Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29715 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. III, 29/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11928-2010 proposto da:

L.C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA POLLAIOLO 3, presso lo studio dell’Avvocato BARBERIS

RICCARDO, rappresentato e difeso dall’Avvocato VALGUARNERA FABIO,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.G., S.O., IM.GI.,

I.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 632/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

06/03/2009, depositata il 08/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’1/12/2011 dal Presidente Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza 6 marzo – 8 aprile 2009 la Corte di appello di Palermo, pronunciando sull’appello proposto da I.G., Im.Gi. e S.O., eredi di I. A. nei confronti di L.C.G. e di I. V. nonchè sull’appello incidentale proposto da L.C. G. avverso la sentenza del tribunale di Palermo 24 febbraio – 23 maggio 2003 in riforma di quest’ultima ha rigettato le domande proposte da L.C.G. nei confronti di I. A. (dirette a ottenere la condanna di quest’ultimo alla restituzione della somma di L. 52 milioni che il L.C. assumeva di avere mutuato nel 1995 all’ I.).

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso con atto 20 aprile 2010 e date successive L.C. G., affidato a un unico, complesso, motivo.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati.

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006, ma anteriormente al 4 luglio 2009 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr. D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27, e L. 18 giugno 2009, n. 69, artt. 47 e 58) – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis) perchè il ricorso sia deciso in camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. Il L.G. – come osservato sopra – ha promosso il presente giudizio per ottenere la restituzione della somma di L. 53 milioni che assume di avere concesso a mutuo al dante causa degli odierni intimati.

I giudici del merito – premesso, in conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che l’atto che chieda la restituzione di una somma data a mutuo ha l’onere di provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna ma anche il titolo della stessa – hanno rigettato la domanda attrice sul rilievo, assorbente, che del tutto insufficienti sono gli elementi probatori offerti dal L.C. in ordine al titolo di consegna delle somme di danaro di che trattasi.

Le dichiarazioni rese al riguardo dai testi escussi – hanno precisato quei giudici – non sono decisive perchè gli stessi, pur confermando l’articolato dedotto (“vero è che il sig. L.C.G. ha concesso in prestito al sig. I.A. circa L. 50 milioni in più soluzioni negli atti 1988 e 1989”) hanno ammesso di essere venuti a conoscenza di tale circostanza sostanzialmente per averla avuto riferita dallo stesso L.C. . . ovvero non hanno saputo chiarire gli esatti rapporti esistenti tra le parti.

In conclusione – hanno esaurito la loro indagine quei giudici – la pretesa restitutoria avanzata dal L.C. va disattesa per difetto di prova del titolo di consegna della somma all’ I..

3. Con l’unico motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., artt. 116 e 232 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il ricorso si conclude, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., con le seguenti proposizioni:

– il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria è costituito dalla avvenuta ricognizione del debito da parte di I.A. di fronte a numerosi testimoni;

– il quesito di diritto cui deve essere data risposta è il seguente:

“la prova della ricognizione del debito di cui all’art. 1988 c.c. incontra limitazioni ovvero può essere fornita per testimoni?” 4. Pacifico quanto precede ritiene il relatore che il ricorso pare inammissibile.

Almeno sotto tre, concorrenti, profili.

4.1. In primis e in via assorbente è agevole osservare (a prescindere da ogni altra considerazione circa i limiti del giudizio di cassazione) che la censura si astiene dall’investire quella che è la reale ratio decidendi, e si incentra su un aspetto della controversia in alcun modo esaminato dai giudici del merito.

4. 2. In secondo luogo il ricorso appare proposto senza l’osservanza dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile a esso nonostante l’abrogazione intervenuta con decorrenza dal 4 luglio 2009 per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 47, atteso che l’art. 58, comma 5, di quest’ultima ha disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva per i ricorsi notificati dopo quella data, avverso provvedimenti pubblicati anteriormente (tra le tantissime in tale senso: Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119; Cass. 15 marzo 2010, n. 6212).

4. 2. 1. Giusta la testuale previsione dell’art. 366 bis c.p.c. in particolare: nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte regolatrice è fermissima nel ritenere che il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 7 aprile 2009, n. 8463).

Sempre al riguardo, deve ribadirsi, altresì che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366 bis c.p.c. la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

Non controverso quanto precede non pare possa dubitarsi della inammissibilità del quesito di diritto, assolutamente generico (e, totalmente avulso dalle ragioni che hanno condotto la sentenza impugnata al rigetto della domanda).

4.2.2. Contemporaneamente, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso.

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie si osserva che l’assunto che il l’ I. avrebbe riconosciuto, a fronte di numerosi testimoni la obbligazione di restituire le somme avute, è assolutamente apodittico (non essendo indicato nel quesito quali testimoni e con quali espressioni avrebbero riferito la circostanza) oltre che in contrasto con gli accertamenti, in fatto, compiuti dai giudici del merito.

4. 3. Anche a prescindere da quanto precede, infine, si osserva che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – contemporaneamente – deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso – come ora pretende il ricorrente – totalmente prescindendo da quanto affermato in sentenza anche in ordine alla circostanza che i testi si sono limitati a riferire quanto loro detto dal presunto creditore – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087, Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087, specie in motivazione, nonchè Gass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 6 settembre 2007, n. 18709; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che in replica alla stessa non sono state depositate memorie.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo gli intimati svolto in questa sede attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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