Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29711 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 11948/10) proposto da:

C.P. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Gobbi

Vittorio e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di

cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTO di BIELLA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato e presso i suoi uffici, in Roma, v. dei Portoghesi, n.

12, domiciliato “ex lege”;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Torino n. 1843 del

2009, depositata il 10 marzo 2009 (e non notificata).

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato il 26 novembre 2007, la sig.ra C.P. proponeva appello avverso l’ordinanza del Giudice di Biella del 10 ottobre 2006 con la quale veniva convalidata l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto della Provincia di Biella n. 626/05 del 17 maggio 2006, che, a seguito di ricorso in via amministrativa, aveva ingiunto alla stessa C. il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 714,00 (comprensiva di spese), relativa alla violazione dell’art. 180 C.d.s..

Nella costituzione dell’appellato Prefetto, il Tribunale di Torino, in composizione monocratica, con sentenza n. 1843 del 2009 (depositata il 10 marzo 2009), rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado. Avverso la citata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 26 aprile 2010 e depositato il 5 maggio successivo) la C.P., articolato in quattro motivi, in ordine al quale si è costituito in questa fase con controricorso l’intimato Prefetto di Biella.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione della L. n. 742 del 1969, art. 1, della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 3, e dell’art. 163 bis c.p.c., con conseguente nullità del procedimento per violazione di norme processuali, nonchè insufficiente e/o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato da una delle parti (il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato il vizio di falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 22, commi 4 e 5, e dell’art. 23, commi 5 e 12, con derivante nullità del procedimento di primo grado, nonchè l’insufficiente e/o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato da una delle parti (il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5).

Con il terzo motivo la difesa della C. ha censurato la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. oltre che per insufficiente e/o illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato da una delle parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione del D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 nonchè l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti e quattro i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 10 marzo 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. Cass. n. 5471/2008).

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che la ricorrente si sta attenuta alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo, riferito alla violazione della L. n. 742 del 1969, art. 1, della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 3, e dell’art. 163 bis c.p.c., oltre che a vizio di motivazione, non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla supposta violazione di legge, la cui formulazione avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), così come non si evince alcuna sintesi dello stesso vizio di motivazione prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia insufficiente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per te quali la supposta insufficienza o illogicità motivazionale si dovrebbe considerare inidonea a supportare la decisione;

– con riguardo al secondo motivo, relativo alle supposte indicate violazioni di legge e del procedimento oltre che a vizio motivazionale, non risulta indicato, dopo il diffuso svolgimento della complessa doglianza, quanto alle dedotte violazioni di norme di diritto, alcuno specifico quesito di diritto, così come non emerge alcuna sintesi del prospettato vizio motivazionale, mancando la chiara evidenziazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia carente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la dedotta insufficienza motivazionale si dovrebbe ritenere inidonea a confortare la decisione;

– in ordine al terzo motivo, concernente la presunta falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e il correlato vizio motivazionale della sentenza impugnata, difetta qualsiasi specifica enucleazione, in modo strutturalmente e funzionalmente autonomo, del quesito di diritto in modo tale da evidenziare un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto del motivo e correlato, in modo specifico, al punto della decisione impugnata, così come difetta, con il richiamo di apposita sintesi riepilogativa, la rappresentazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione sia da considerarsi inidonea a giustificare la statuizione adottata sullo specifico punto;

– con riferimento al quarto motivo, in tema di assunta violazione delle tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004 (con la prospettazione del correlato vizio di motivazione), pur essendo la doglianza sostanzialmente rispettosa del requisito dell’autosufficienza, manca, tuttavia, l’individuazione di uno specifico quesito di diritto rapportato alla concreta violazione dedotta, così come quella relativa all’evidenziazione del necessario prospetto, in chiave riepilogativa, del nucleo delle argomentazioni decisive dalle quali rilevare la ravvisata insufficienza ed illogicità della motivazione adottata nella sentenza impugnata.

In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese delle presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in complessivi Euro 400,00, oltre eventuali spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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