Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29704 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. II, 29/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27902/2018 R.G. proposto da:

S.V., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Giancarlo

Falco, (con indicazione dell’indirizzo p.e.c.) ed elettivamente

domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto dei 23/30.3.2018 della Corte d’Appello di Bari;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Bari depositato il 5.6.2017 S.V. si doleva per l’irragionevole durata della controversia di lavoro che, con ricorso depositato il 13.3.2003, aveva promosso dinanzi al Tribunale di Trani nei confronti dell'”Acquedotto Pugliese” s.p.a., onde conseguire l’annullamento delle sanzioni disciplinari irrogategli in data 10.5.2002 ed in data 4.7.2002.

Esponeva che il giudizio “presupposto” era stato definito in primo grado con sentenza del 26.2.2008, con la quale il suo ricorso era stato rigettato, in secondo grado con sentenza del 13.6.2013, con la quale il suo appello era stato respinto, in sede di legittimità con sentenza del 12.12.2016, con la quale il ricorso per cassazione era stato dichiarato inammissibile.

Chiedeva ingiungersi al Ministero della Giustizia il pagamento di un equo indennizzo (le circostanze tutte surriferite si desumono dal testo del ricorso ex lege “Pinto” riprodotto nel corpo del ricorso per cassazione (cfr. pagg. 4 – 10)).

2. Con decreto in data 5.7.2017 il consigliere designato rigettava il ricorso.

Esplicitava che la domanda esperita dal ricorrente nel giudizio presupposto era stata rigettata in dipendenza dell’integrale riscontro dei fatti contestati e dell’incondizionata osservanza delle garanzie difensive; che dunque doveva opinarsi nel senso che il ricorrente avesse, nel giudizio “presupposto”, agito con mala fede e colpa grave e quindi che avesse dato impulso ad una lite temeraria (tanto si desume dal testo del decreto del 5.7.2017 riprodotto nel corpo del ricorso per cassazione (cfr. pag. 11)).

3. Con ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, S.V. proponeva opposizione (cfr. ricorso per cassazione, pag. 11).

4. Con decreto dei 23/30.3.2019 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’opposizione.

Evidenziava la corte di merito che la totale infondatezza della domanda esperita nel giudizio “presupposto” faceva agevolmente presumere l’insussistenza di qualsivoglia incertezza circa l’esito infausto del medesimo giudizio e quindi faceva agevolmente presumere l’insussistenza di qualsivoglia forma di “patema d’animo” correlato al protrarsi dello stesso giudizio.

5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso S.V.; ne ha chiesto sulla scorta di sei motivi, preceduti ciascuno da sei “capi”, la cassazione con ogni conseguente provvedimento.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

7. Il ricorso è inammissibile.

8. Invero i motivi di ricorso per cassazione, ed i sei “capi” che, rispettivamente, li precedono, risultano formulati in maniera del tutto confusa e disorganica, sicchè non sono in alcun modo intellegibili.

I motivi di ricorso, pur separatamente enunciati, segnatamente nel quadro di sintesi (pagg. 16 – 20), risultano poi, di già nel quadro di sintesi, sviluppati attraverso una successione, recte una sovrapposizione, assolutamente caotica, disordinata, tutt’altro che chiara e lineare, di argomenti, di riferimenti normativi, di riferimenti giurisprudenziali.

Evidentemente l’informe, l’indefinita massa di rilievi che i motivi veicolano, imporrebbe a questo Giudice della legittimità il compito, che di certo non può e non deve competergli, pena la menomazione della terzeità ed imparzialità dell’organo giudicante, di “ordinare” – o, verosimilmente, di tentar di “ordinare” – e quindi di “ricostruire” la rappresentazione difensiva del ricorrente.

9. In questo quadro soccorre l’insegnamento di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali, che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, assistite – queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità (cfr. Cass. (ord.) 21.3.2019, n. 8009; Cass. 20.10.2016, n. 21297; Cass. 30.4.2020, n. 8425).

10. In dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso S.V. va condannato a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio.

La liquidazione segue come da dispositivo (in sede di condanna del soccombente al rimborso delle spese del giudizio a favore di un’amministrazione dello Stato – nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario – riguardo alle spese vive la condanna deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito: cfr. Cass. 18.4.2000, n. 5028; Cass. 22.4.2002, n. 5859).

11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. cit. (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente, S.V., a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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