Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29711 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. II, 29/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13712/2016 R.G. proposto da:

M.L., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Firenze, alla via Galliano, n.

11, presso lo studio dell’avvocato Tommaso Rolfo, che disgiuntamente

e congiuntamente all’avvocato Gabriele Paloscia, la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.E., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato Marco

Cirri, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via dei SS.

Quattro, n. 56, presso lo studio dell’avvocato Francesco Tarsitano.

– controricorrente –

e

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI s.p.a., c.f. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore (già “Fondiaria S.A.I.” s.p.a.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1948/2015 della Corte d’Appello di Firenze;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 27 ottobre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto ritualmente notificato M.L. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Firenze il geometra A.E..

Esponeva che il convenuto, all’uopo incaricato, aveva qualificato l’appartamento da ella acquistato come “non di lusso”; che viceversa l’Agenzia delle Entrate lo aveva classificato come “di lusso”, siccome, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 27 agosto 1969, ne aveva riscontrato la superficie utile in mq. 263 in luogo dei mq. 230 computati dal convenuto.

Esponeva che, in dipendenza dell’erroneo accertamento cui il convenuto aveva fatto luogo, aveva perduto i benefici fiscali connessi all’acquisto della “prima” casa ed era stata assoggetta a sanzioni, aveva invano sopportato l’aggravio economico del giudizio, in duplice grado, innanzi al giudice tributario, aveva subito i costi del frazionamento dell’appartamento onde ricondurlo alla categoria “non di lusso”.

Chiedeva accertarsi e dichiararsi il convenuto responsabile per i danni tutti derivati dall’espletata prestazione professionale, danni quantificati in Euro 48.837,55, ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi.

2. Si costituiva A.E..

Deduceva, tra l’altro, che aveva espletato la sua opera professionale su incarico dei venditori non già dell’attrice.

Instava, previa autorizzazione alla chiamata in causa della “Fondiaria S.A.I.” s.p.a., per il rigetto della domanda attorea ovvero perchè la “Fondiaria S.A.I.” fosse condannata a tenerlo indenne da ogni conseguenza.

3. Si costituiva la “Fondiaria S.A.I.” s.p.a..

Instava parimenti per il rigetto delle pretese azionate dall’attrice.

4. Con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, l’attrice formulava in danno del convenuto istanza risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c..

5. Assunta la prova per testimoni, espletata la consulenza tecnica, con sentenza dei 29/30.10.2013 il Tribunale di Firenze rigettava le domande tutte dell’attrice, dichiarava il non luogo a provvedere sulla domanda di manleva, condannava l’attrice a rimborsare alle controparti le spese di lite ed a farsi carico delle spese di c.t.u..

6. Proponeva appello M.L..

Resisteva A.E..

Resisteva la “Fondiaria S.A.I.” s.p.a..

7. Con sentenza n. 1948/2015 la Corte d’Appello di Firenze rigettava il gravame, condannava l’appellante a rimborsare ad A.E. le spese del grado, compensava le spese del grado tra l’appellante e la “Fondiaria S.A.I.”.

Evidenziava la corte che, così come aveva correttamente posto in risalto il tribunale, era stata unicamente la venditrice, S.G., a dar incarico al geometra A. ai fini della predisposizione della relazione tecnica necessaria per il trasferimento dell’immobile; che se ne aveva riscontro alla luce e delle dichiarazioni rese in veste di testimone dalla venditrice e delle fatture prodotte dall’appellato, intestate alla madre dell’alienante, usufruttuaria del cespite.

Evidenziava quindi la corte che, in dipendenza della siglata diversa pattuizione, vano era il riferimento all’art. 1475 c.c..

Evidenziava altresì che era da escludere pur la responsabilità da “contatto sociale” del convenuto.

Evidenziava in particolare che l’interesse della M. eventualmente esposto a pericolo in dipendenza del “contatto” con il geometra A. atteneva, al più, alla validità dell’atto ed alla commerciabilità del bene, non già alla classificazione del bene come “non di lusso” o meno.

Evidenziava inoltre che il c.t.u. officiato in prime cure aveva concluso nel senso che la classificazione dell’appartamento compravenduto come “di lusso” era tutt’altro che pacifica, il che induceva ad escludere il preteso errore professionale e viepiù la responsabilità da “contatto sociale”.

Evidenziava infine che correttamente il primo giudice aveva reputato nuova la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c.; che invero la domanda ex lege aquilia implicava la prefigurazione di un nuovo tema di indagine; che in ogni caso la responsabilità extracontrattuale era da escludere, siccome l’appellato non era tenuto ad esaminare le implicazioni di natura fiscale connesse alle caratteristiche dell’immobile.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.L.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

A.E. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

La “Unipol S.A.I. Assicurazioni” s.p.a. non ha svolto difese.

9. Il controricorrente ha depositato memoria.

10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1173,1176,1218 e 1475 c.c., D.M. 2 agosto 1969, art. 6 e del D.M. 4 dicembre 1961; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che, allorchè ha reputato insussistente qualsivoglia rapporto contrattuale tra ella ricorrente ed A.E., la corte di merito ha omesso la disamina delle prove documentali all’uopo fornite, segnatamente delle planimetrie catastali, redatte e sottoscritte dal geometra A., e del ricorso da ella proposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, ove è in calce il mandato da ella conferito al geometra A..

Deduce che, ai fini del ricorso alla c.t.p., ha incaricato A.E., in quanto già in precedenza gli aveva conferito incarico.

Deduce altresì che dell’attività espletata dal geometra A. hanno beneficiato sia ella compratrice che la venditrice, sicchè appieno si giustifica il riferimento all’art. 1475 c.c..

Deduce inoltre che la corte distrettuale ha negato con motivazione illogica e contraddittoria la responsabilità da “contatto sociale”; che ella ricorrente è sicuramente da ricomprendere, quale fruitore della prestazione, nella “cerchia dei soggetti” con cui il professionista è venuto in contatto.

Deduce infine che, alla stregua del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, l’immobile compravenduto, in quanto avente una superficie utile complessiva pari a mq. 247,22 e quindi superiore a mq. 240,00, sarebbe stato senz’altro da qualificare “di lusso”.

11. Il primo motivo di ricorso va respinto.

12. Si premette che il primo mezzo si qualifica essenzialmente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero con il primo motivo la ricorrente censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” alla cui stregua la corte territoriale ha disconosciuto la sussistenza di qualsivoglia rapporto contrattuale tra M.L. ed A.E., ha disconosciuto la sussistenza dei presupposti perchè potesse “in fatto” configurarsi responsabilità da “contatto sociale” dell’ A. nei confronti della M., ha disconosciuto, alla stregua degli esiti della c.t.u., la sussistenza dei presupposti perchè l’immobile compravenduto potesse essere qualificato come “di lusso”.

Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Cosicchè le censure che il primo motivo veicola, rilevano – se del caso – oltre che nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti di cui alla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

13. Nella prospettiva testè delineata si osserva quanto segue.

Da un canto, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – si scorge in relazione alle motivazioni cui la Corte di Firenze ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte fiorentina ha, così come si è anticipato, compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

D’altro canto, la corte toscana di certo non ha omesso la disamina dei fatti controversi de quibus agitur.

14. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del secondo giudice risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, assolutamente congruo ed esaustivo sul piano logico – formale.

15. Al riguardo si tenga conto dei seguenti ulteriori rilievi.

16. La ricorrente in fondo censura l'(asserita) omessa, erronea valutazione delle risultanze istruttorie, ovvero delle prove documentali (cfr. ricorso, pagg. 8 – 9), della prova testimoniale e della c.t.u. (“la c.t.u. espletata in primo grado e l’istruttoria testimoniale (…) hanno dimostrato come la superficie dell’immobile oggetto di causa sia superiore ai 240 mq.”: così ricorso, pag. 16).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

17. Ovviamente nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là dell’ipotesi del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c.,. n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

18. La cosiddetta responsabilità “da contatto sociale”, soggetta alle regole della responsabilità contrattuale pur in assenza d’un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell’eseguire un incarico conferitogli da altri, rechi nocumento a terzi, come conseguenza riflessa dell’attività così espletata, ma soltanto quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell’art. 1173 c.c., agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico (cfr. Cass. 11.7.2012, n. 11642).

18.1. In siffatta prospettiva la corte distrettuale non solo ha spiegato che “l’accertare la caratteristica o meno di abitazione di lusso avrebbe dovuto essere oggetto di un’indagine piuttosto complessa che non era demandata al geometra ( A.)” (così sentenza d’appello, pag. 3), ma ha soggiunto che la classificazione dell’immobile come “non di lusso” o meno costituiva un aspetto che il geometra A., incaricato dalla venditrice, ben avrebbe potuto omettere.

19. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c..

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte territoriale, la proposizione con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, della domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c., ha costituito mera emendatio libelli.

Deduce che la proposizione della domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c., risultava connessa alla vicenda sostanziale addotta in giudizio e non era atta a comportare alcuna menomazione delle garanzie difensive di controparte nè dilatazione dei tempi del processo.

20. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

21. Indiscutibilmente la proposizione, in aggiunta alla domanda volta a conseguire il risarcimento del danno ex contractu inizialmente esperita, della domanda volta a conseguire il risarcimento del danno ex lege aquilia costituisce formulazione di un’ulteriore nuova domanda.

Depone in tal senso l’insegnamento di questa Corte di legittimità, la cui valenza nel caso di specie – id est con riferimento al sistema delle preclusioni ex art. 183 c.p.c., comma 6 – non è menomata dalla sua espressa enunciazione in materia di domande nuove in appello ex art. 345 c.p.c. (cfr. Cass. 19.9.2016, n. 18299, secondo cui costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c., quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introducendo un “petitum” diverso e più ampio, oppure una diversa “causa petendi”, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in particolare su un fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato, radicalmente diverso, sicchè risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine; ne consegue che la domanda di risarcimento di danni per responsabilità contrattuale non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello per ampliare l’originaria domanda di risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale, dipendendo da elementi di fatto diversi da quest’ultima circa l’accertamento della responsabilità e la determinazione dei danni).

22. In pari tempo non vale a smentire il testè riferito postulato l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte, menzionato pur dalla ricorrente (il riferimento è a Cass. sez. un. 15.6.2015, n. 12310, secondo cui la modificazione della domanda, ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali).

Difatti, pur nel solco dell’insegnamento summenzionato, è innegabile, nella fattispecie, che l’aggiuntiva proposizione della domanda risarcitoria ex lege aquilia è stata tale da comportare, imprescindibilmente, per la parte avversa, l’esigenza di dar corso ad una aggiuntiva linea di difesa, con inevitabile dilatazione delle più circoscritte necessità difensive prefigurantesi inizialmente.

23. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2909 c.c., artt. 112 e 324 c.p.c. e del D.M. 2 agosto 1969, art. 6; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che il tribunale, sebbene avesse reputato inammissibile, siccome nuova, la domanda risarcitoria ex lege aquilia, aveva accertato la responsabilità extracontrattuale del geometra A..

Deduce che siffatto capo della statuizione di prime cure non è stato oggetto di impugnazione e dunque è passato in giudicato; che conseguentemente la Corte di Firenze non poteva pronunciarsi sul merito della responsabilità aquiliana e dunque è incorsa nel vizio di ultrapetizione.

Deduce in ogni caso che ha errato la corte fiorentina a disconoscere la responsabilità aquiliana del geometra A..

Deduce segnatamente che l’affermazione del geometra A., secondo cui l’immobile non è “di lusso”, è smentita, nel segno del D.M. 2 agosto 1969, alla stregua e delle dichiarazioni rese dai testi escussi e degli esiti della c.t.u. esperita in prime cure.

24. Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

25. E’ sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2007, n. 3840; Cass. 20.8.2015, n. 17004; Cass. (ord.) 19.12.2017, n. 30393).

26. Su tale scorta non può che opinarsi come di seguito.

27. L’accertamento operato del tribunale in ordine alla concreta sussistenza della responsabilità aquiliana nonostante la ritenuta inammissibilità della correlata domanda deve reputarsi improprio e tamquam non esset.

Per un verso, quindi M.L. non aveva alcun interesse a proporre appello avverso siffatto capo della statuizione di primo grado.

Per altro verso, quindi è da escludere che la mancata impugnazione – del medesimo capo – ne abbia determinato il passaggio in giudicato.

28. Analogamente la delibazione del merito dell’addotta responsabilità extracontrattuale operata dalla corte d’appello, nonostante la conferma del primo dictum in punto di inammissibilità, per novità, della domanda ex lege aquilia, deve reputarsi impropria e tamquam non esset.

Per un verso, quindi non vi è ragione che M.L. adduca che la corte distrettuale – delibando il merito della responsabilità aquiliana – è incorsa in “ultra petizione”.

Per altro verso, quindi la ricorrente non ha alcun interesse ad impugnare, col terzo motivo di ricorso, siffatto capo della statuizione di secondo grado.

29. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente, M.L., va condannata a rimborsare al controricorrente, A.E., le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

La “Unipol S.A.I. Assicurazioni” s.p.a. (già “Fondiaria S.A.I.” s.p.a.) non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione nei suoi confronti va perciò assunta in ordine alle spese.

30. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, M.L., a rimborsare al controricorrente, A.E., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, M.L., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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