Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29717 del 15/11/2019

Cassazione civile sez. III, 15/11/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 15/11/2019), n.29717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11369-2018 proposto da:

SOCOMA SRL, in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato CAMILLA BOVELACCI,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA LUIGIA MEZZOGORI, ANGELO

SCAVONE;

– ricorrente –

contro

M.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

M.G.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 327/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società ricorrente ha stipulato con M.M. un preliminare di vendita di un immobile, sito in Comune di (OMISSIS).

Dopo la stipula, però, la società promittente ha convenuto in giudizio il promissario per far dichiarare la nullità del preliminare, in quanto avente ad oggetto un bene abusivo, insistente su terreno demaniale, e come tale non sanabile.

Il promissario, nel costituirsi in giudizio, ha altresì proposto domanda riconvenzionale per ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda principale ed accolto la riconvenzionale.

Quello di appello ha confermato questa decisione, osservando che il bene era comunque sanabile e come tale possibile oggetto di compravendita.

Avverso tale decisione la società promittente ricorre con tre motivi di ricorso. V’è costituzione della controparte con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della sentenza impugnata è di ritenere che la L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 i quali prevedono la nullità degli atti di trasferimento di immobili non in regola con le norme urbanistiche, si applicano anche al contratto preliminare, ma che tuttavia, in ragione di un certo orientamento giurisprudenziale ritenuto preferibile (si cita Cass. 28546/ 2013), la nullità presuppone che l’immobile non possa in alcun modo essere oggetto di condono. Ritiene la corte, che, invece, sulla base degli atti emersi, l’immobile oggetto del preliminare di cui è causa sia condonabile e dunque trasferibile validamente.

2.- La società ricorrente contesta questa ratio con tre motivi.

I primi due riguardano il merito della decisione.

Con il primo motivo la società ricorrente lamentai sia violazione della L. n. 47 del 1985, art. 17 e 40 che omessa motivazione circa un fatto decisivo.

Si tratta della questione della possibilità di condonare il bene.

Secondo la ricorrente, la corte avrebbe frainteso questo aspetto, perchè non ha adeguatamente considerato i risultati della CTU (secondo sottomotivo) dai quali sarebbe emerso che il bene insisteva su area del demanio.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, la società ricorrente, pur lamentando erronea interpretazione di legge, non contesta il criterio legale (ed il suo significato) cui ha fatto ricorso la corte di merito, ossia il criterio secondo cui se l’abuso è sanabile, l’immobile può essere trasferito.

Semplicemente ritiene che gli elementi di fatto raccolti, ed in particolare l’esito della CTU, avrebbero dovuto portare a ritenere non concretamente sanabile l’abuso, considerata la posizione dell’immobile su area demaniale.

L’errore della corte di merito, manifestato altresì da una insufficiente motivazione sul punto, sarebbe nel fatto di non dare conto, per l’appunto, delle risultanze istruttorie.

In tal modo, la società ricorrente censura un accertamento in fatto, ossia la circostanza che la corte non avrebbe correttamente inteso le prove assunte in giudizio, ed in particolare la CTU.

Non è la denuncia di un errore percettivo, come tale rilevante nel giudizio di legittimità, bensì la denuncia di un errore di valutazione delle prove, che invece non può essere fatto valere in Cassazione se non nella misura di un difetto rilevante di motivazione (cosa che invero la ricorrente fa con il sottomotivo). E tuttavia, a pagina 4-5 della sentenza, la corte rende ragione della sua conclusione circa la possibilità di sanatoria, in quanto tiene conto oltre che della CTU, anche della lettera del Comune da cui ricava la volontà dell’ente di concedere la sanatoria, sia dalla testimonianza del dirigente comunale che va nel medesimo senso.

Così, che la conclusione presa, ossia che la violazione edilizia è in concreto sanabile, è motivata adeguatamente, attraverso il riferimento alle prove assunte in giudizio (CTU, lettera del Comune, deposizione del Dirigente comunale).

2.2.- Con il secondo motivo si propongono le medesime censure (violazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17,40) già fatte con il motivo precedente, ma rispetto ad altra questione, ossia alla verifica da parte della corte della completezza della domanda di condono, presupposto necessario per poter poi dire che l’abuso era sanabile.

Il motivo va disatteso anche esso, in quanto la corte di merito a pagina 7-8 si pone il problema e lo risolve ritenendo soddisfatti i requisiti della domanda di sanatoria-condono, per relationem, ossia facendo riferimento alle motivazioni contenute lettera del Comune, la quale attesterebbe l’esistenza di una domanda che attende solo il parere del demanio per avere risposta.

V’è dunque un accertamento in fatto (ossia la completezza della domanda di sanatoria-condono) che non può essere qui censurato se non per difetto rilevante di motivazione, che però non è ravvisabile, atteso per l’appunto che il Comune indica comunque le ragioni della sua decisione, che stanno nell’accertamento già operato dal Comune circa la completezza della domanda di sanatoria-condono.

3.- Infine con il terzo motivo la società denuncia una pronuncia ultra petita (violazione dell’art. 112 c.p.c.) attribuendo alla corte di appello di aver pronunciato il trasferimento del bene ex art. 2932 c.c., pur in assenza di un effettivo provvedimento di condono o di sanatoria delle violazioni edilizie.

Il motivo era stato prospettato in appello negli identici termini, nel senso che la ricorrente aveva fatto denuncia di decisione ultra petita anche quanto alla decisione di primo grado.

Anche questo motivo è infondato.

Intanto non si tratta in realtà di una decisione ultra petita in senso stretto, posto che il trasferimento ex art. 2932 c.c. era stato chiesto dal promissario acquirente con riconvenzionale.

Si tratta semmai della giuridica ammissibilità di un trasferimento del bene, pur se ancora non in regola con le norme edilizie. E da questo punto di vista il motivo, cosi posto, è inammissibile.

Inteso quale violazione dell’art. 2932 c.c., nel senso che questa norma consenta una sentenza costitutiva dell’obbligo di trasferire solo in presenza di un bene trasferibile, allora è infondato, in quanto la corte ritiene, per l’appunto, che le violazioni siano concretamente suscettibili di sanatoria, come risulta dagli atti ed in particolare dalla attestazione comunale.

Inoltre va tenuto conto che ” La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3 di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile” (Cass. sez. Un. 8230/ 2019), con ciò ribadendosi che ” la sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40 per i negozi relativi a immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perchè la dichiarazione di cui all’art. 40, comma 2 medesima legge, in caso di immobili edificati anteriormente settembre 1967, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare. Ne consegue che, in queste ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 c.c.” (Cass. 6685/ 2019).

Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 7200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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