Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29708 del 12/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 29708 Anno 2017
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 19182-2013 proposto da:
RUSSO

LUIGI

RSSLGU3OSO8C129R,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio
dell’avvocato SILVIO SAVARESE, che lo rappresenta e
difende;
– ricorrente contro

2017
1492

AMOROSO

STEFANIA

MRSSEN59P53F839U,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo
studio dell’avvocato DE ANGELIS ANTONIA, rappresentata
e difesa dall’avvocato GIANCARLO VIOLANTE RUGGI

Data pubblicazione: 12/12/2017

D’ARAGONA;
– controricorrente nonchè contro

SOC. COOP. EDILIZIA NEAPOLIS a r.l. in persona del
legale rappresentante pro tempore;

avverso la sentenza n. 7954/2012 del TRIBUNALE di
NAPOLI, depositata il 04/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/05/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
GRASSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
l’inammissibilità o, in subordine, per rigetto del
ricorso.
udito l’Avvocato SILVIO SAVARESE,

difensore del

ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato GIANCARLO VIOLANTE RUGGI D’ARAGONA,
difensore della controricorrente, che ha chiesto
l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

– intimata –

I FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 4/7/2012 rigettò la
domanda avanzata da Luigi Russo nei confronti della società
cooperativa edilizia a r.l. Neapolis e di Stefania Amoroso, con la quale
aveva chiesto dichiararsi da lui usucapito il diritto di proprietà

more deceduta, e alla quale era succeduta Stefania Amoroso e
dichiarò inammissibile la subordinata domanda di indennizzo per
ingiusto arricchimento proposta nei confronti di quest’ultima.
La Corte d’appello di Napoli, con ordinanza del 31/5/2013,
dichiarò inammissibile l’impugnazione del Russo, ai sensi dell’art.
348- bis, cod. proc. civ.
Il Russo avanza ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 348-ter,
comma 3, cod. proc. civ., esponendo tre motivi di censura.
Stefania Amoroso resiste con controricorso.
La Neapolis non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 42,
comma 1, Cost., nonché degli artt. 826 e 828, cod. civ.
Questo, in sintesi, l’assunto censuratorio. La sentenza non aveva
considerato che gli alloggi costruiti da cooperativa edilizia mediante
accesso a mutuo agevolato non fanno parte del patrimonio pubblico
indisponibile (art. 826, cod. civ.) e, pertanto, non trova applicazione
l’indisponibilità prevista dall’art. 828, cod. civ. La sentenza aveva
confuso la indisponibilità da parte del socio, il quale prima della
stipula del mutuo individuale e del consequenziale trasferimento del
diritto di proprietà, non vanta posizione di diritto pieno, con la non
trasmissibilità assoluta del bene. La predetta indisponibilità non
implica affatto che il bene non possa essere usucapito (un conto sono
le facoltà soggettive, altro conto la disciplina del bene), specie da un
terzo. Soggiunge il ricorrente che gli alloggi costruiti dalle cooperative

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dell’appartamento destinato alla di lui sorella Maria Concetta, nelle

edilizie non hanno natura pubblica, ma privata e la temporanea
(decennale) limitazione della loro commerciabilità (e, quindi,
usucapibilità) trova fonte speciale nell’art. 9, comma 2, della I. n.
408/1949 e non nella disciplina generale dei beni immobili pubblici.
Ritenere che l’alloggio sia oggettivamente incommerciabile, e, quindi

proprietà da parte del socio, imporrebbe al bene un vincolo
irragionevolmente più severo di quello che è posto a carico dei beni
pubblici, i quali possono, per legge, veder mutata la loro
destinazione.
La doglianza è destituita di giuridico fondamento, oltre a non
avere concludenza risolutiva a cagione dell’infondatezza degli altri
due motivi.
La sentenza impugnata ha affermato che il socio assegnatario, al
quale il bene sia stato consegnato prima dell’intestazione individuale
della quota frazionata del mutuo e quindi prima della formazione del
negozio traslativo (come, peraltro, per prassi diffusa) assume la veste
di detentore, veste che, appunto, non gli consente di usucapire
l’immobile. Trattasi di principio più volte enunciato in sede di
legittimità (Sez. 2, n. 16489, 22/11/2002, Rv. 558655) il quale nega
in radice fondamento alla doglianza. Senza necessità, infatti, di
soffermarsi sull’appartenenza degli immobili, prima del
raggiungimento della loro destinazione (soddisfacimento del bisogno
primario della casa di abitazione da parte di determinate categorie di
soggetti) al patrimonio indisponibile dell’ente, in quanto
sovvenzionato dallo Stato, è bastevole concludere che la qualità di
detentore è incompatibile con quella di possessore, stante che nel
primo caso il soggetto ha un rapporto privilegiato con la cosa per
permesso del possessore, la cui signoria rispetta e riconosce, con la
conseguenza che egli, ove intenda usucapire il bene deve compiere
atti manifesti attraverso i quali renda visibile il mutamento della

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non usucapibile (art. 1145, comma 1, cod. civ.) fino all’acquisto della

detenzione in possesso (art. 1141, comma 2, cod. civ.). Né, è appena
il caso di soggiungere, muta prospettiva l’ipotesi, peraltro rimasta
sfornita di riscontri, che sia stato il ricorrente, di fatto, ad usufruire
dell’alloggio: trattasi pur sempre, invero, di una posizione di
vantaggio derivata dalla permissione del titolare (salvo la ipotesi, che

tempo con condotte estrinsecanti la volontà di possedere uti domini).
Ciò solo, senza necessità di verificare il fondamento del resto
degli argomenti spesi dalla Corte locale, dimostra l’infondatezza della
doglianza.
Con il secondo motivo il ricorso allega la violazione dell’art. 42,
comma 2, Cost.; degli artt. 1158, 1140, 1141, 2697, 2702, 2909,
cod. civ.; 94, 96, 98, 111, T.U. n. 1165/1938; 39 e 115, cod. proc.
civ.; 1 e 6, d.P.R. n. 917/1986; 1, d. Igs n. 504/1992.
Il motivo si snoda evocando, con scarsa attenzione per la piana
leggibilità e il rispetto del divieto di commistioni e accavallamenti di
argomenti e doglianze, plurimi profili, che qui, in sintesi, si
riprendono: a) il Russo trovavasi nel possesso dell’appartamento dal
1961, nel mentre l’assegnazione del 2007, a pagamento effettuato
dell’intero mutuo, in favore della figlia della formale intestataria, nel
frattempo deceduta, costituiva un vero atto di prepotenza da parte
della p.a.; b) così come affermato nel precedente motivo non poteva
negarsi il diritto all’usucapione da parte di un terzo; c) l’esponente
aveva ricevuto il possesso da un precedente socio, al quale aveva
versato corrispettivo e l’intestazione formale alla sorella era dipesa
dal fatto che costei, a differenza del ricorrente, aveva i requisiti per
far parte della cooperativa, e aveva fatto luogo a tutti i pagamenti
delle rate del mutuo; d) delle due contrapposte versioni (Stefania
Amoroso aveva dedotto che l’alloggio, col consenso della madre, era
stato abitato dalla nonna materna e dagli zii materni, tra i quali il
ricorrente) l’unica attendibile era quella del Russo, nel mentre il

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qui non ricorre, di casi d’immissioni contra domini, perseverate nel

verbale di consegna, risalente all’11/9/1961, non riportava la firma di
Maria Concetta Russo, dal certificato anagrafico constava che il
fratello abitava l’alloggio dal 31/10/1961; e) assegna la violazione
dell’art. 115, cod. proc. civ., al mancato apprezzamento della dedotta
interposizione formale, per non essere state accolte le richieste

giudicata valida una consegna meramente formale; la violazione
dell’art. 2702, cod. civ., per non aver considerato che una scrittura
privata non assume valore giuridico in assenza di sottoscrizione; la
violazione dell’art. 98, T.U. n. 1165/1938, per non aver considerato
che la presa di possesso dell’alloggio si sviluppa in due fasi, costituite
dal verbale e dall’occupazione nei successivi trenta giorni; la
violazione ancora dell’art. 115, cod. proc. civ., per non essersi
considerato che il socio prenotatario era Vincenzo Brignola, che aveva
ceduto i suoi diritti al Russo e non Maria Concetta Russo, della quale il
ricorrente si era dovuto avvalere, quale mera “testa di legno”, non
avendo egli i requisiti per far parte della cooperativa; la violazione
dell’art. 1140, cod. civ., per aver fatto dipendere il possesso tutelabile
dalla qualifica di socio, nonché per aver fatto decorrere la
sottoponibilità a possesso del bene solo dalla stipula del mutuo
individuale (peraltro, nella specie, mai avvenuto); la violazione
dell’art. 111, comma 3, T.U. n. 1165/1938, avendo affermato
l’esistenza di un comodato tra i due germani Russo, senza la prevista
approvazione ministeriale; la violazione degli artt. 94, 96 e 98, T.U.
n. 1165/1938, i quali distinguono tra la qualifica formale di socio e
assegnatario; la violazione degli artt. 2909, cod. civ. e 39, cod. proc.
civ., per non aver tenuto conto che in un separato giudizio, sospeso
ai sensi dell’art. 295, cod. proc. civ., si discettava se fosse
intervenuto contratto di locazione o di comodato; violazione dell’art.
1141, cod. civ. «nella parte in cui [la sentenza] confonde la necessità
di un atto che muti la detenzione in possesso con la necessità che il

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istruttorie della parte; la violazione dell’art. 1140, cod. civ., avendo

bene stesso possa essere oggetto di possesso» (la sentenza «richiede
l’interversione del possesso, quando ciò che deve cambiare nel corso
del tempo ai fini dell’usucapione è la possibilità del bene di essere
usucapito; ciò avviene … dopo dieci anni dalla consegna»); la
violazione di plurime norme tributarie, essendosi negato rilievo alle

l’assolvimento delle imposte.
In definitiva, dell’insieme delle violazione di legge rappresentate,
per il ricorrente può trarsi il convincimento della lesione della
garanzia costituzionale di cui all’art. 42, comma 2, nonché della
CEDU.
Il motivo supera a fatica il vaglio d’ammissibilità, in quanto la
tecnica di redazione che lo contraddistingue rende oltremodo
difficoltoso, pur non avendolo precluso, lo scrutinio delle doglianze e
la loro correlazione con le ipotesi previste dalla legge.
In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere
di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato
dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio
generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel
processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di
inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole
estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata),
ma in quanto rischia di pregiudicare l’intelligibilità delle questioni,
rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa
e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella
violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc.
civ., assistite – queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità
(Sez. 2, n. 21297, 20/10/2016, Rv. 641554).
Le osservazioni censuratorie sono caratterizzate dalla finalità,
peraltro neppure velata, di ottenere dal Giudice di legittimità l’intiera
rivalutazione del merito. Allo scopo vengono evocate le violazioni di

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denunzie attestanti il possesso del cespite presentate per

plurime norme giuridiche, talora senza neppure il costrutto di una
ripercorribile motivazione.
Lo scrutinio delle plurime doglianze, come s’è detto reso
periglioso dalla confusione, ripetizione e scarsa coerenza espositiva,
non è favorevole al ricorrente.

prospettato possesso a decorrere dal 1961 (lett. a, b, c e d del
superiore riepilogo), non resta che rilevare trattarsi di congetturale
versione di parte contrapposta alle conclusioni cui è giunta la
sentenza di merito, in questa sede incensurabili.
La pretesa violazione dell’art. 115, cod. proc. civ. si mostra palese
artificio per, ancora una volta, scardinare, il costrutto motivazionale,
venendo in gioco, piuttosto chiaramente, non una violazione delle
regole probatorie, ma la pretesa di far prevalere la propria tesi.
La violazione dell’art. 115, cod. proc. civ., può essere dedotta
come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle
risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due
profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale
nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare
le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività,
salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza;
ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che
erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Sez. 3, n.
20382, 11/10/2016, Rv. 642907). Si è ulteriormente chiarito che la
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede
di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, comma 1, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere
direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli
atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Sez. 2, n. 24434,
30/11/2016, Rv. 642202).

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Quanto alla complessiva ricostruzione della vicenda, ivi incluso il

La riferita violazione dell’art. 2702, cod. civ., è inconferente, in
quanto assegna alla firma dell’assegnatario dell’alloggio (nel caso
mancante) funzioni che non gli sono proprie: non si è in presenza di
un negozio giuridico, ma di un mero atto con il quale, la cooperativa,
anticipando gli effetti della procedura, consegna l’alloggio al socio

valore di conferma della materialità dell’operazione. Con la
conseguenza che dall’assenza di essa non derivano le conseguenze
che prospetta il ricorrente, nel mentre l’indizio che egli vuole si tragga
in favore della sua ricostruzione viene congruamente smentito
dall’insieme delle emergenze probatorie vagliate dalla Corte locale.
Non sussistono, infine, le lamentate violazioni di legge di cui
appresso: non ha rilievo in ordine alla vicenda che l’art. 98 del T.U. n.
1165/1938 preveda che l’assegnatario prenda possesso dell’immobile
entro un certo termine; non ha valenza risolutiva la circostanza che il
comodato intervenuto fra i germani Russo non era stato preceduto
dall’autorizzazione amministrativa (artt. 111, comma 3 e T.U. n.
1165); non si rileva alcuna violazione degli artt. 2909, cod. civ. e 31,
cod. proc. civ., per non essersi tenuto conto degli sviluppi di altro
processo sospeso; quanto all’art. 1141, cod. civ., si è già chiarito che
la mancanza di atti che appalesino il mutamento dell’animus, da mero
detentore a possessore, è valutazione da sola sufficiente ad escludere
la fondatezza della pretesa. Il richiamo all’art. 42, Costituzione,
appare, ad un tempo, inconcludente e superficiale: il regime della
proprietà, pubblica e privata, è regolato dalla legge e, pertanto, non è
ipotizzabile alcuna lesione del diritto costituzionalmente garantito ove
venga negato il riconoscimento del diritto, in conformità della legge,
ad uno dei litiganti e in favore dell’altro. Infine l’invocazione della
Carta EDU non può essere vagliata a cagione della sua somma
genericità.

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assegnatario e la firma di quest’ultimo non può che avere i mero

Con il terzo ed ultimo motivo il Russo denunzia la violazione
dell’art. 112, cod., proc. civ. e dell’art. 1421, comma 2, cod. civ.
Il ricorrente non ritiene giustificato il rifiuto di pronunciarsi sulle
domande di nullità, le quali erano state tempestivamente avanzate,
senza contare che la nullità del contratto può formare oggetto di

stesso processo le domande di nullità, in quanto si ritiene che i motivi
per i quali il signor Russo possa acquistare il diritto di proprietà
sull’immobile siano in sostanza coincidenti con quelli per i quali il
diritto stesso non possa essere acquistato da Amoroso Stefania».
Trattasi di censura, in ogni caso, inammissibile per manifesta
irrilevanza.
Non è dato, infatti, cogliere quale vantaggio, immediato e diretto,
il ricorrente trarrebbe dalla declaratoria di nullità dell’assegnazione
dell’alloggio, non rivestendo egli la qualità di socio concorrente,
contro-interessato.
In virtù del principio di soccombenza il ricorrente dovrà
rimborsare alla controparte le spese legali del giudizio di legittimità,
nella misura, stimata congrua, tenuto conto del valore e della qualità
della causa, nonché delle attività svolte, di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito
dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis
(essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio
2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del
contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
legali in favore della resistente Stefania Amoroso, che liquida in euro
3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del

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accertamento d’ufficio. «Fin dall’inizio si è scelto di proporre nello

15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito
dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore

ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma il giorno 24/5/2017

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il

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