..

Laddove la transazione tra il creditore e taluno dei condebitori solidali abbia invece avuto ad oggetto l’intera quota o le intere quote dell’obbligazione dei condebitori che l’hanno stipulata, la solidarietà deve ritenersi sciolta, di modo che il debito complessivamente gravante sugli altri condebitori si ridurrà in misura corrispondente alle quote interne dei condebitori transigenti, a meno che l’importo pagato a titolo transattivo non sia stato addirittura superiore alle quote interne degli stessi transigenti, nel qual caso la riduzione del debito complessivo opererà in misura corrispondente a quanto da questi pagato (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 30174 del 30/12/2011, Rv. 620066 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 947 del 24/01/2012, Rv. 620414 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 24362 del 29/10/2013, Rv. 628206 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 22231 del 20/10/2014, Rv. 632846 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 23418 del 17/11/2016, Rv. 642653 – 01).

Non può peraltro escludersi che, in base all’autonomia negoziale delle parti, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la transazione stipulata tra il creditore e taluno degli obbligati solidali abbia un oggetto ancora diverso, non abbia cioè ad oggetto nè l’intera obbligazione solidale nè l’intera quota del condebitore o dei condebitori transigenti ed eventualmente possa essere anche limitata al solo importo effettivamente versato dal condebitore o dai condebitori transigenti, riducendo quindi il debito complessivo residuo esclusivamente in misura corrispondente a tale importo, sia pure con la rinunzia del creditore ad agire ulteriormente nei confronti del condebitore o dei condebitori transigenti per la differenza ancora dovuta, ma con riserva di farlo nei confronti degli altri condebitori e quindi senza lo scioglimento del vincolo di solidarietà con riguardo a questi ultimi (con una sorta di semplice rinunzia alla solidarietà, in qualche modo analoga a quella prevista dall’art. 1311 c.c., in favore dei soli condebitori transigenti, verso corrispettivo).

Naturalmente, in tale ipotesi, il creditore potrà agire nei confronti degli altri condebitori solidali per l’intero importo del debito residuo (come del resto avviene in caso di rinunzia alla solidarietà in favore di solo taluno dei condebitori nelle ipotesi espressamente previste dall’art. 1311 c.c.: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4919 del 24/09/1979, Rv. 401576 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1934 del 05/03/1997, Rv. 502797 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4507 del 28/03/2001, Rv. 545260 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16125 del 14/07/2006, Rv. 591768 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1453 del 27/01/2015, Rv. 634093 – 01), detratta solo la somma versata dal condebitore o dai condebitori transigenti, ma questi ultimi resteranno comunque esposti all’azione di regresso dei condebitori non transigenti che abbiano pagato, ai sensi dell’art. 1299 c.c., ed eventualmente dell’art. 2055 c.c. (nei limiti previsti da tali disposizioni; in altri termini, i condebitori non transigenti che abbiano pagato il debito residuo potranno agire in regresso nei confronti dei condebitori transigenti nei limiti della quota interna di debito di questi ultimi, detratto solo l’importo da questi già versato al creditore in seguito alla transazione).

Appare evidente l’interesse che potrebbero avere le parti a stipulare una transazione con siffatto oggetto, soprattutto in casi in cui (come spesso avviene, in particolare nelle azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci di società di capitali), da una parte, vi siano alcuni condebitori solidali scarsamente solvibili ed altri pienamente solvibili e, dall’altra parte, vi sia incertezza sulla effettiva distribuzione interna delle quote del debito.

In ipotesi del genere, infatti, vi è certamente l’interesse del creditore a chiudere ogni questione con i condebitori scarsamente solvibili, anche accettando dagli stessi una somma molto inferiore al debito complessivo, a prescindere dall’ammontare della loro eventuale quota interna di debito, che del resto può non essere certa, specialmente in caso di applicabilità dell’art. 2055 c.c.; vi è anzi uno specifico interesse del medesimo creditore a superare l’incertezza sulla distribuzione interna del debito tra i condebitori, “sterilizzando” i rapporti con i transigenti da tale incertezza (che, in ipotesi di transazione estesa alle intere quote dei condebitori transigenti, comporterebbe nella sostanza una sorta di stipulazione “al buio”, in quanto non si potrebbe conoscere con certezza, al momento della conclusione del contratto, il valore effettivo delle quote transatte, il che probabilmente renderebbe lo stesso accordo transattivo, se non radicalmente invalido per indeterminatezza del suo oggetto, quanto meno difficilmente praticabile in concreto), senza però con ciò pregiudicarsi irrimediabilmente la possibilità di recuperare tutto il residuo importo del debito, che potrebbe essere anche di notevole consistenza, dai condebitori solvibili.

Tale interesse del creditore può poi coincidere con il medesimo interesse di alcuni condebitori a chiudere definitivamente ogni possibile controversia con il creditore stesso, pur continuando a restare esposti all’azione di regresso degli altri condebitori che, peraltro, potendo avvenire nei soli limiti delle quote interne di debito, consentirà loro di porre in quella sede ogni questione in proposito (anche quelle relative alla distribuzione della colpa ai sensi dell’art. 2055 c.c.), in contraddittorio con i diretti controinteressati.

Una transazione con siffatto oggetto finisce per essere del resto di evidente vantaggio anche per i condebitori solidali non transigenti, i quali, pur restando esposti all’azione del creditore per l’intero residuo debito (come sarebbe del resto avvenuto anche in assenza della transazione e come in effetti avviene in caso di rinunzia del creditore alla solidarietà in favore di solo taluno dei condebitori, ai sensi dell’art. 1311 c.c.: si vedano i precedenti di legittimità richiamati poco sopra), beneficeranno almeno della riduzione di tale esposizione nei limiti degli importi versati dai condebitori transigenti (ciò che non sarebbe avvenuto in assenza di transazione) e, d’altra parte, conserveranno comunque la possibilità di esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri condebitori (ivi inclusi quelli che hanno stipulato la transazione) esattamente nei medesimi termini in cui avrebbero potuto esercitarla in assenza di transazione.

Anche sulla base delle precisazioni che precedono, risulta dunque confermato che l’oggetto della transazione stipulata tra il creditore ed uno o alcuni soltanto dei debitori solidali (e i conseguenti effetti “esterni” di tale transazione, nei rapporti tra creditore e condebitori non transigenti) non può essere individuato in astratto o esclusivamente in base alle espressioni letterali utilizzate per indicarlo, ma va accertato sulla base di una attenta e precisa ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti, da compiersi secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 c.c. e segg., che consenta di comprendere quale sia stata effettivamente la loro intenzione (e, soprattutto, in quali limiti il creditore abbia effettivamente inteso rinunziare all’obbligazione solidale e alla stessa solidarietà, in sede transattiva).

Nella specie, poi, si deve considerare che la corte di appello, ha certamente escluso che la transazione stipulata dalla curatela con i soli amministratori avesse ad oggetto l’intera obbligazione solidale e che quindi fosse possibile la dichiarazione di volerne profittare di cui all’art. 1304 c.c., da parte dei sindaci, condebitori non transigenti.

Ha peraltro di fatto ridotto l’importo della condanna dei sindaci esclusivamente nella misura delle somme versate dagli amministratori in seguito alla transazione, ma senza fare alcun cenno a quale fosse la quota interna di debito degli uni e degli altri, cioè proprio come se avesse ritenuto trattarsi di una mera rinunzia alla solidarietà da parte del creditore in favore dei soli debitori transigenti, con la possibilità, quindi, di agire nei confronti degli altri per l’intero residuo (pur parlando, probabilmente in senso atecnico, di transazione relativa alla “quota”).

D’altra parte, l’azione di rivalsa dei sindaci nei confronti degli amministratori è stata integralmente rigettata – anche se, in verità, sulla base di considerazioni non attinenti espressamente alla distribuzione interna dell’obbligazione risarcitoria gravante su ciascun amministratore e su ciascun sindaco, tenuti in solido al pagamento della stessa – e ciò benchè sia evidentemente molto difficile, in astratto, poter pensare che il risarcimento di un danno causato alla società e ai creditori sociali da condotte oggettivamente distrattive poste in essere dai soli amministratori (per quanto non impedite o addirittura agevolate dall’omessa o comunque negligente attività di controllo dei sindaci) possa ritenersi, nei rapporti interni tra gli obbligati, addirittura imputabile, ai sensi dell’art. 2055 c.c., integralmente ai sindaci e per nulla agli amministratori (la cui quota interna dell’obbligazione solidale sarebbe pertanto, in tal caso, pari a zero, con tutte le conseguenze del caso).

In questa situazione, connotata da oggettivi margini di incertezza, nel ricorso non viene richiamato lo specifico contenuto della transazione stipulata tra gli amministratori e i sindaci, cioè l’atto su cui si fondano le stesse critiche dei ricorrenti alla decisione impugnata, con una evidente violazione del requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6: in mancanza di tale specifico richiamo, non è possibile per la Corte valutare l’effettivo oggetto della suddetta transazione e, di conseguenza, verificare la fondatezza nel merito delle censure avanzate dai ricorrenti.

Ne consegue inevitabilmente l’inammissibilità delle suddette censure.

2.7 Con il nono motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., dell’art. 345c.p.c., dell’art. 346 c.p.c. e dell’art. 2421 c.c.. Erroneità della sentenza di secondo grado nel sancire il passaggio in giudicato della decisione di primo grado. Fondata eccezione di manleva da parte dei sindaci nei confronti degli amministratori”.

Il motivo ha ad oggetto l’azione di regresso o manleva avanzata dai sindaci nei confronti degli amministratori della società fallita.

Esso è inammissibile.

La corte di appello ha dichiarato inammissibile il motivo di gravame avanzato dai sindaci in relazione al rigetto dell’azione di regresso da essi proposta contro gli amministratori, rilevando che la decisione di primo grado era fondata su due distinte autonome rationes decidendi (segnatamente: la mancata conservazione del libro delle adunanze del collegio sindacale e la mancata segnalazione al P.M. delle irregolarità di gestione degli amministratori) e ne era stata impugnata una sola (quella relativa alla mancata conservazione del libro delle adunanze del collegio sindacale), onde la decisione era passata in giudicato, per la mancata impugnazione dell’altra.

I ricorrenti, in primo luogo, contestano genericamente l’affermazione dell’avvenuto passaggio in giudicato della decisione di primo grado, con argomenti non conferenti, senza cioè neanche specificamente contestare che essa potesse effettivamente ritenersi fondata sulle due distinte e autonome rationes decidendi indicate dai giudici di appello e senza dedurre di averle in realtà impugnate entrambe.

Il ricorso, del resto, sotto tale profilo difetta totalmente di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, anche perchè non viene richiamato puntualmente il contenuto rilevante della sentenza di primo grado, come sarebbe stato necessario ai fini della valutazione dell’effettiva formazione del giudicato interno.

Per il resto, le censure riguardano sostanzialmente il merito della pronuncia di primo grado, non quella di secondo grado che ha dichiarato inammissibile il gravame proposto dai ricorrenti. Anche sotto tale profilo si tratta quindi di censure del tutto inconferenti, che non colgono adeguatamente le ragioni e il senso stesso della decisione impugnata.

3. Ricorso incidentale (proposto da Generali Italia S.p.A.).

Con il primo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112115,166,329,333 e 343 c.p.c.”.

Con il secondo motivo si denunzia “Nullità della sentenza e/o del procedimento – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e art. 2907 c.c.”.

Con il terzo motivo si denunzia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, come chiarito in premessa, per l’irregolarità della costituzione della società ricorrente.

Per completezza espositiva si osserva, comunque, che i motivi posti a base dello stesso riguardano tutti la medesima questione (la dichiarazione di inammissibilità dell’appello incidentale di Generali Italia S.p.A. in relazione alla sussistenza della copertura assicurativa in favore del sindaco M. e, quindi, l’omessa pronuncia di merito su tale motivo di appello, in conseguenza del mancato esame, da parte della corte di appello, della comparsa di costituzione con appello incidentale relativa alla posizione del solo M., comparsa che era stata depositata contestualmente all’altra comparsa, relativa alla posizione del solo Mi., l’unica che la corte territoriale avrebbe invece esaminato).

La censura è sostanzialmente la medesima, prospettata sotto diversi profili.

In realtà la società ricorrente lamenta un errore di percezione e non di valutazione di un fatto processuale da parte della corte di appello, errore che ha quindi natura di vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Ne consegue l’inammissibilità del motivo, perchè la censura avrebbe dovuto farsi valere con il mezzo della revocazione (cfr. in tal senso: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30850 del 29/11/2018, Rv. 651939 – 01; Sez. L, Sentenza n. 19174 del 28/09/2016, Rv. 641388 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4893 del 14/03/2016, Rv. 639444 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27555 del 20/12/2011, Rv. 621063 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12958 del 14/06/2011, Rv. 618307 – 01; Sez. L, Sentenza n. 8180 del 03/04/2009, Rv. 607980 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25556 del 21/10/2008, Rv. 605475 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11196 del 15/05/2007, Rv. 596459 – 01).

4. Il ricorso principale è rigettato.

Il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.A. è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, nei rapporti tra:

– sindaci ricorrenti e curatela controricorrente (essendo rigettato integralmente il ricorso principale);

– sindaci ricorrenti e Assicuratori dei Lloyd’s di Londra (essendo rigettato integralmente il ricorso principale);

– Generali Italia S.p.A. e curatela controricorrente, in relazione al ricorso incidentale della prima (dichiarato inammissibile).

Le spese del giudizio di legittimità possono essere invece integralmente compensate nei rapporti tra:

– sindaci ricorrenti principali e Generali Italia S.p.A., in considerazione della reciproca soccombenza parziale e sussistendo comunque giusti motivi di equità (il ricorso principale dei sindaci è rigettato, ma il controricorso di Generali Italia S.p.A. è dichiarato inammissibile; il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.A. è dichiarato inammissibile; anche considerando i motivi della decisione, la Corte ritiene comunque equa la integrale compensazione delle spese giudiziali nei rapporti con i sindaci ricorrenti);

– sindaci ricorrenti principali e amministratori controricorrenti, sussistendo giusti motivi di equità (in considerazione della effettiva situazione sostanziale che ha dato luogo alla controversia, connotata dalle condotte distrattive poste in essere dagli amministratori).

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sia in relazione al ricorso principale che all’incidentale.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso principale;

– dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

condanna i ricorrenti M.A., Mi.El. e S.G., in solido, a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. e degli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, liquidandole, per ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge;

– condanna Generali Italia S.p.A. a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., liquidandole in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge;

– dichiara integralmente compensate le spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra i ricorrenti M.A., Mi.El. e S.G. e l’intimata Generali Italia S.p.A., nonchè nei rapporti tra i medesimi ricorrenti M.A., Mi.El. e S.G. e i controricorrenti C.A., A.F.G. ed A.E..

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della società ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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