Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2971 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/02/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 07/02/2011), n.2971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9338-2007 proposto da:

D.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 80, presso lo studio dell’avvocato TESTAFERRATA EMANUELE,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati BALBI FRANCO,

LIVATINO ROBERTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MAGAZZINI NICO GARDA S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 13352-2007 proposto da:

NICO S.P.A., già NICO GARDA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLA FONTANELLA DI BORGHESE 42, presso lo studio dell’avvocato

SANCI’ EMILIA, rappresentata e difesa dall’avvocato AMBROSETTI

ENRICO, giusta delega in atti e da ultimo domiciliata d’ufficio

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 724/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/03/2006 r.g.n. 20/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato TESTAFERRATA EMANITELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 378/2001 del Tribunale di Verona veniva respinta la domanda di D.E., intesa ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità del licenziamento allo stesso intimato per superamento del periodo di comporto, nonchè il risarcimento dei danni (all’epoca dell’intimazione del licenziamento la società aveva una rappresentazione della situazione che legittimava il recesso datoriale in quanto il superamento del periodo di comporto era giustificato dalla circostanza che il lavoratore aveva inviato certificati medici che attestavano il ricollegarsi al pregresso infortunio, per cui si era assentato sino al 27.9.1999, della lombosciatalgia, per la quale aveva continuato ad assentarsi oltre i 180 giorni previsti dal ccnl di riferimento sia per malattia comune che per infortunio, non cumulabili tra loro).

Con sentenza depositata il 17.3.2006, la Corte di Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza gravata, dichiarava l’illegittimità del licenziamento, ordinando la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e disponendo la condanna della società Magazzini Nico-Garda spa a risarcimento dei danno ex art. 18 St. Lavoratori in misura di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto; rigettava l’appello con riguardo alla richiesta di risarcimento del danno biologico.

i Assumeva in sintesi la Corte territoriale, dopo avere disposto ctu medico legale sull’eziologia della lombosciatalgia che aveva determinato il superamento di periodo di comporto, che, essendo quest’ultima risultata ascrivibile a comuni cause, il licenziamento doveva ritenersi illegittimo, ma che, in base a certificati fatti pervenire dal lavoratore, la società era esente da colpa e, dunque, la misura del risarcimento doveva essere contenuta nella misura minima di legge.

Il D. propone ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, con altrettanti quesiti di diritto.

Resiste la società, che propone a sua volta ricorso incidentale per la cassazione della sentenza con tre motivi che affrontano le questioni della commisurazione del danno in cinque mensilità e della valutazione della responsabilità del datore di lavoro.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale.

Deduce il ricorrente, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto: L. n. 300 del 1970, art. 18 e art. 1218 c.c..

Sostiene che la prova a carico del datore deve essere particolarmente rigorosa, la buona fede non essendo sufficiente all’esonero da responsabilità se non coincidente con l’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere ai propri obblighi secondo la normale diligenza, e rileva che l’ipotesi della limitazione del risarcimento di cui all’art. 18 St. Lav. a soli cinque mesi di retribuzione sia da ritenere del tutto residuale. Pone al riguardo corrispondente quesito di diritto.

Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione delle medesime norme di diritto: art. 18 stat. Lav. e art. 1218 c.c., sottolineando che l’esonero da responsabilità per il datore non potrebbe, comunque, riferirsi anche al periodo successivo alla pronunzia di reintegra e fino all’effettività di quest’ultimo.

Anche in relazione alla deduzione di tale vizio pone quesito di diritto formulato in maniera alternativa.

Infine, con il terzo motivo, censura l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo e deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 346 c.p.c..

Assume che la reiterazione di domande istruttorie a supporto della domanda di risarcimento del danno biologico era da ritenere insita nella richiesta formulata nelle domande iniziali.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, che devono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

Assume il ricorrente che la prova liberatoria posta a carico del datore inadempiente deve essere particolarmente rigorosa e non può certo limitarsi alla dimostrazione della propria diligenza o, tanto meno, della sua buona fede e richiama a sostegno dell’assunto sentenze della Corte di legittimità in tema di assenza di colpa connessa ad un impedimento di carattere oggettivo.

Osserva la Corte che quella del recesso del datore di lavoro per superamento, da parte del lavoratore, del periodo di comporto (in una delle sue possibili varianti del comporto unitario, cosiddetto “secco”, o di quello frazionato) costituisce una ipotesi del tutto peculiare di cessazione del rapporto di lavoro, non dovuta nè ad un fatto dell’azienda, nè, propriamente, ad un fatto o colpa propri del lavoratore, ma piuttosto all’impossibilità di quest’ultimo di assicurare con sufficiente continuità la propria prestazione. Come tale, è stata regolata in una norma speciale, quella dell’art. 2110 c.c., comma 2, distinta da quelle disciplinanti l’estinzione del rapporto di lavoro. La giurisprudenza di questa Corte ha posto in luce questa specialità, anche rispetto alla disciplina limitativa dei licenziamenti contenuta nelle L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970 con le loro successive modifiche, giungendo alla conclusione, ormai consolidata, che “la fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), si inquadra nello schema previsto, ed è soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti determinato dal giudice in via equitativa, e, dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità1 dei recesso, nel senso che non è all’uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo nè della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, nè della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali”. (v., da ultimo ed in tali termini, Cass. 1861/2010 e precedentemente, Cass. Cass. civ., 7 aprile 2003, n. 54139).

Alla luce di tali premesse deve, quindi, ritenersi che è solo la circostanza dell’oggettivo superamento del periodo massimo previsto a determinare la legittimità del recesso, laddove l’oggettiva carenza di tale presupposto è, al contrario, significativa per escludere la validità del recesso. Ed invero, la legge prevede che la valutazione preventiva effettuata nella generalità dei casi dalla contrattazione collettiva in ordine al bilanciamento di interessi delle parti (quello del datore di lavoro alla prestazione ed alla produzione aziendale e quello del lavoratore alla conservazione del posto) sia tale per cui il solo dato oggettivo del superamento o meno del comporto valga di per sè a rendere corrispondentemente legittimo ovvero illegittimo il recesso che abbia riguardo a tale causa estintiva del rapporto.

Nel caso considerato si deduce che, essendo rimasto escluso che il periodo di comporto sia stato superato, avendo la ctu medico legale(espletata nel corso del giudizio di secondo grado escluso che il periodo di malattia ulteriore fosse imputabile all’infortunio precedentemente subito dal D., non poteva poi la corte territoriale discostarsi da tale dato oggettivamente acquisito per limitare, evocando la buona fede del datore di lavoro, la misura del risarcimento del danno, conseguente alla ritenuta illegittimità del licenziamento, a sole cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.

Alla stregua, quindi, delle considerazioni svolte circa la interpretazione della normativa in materia di comporto, la situazione relativa all’individuazione della reale eziologia della malattia è stata chiarita in precedenza, sicchè, in forza di quanto disposto dalla contrattazione collettiva di settore, il recesso doveva reputarsi illegittimo.

Anche la richiamata sentenza della Cassazione n. 3114/2004 relativa ad ipotesi in cui la mancata riduzione a cinque mensilità era giustificata dal fatto che la società, parte in causa, si era rivolta a struttura medica del Servizio Sanitario delle Ferrovie dello Stato per accertare l’ inidoneità fisica del lavoratore e quindi ne rispondeva per avere omesso di valutare adeguatamente la risposta ottenuta, potendo eventualmente ricorrere ad ulteriori accertamenti sanitari, conforta la esistenza di un orientamento di legittimità in tale senso.

Nè può trascurarsi ai fini decisori che la società ha omesso di valutare adeguatamente la certificazione medica ricevuta dal proprio dipendente, ritenendo che l’osservazione del medico contenuta nel modulo di denunzia di infortunio da trasmettere all’INAIL fosse tale da non richiedere, ulteriori accertamenti prima di procedere all’intimazione del licenziamento, laddove lo stesso avrebbe dovuto osservare un minimo di diligenza nel valutare il modulo in questione.

Per concludere sul punto, deve, pertanto, ritenersi che anche l’estensione delle conseguenze sanzionatorie al periodo successivo alla sentenza di reintegra e sino all’effettivo ripristino del rapporto sia diretta conseguenza dell’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 ed in tal senso dovrà provvedere il giudice di rinvio, a seguito della cassazione della sentenza in relazione ai due motivi oggetto di accoglimento.

Il terzo motivo del ricorso principale è, al contrario, infondato.

Contrariamente a quanto ritenuto in ricorso, la sentenza impugnata, essendo sul punto denunziato adeguatamente motivata, priva di salti logici e per avere fatto corretta applicazione dei principi giuridici applicabili in materia, si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità. Sotto altro versante, va, poi, rilevato – per quanto attiene alla sussistenza del danno denunziato con detto motivo (danno biologico) ed alla consequenziale domanda di ristoro – che dalle risultanze processuali non risulta provata l’esistenza di tali danni per la mancata ammissione, da parte de giudice di merito, della richiesta di prova per testi, di cui nel ricorso non vengono tar l’altro neanche riportati i capitoli di prova.

Con il ricorso incidentale della società si censura Sa decisione per omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducendo che la sentenza non motiva sul perchè le conclusioni del ctu fossero più convincenti delle valutazioni espresse da altri sanitari nelle certificazioni inviate dal lavoratore e si formula al riguardo quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

In primo luogo va ribadito che anche su tale punto non si rinviene nella sentenza della Corte territoriale un vizio di motivazione per risultare la suddetta sentenza corretta sul piano logico-giuridico e perchè, a fronte delle risultanze ritualmente acquisite al processo, non si prospettano e non si rinvengono critiche idonee a sminuire la portata e la validità della valutazione su piano medico -legale operata dal giudice di merito sulla base di dette risultanze.

Quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 e 2118 c.c. e art. 18, Statuto dei lavoratori (art. 360 c.p.c., n. 3) ed all’ulteriore motivo del ricorso incidentale di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso (art. 360 c.p.c., n. 5), si assume che la legittimità del licenziamento doveva essere valutata al momento in cui era stato intimato, altrimenti si verterebbe in ipotesi di responsabilità oggettiva.

Anche tale rilievo è infondato, essendosi osservato che ciò che rileva, nella presente controversia, ai fini della valutazione del superamento del comporto è la situazione per come accertata in merito alla eziologia della seconda patologia.

Rimane, infine, assorbito in virtù di quanto in precedenza detto l’assunto con cui si contesta che possa sussistere una responsabilità oggettiva con riferimento al risarcimento del danno sia pure contenuto in cinque mensilità.

Per concludere, il primo ed il secondo motivo del ricorso principale vanno accolti, mentre vanno rigettati il terzo motivo di detto ricorso ed il ricorso incidentale. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti ed alla stregua del disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa va rimessa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione, ad un nuovo giudice d’appello, che si designa nella Corte di appello di Trento, che si atterrà ai principi di diritto in precedenza enunciati con riferimento alla determinazione del risarcimento dei danni.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

riunisce i ricorsi; accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il terzo motivo, nonchè il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Trento.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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