Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29712 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13600/10) proposto da:

B.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Iossa Francesco Paolo ed elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’Avv. Frascari Clemente, in Roma, alla piazza Antonio

Mancini, 4;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale a margine del controricorso,

dall’Avv. Manganelli Andrea e presso lo stesso elettivamente

domiciliato negli uffici dell’Avvocatura comunale di Roma, via del

Tempio di Giove, n. 21;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Giudice di pace di Roma n. 38987

del 2009, depositata il 1 aprile 2009 (e non notificata).

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione in opposizione all’esecuzione notificato il 26 settembre 2007 la signora B.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Roma, il Comune di Roma per sentir dichiarare l’annullamento di una cartella esattoriale illegittimamente notificatale perchè fondata su un titolo esecutivo non valido (in quanto precedentemente annullato in sede giudiziale).

Nella costituzione dell’intimato Comune, l’adito Giudice di pace, con sentenza n. 38987 del 2009 (depositata il 1 aprile 2009), accoglieva la domanda e, per effetto, dichiarava non dovuta la somma di euro 104,17 richiesta dall’Equitalia Gerit s.p.a. con l’intimazione di pagamento n. (OMISSIS), compensando per intero le spese del giudizio.

Avverso la citata sentenza (non notificata e sottoposta al regime di impugnabilità previsto dall’art. 616 c.p.c. nel suo impianto successivo alla modifica introdotta dalla L. n. 52 del 2006, che ne aveva soppresso l’appellabilità, ed antecedente all’entrata in vigore della modifica all’art. 616 c.p.c. apportata dalla L. n. 69 del 2009, che ne ha, invece, ripristinato l’appellabilità) ha proposto direttamente ricorso per cassazione (notificato il 14 maggio 2010 e depositato il 31 maggio successivo) la B.G., articolato in tre motivi, in ordine al quale l’intimato Comune di Roma ha resistito con controricorso.

I difensori del ricorrente hanno depositato memoria illustrativa.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., art. 112 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, avuto riguardo alla mancata condanna alle spese del giudizio di primo grado della resistente Amministrazione, malgrado la sua soccombenza.

Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 96 c.p.c. e art. 2043 c.c., con riferimento all’omessa pronuncia del giudice di prima istanza sulla richiesta di condanna della resistente Amministrazione al risarcimento dei danni in conseguenza dell’illegittima pretesa sanzionatoria azionata.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti e tre i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 1 aprile 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. Cass. n. 5471/2008).

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo (come precedentemente richiamato) non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla supposta violazione di legge, la cui formulazione avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), così come non si evince alcuna sintesi dello stesso vizio di motivazione prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia insufficiente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta insufficienza o illogicità motivazionale si dovrebbe considerare inidonea a supportare la decisione;

– con riguardo al secondo motivo, relativo alle supposte indicate violazioni di legge e del procedimento oltre che a vizio motivazionale, non risulta indicato, dopo il diffuso svolgimento della complessa doglianza, quanto alle dedotte violazioni di norme di diritto, alcuno specifico quesito di diritto, così come non emerge alcuna sintesi dell’assunto vizio motivazionale, mancando la chiara evidenziazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia carente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la dedotta insufficienza motivazionale si dovrebbe reputare inidonea a confortare la decisione;

– in ordine al terzo motivo, concernente sostanzialmente la violazione dell’art. 112 c.p.c. ed il correlato vizio motivazionale della sentenza impugnata, difetta qualsiasi specifica enucleazione, in modo strutturalmente e funzionalmente autonomo, del quesito di diritto in modo tale da evidenziare un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto del motivo e correlato, in modo specifico, al punto della decisione impugnata, così come difetta, con il richiamo di apposita sintesi riepilogativa, la rappresentazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione sia da ritenere inidonea a giustificare la statuizione adottata sullo specifico punto.

In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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