Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 297 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 297 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 23862-2010 proposto da:
RAI

RADIOTELEVISIONE

ITALIANA
■1-■

S.P.A.

C. F.

f

06382641006, in ‘persona deliL egale rapp se
elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli
avvocati SCOGNAMIGLIO RENATO, SCOGNAMIGLIO CLAUDIO,
2013
3232

che la rappresentano e difendono unitamente
all’avvocato PIERLUIGI LAX, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

IADANZA SANDRO C.F. DNZSDR53D19H501U;

Data pubblicazione: 09/01/2014

– intimato –

Nonché da:
IADANZA SANDRO C.F. DNZSDR53D19H501U, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso lo
studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che lo

COSTANTINI CLAUDIA, D’AMATI GIOVANNI NICOLA, giusta
delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

RAI

RADIOTELEVISIONE

ITALIANA
el- or-

06382641006, in persona deg I-O. ”

S.P.A.

C.F.

1-60(

rappresen ante pro

‘temporeì elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli
avvocati SCOGNAMIGLIO RENATO, SCOGNAMIGLIO CLAUDIO,
che

la

rappresentano

e

difendono

unitamente
Aef /ti:~

all’avvocato PIERLUIGI LAX, giusta delega
– controri corrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 9371/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/10/2009 R.G.N.
10487/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/11/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato PORCELLI VINCENZO per delega
SCOGNAMIGLIO RENATO;

rappresenta e difende unitamente agli avvocati

udito l’Avvocato COSTANTINI CLAUDIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 29/12/08 — 14/10/09 la Corte d’Appello di Roma ha parzialmente
accolto l’impugnazione proposta da ladanza Sandro avverso la sentenza del
giudice del lavoro del Tribunale di Roma, che gli aveva rigettato la domanda volta

attraverso i quali era stato assunto come programmista-regista nel periodo 20/9/93
— 29/6/01, dichiarando la nullità del termine apposto al primo di tali contratti e la
sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere
dal 20/9/93, con condanna della società convenuta al risarcimento nella misura
delle retribuzioni maturate dalla data della sua costituzione in mora del 9/8/01 nei
limiti del triennio decorrente dalla cessazione del rapporto.
La Corte ha spiegato che la ragione della “fraus legis” che aveva determinato la
dichiarazione di nullità di apposizione del termine risiedeva nel comprovato intento
elusivo della disciplina dei contratti a termine utilizzati dalla società radiotelevisiva,
non per sopperire ad una temporanea esigenza di disporre di una determinata
professionalità, ma per colmare stabili vuoti di organico, tanto che il costante
impiego di programmisti — registi assunti a tempo determinato era mediamente
pari a circa il doppio di quelli assunti a tempo indeterminato e rappresentanti
l’organico dell’azienda.
La Corte ha, invece, respinto l’istanza del lavoratore diretta alla condanna
dell’appellata, sia pur in forma generica, al pagamento delle differenze retributive
per il servizio pregresso in considerazione della ritenuta genericità del relativo
capo di domanda.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la R.A.I con sei motivi.
Resiste con controricorso ladanza Sandro, il quale propone a sua volta ricorso
incidentale affidato ad un solo motivo, al cui accoglimento si oppone la R.A.I.
s.p.a.
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

all’accertamento della nullità del termine apposto dalla R.A.I. s.p.a ad otto contratti

Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello
incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
1. Col primo motivo del ricorso principale la R.A.I. — Radiotelevisione Italiana s.p.a.

parte della decisione impugnata attraverso la quale le era stata respinta
l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso in base alla ritenuta
irrilevanza del dato costituito dell’intervallo temporale di due anni intercorso tra il
primo ed il secondo contratto. A tal riguardo la ricorrente fa notare che aveva ben
evidenziato che alla scadenza dell’ultimo contratto la controparte aveva iniziato ad
espletare attività lavorativa retribuita in favore di altri datori di lavoro, senza che la
Corte territoriale ne tenesse conto.
2. Col secondo motivo la ricorrente ripropone l’identica questione sotto l’aspetto
del vizio motivazionale dal quale sarebbe affetta l’impugnata decisione in quanto i
giudici d’appello avrebbero adottato una motivazione carente in merito ai fatti di
cui sopra dedotti a sostegno dell’eccezione di intervenuta risoluzione per mutuo
consenso del rapporto in esame.
3. Col terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art.
416 c.p.c., anche in relazione all’art. 420 c.p.c., in quanto la Corte d’appello non
avrebbe considerato che la mancata specifica contestazione da parte del
lavoratore delle circostanze da essa allegate sull’espletamento da parte di
quest’ultimo di attività lavorativa nell’intervallo tra i singoli contratti era tale da far
ritenere provato un tale fatto ai fini della dimostrazione dell’eccepita risoluzione del
rapporto per mutuo consenso.
Osserva la Corte che i primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente per
ragioni di connessione, trattandosi della stessa questione della dedotta risoluzione
del rapporto per mutuo consenso.
Tali motivi sono infondati.

denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cod. civ. contestando la

Invero, l’indirizzo consolidato di questa stessa Sezione (Cass. sez. lav. n. 5887
dell’i 1/3/2011; Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010; Cass. sez. lav. n. 26935
del 10/11/08; C. sez. lav. n. 17150 del 24/6/08; C. sez. lav. n. 20390 del 28/9/07;
C. sez. lav. n. 23554 del 17/12/04; C. sez. lav. n. 17674 dell’i 1/12/02) è nel senso

termine è di per sè insufficiente a configurare una ipotesi di risoluzione del
rapporto per mutuo consenso in quanto, affinchè possa considerarsi sussistente
una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una
chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine
ad ogni rapporto lavorativo, sicchè la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni
non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di
diritto.
È, comunque, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per
mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. sez.
lav. n. 2279 dell’i /2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007), non
potendo ritenersi, quindi, sufficiente la sola allegazione delle stesse.
Orbene, nella fattispecie la Corte territoriale si è correttamente attenuta a tali
principi nel momento in cui, con motivazione immune da rilievi di carattere logicogiuridico, dopo aver precisato che l’eccezione di cui trattasi era del tutto generica e
si riferiva solo al secondo contratto, ha aggiunto che non assumeva valore
inequivocabile il decorso di un tempo relativamente breve tra la stipula dei vari
contratti, né la mancata adozione, tra un contratto e l’altro, di iniziative volte a
conseguire la conversione del contratto ed il ripristino del rapporto stesso, ben
giustificabile con la speranza di poter stipulare altri contratti a tempo determinato
con la RAI, oltre che col timore del lavoratore di non essere più interpellato in caso

di ritenere che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a

di rivendicazioni. Né la società appellata aveva dimostrato che la controparte
avesse lavorato stabilmente o saltuariamente per altri datori di lavoro, sebbene
anche tale circostanza poteva essere significativa solo di esigenze di
sopravvivenza, salvo che il rapporto avesse assunto caratteristiche di stabilità.

motivazione in ordine ad un fatto controverso o decisivo con riferimento al
convincimento della Corte territoriale sulla ricorrenza, nella fattispecie, di una
ipotesi di uso fraudolento dello strumento del contratto di lavoro subordinato a
tempo determinato. La ricorrente si riferisce in particolare al passaggio della
motivazione della sentenza impugnata in cui è posto in risalto che dai prospetti
prodotti dalla convenuta, riferiti ai lavoratori di pari qualifica impiegati nel periodo
1990-2002, era emerso che su un organico di programmisti-registi assunti a tempo
indeterminato, rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni, era stato
impiegato costantemente, seppure a rotazione, un numero di lavoratori a tempo
determinato pari, in media, a circa il doppio di quelli in organico.
Al riguardo la ricorrente deduce che il vizio motivazionale risiederebbe nel fatto
che il riferimento al rapporto numerico indicato in sentenza rappresenta un dato
neutro, soprattutto se raffrontato alle specifiche esigenze aziendali variabili di anno
in anno, così come illustrate nella memoria di costituzione.
Il motivo è infondato.
Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del
2/2/2007), “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la
prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360,
comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall’esame del
ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa
impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad
una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel
complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il

4. Col quarto motivo la difesa della società ricorrente denunzia una carenza della

predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma
non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della
parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli
elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in

stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In
ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito
adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in
esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle
parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni
del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese
tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.
Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro
complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello
appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro,
oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove documentali su
punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le
censure mosse col presente motivo di doglianza.
5. Oggetto del quinto motivo di censura del ricorso principale è la denunzia di
violazione o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 230 del 1962,
anche in relazione all’art. 2697 cod. civ., posto che la ricorrente si duole del fatto
che l’onere della prova della sussistenza dell’intento fraudolento, così come
ravvisato dalla Corte di merito nel suo convincimento sull’uso illegittimo dei
contratti a termine, incombeva, invece, sul lavoratore.
Il motivo è infondato.
Anzitutto, va premesso che la legge n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e),
come modificato dalla legge n. 266 del 1972, prevede e consente l’applicazione

5
i>

un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello

del termine “nelle assunzioni di personale riferite a pubblici spettacoli, ovvero a
specifici programmi radiofonici o televisivi”.
Nell’interpretazione di tale norma, questa Suprema Corte ha ripetutamente
affermato che, affinchè il rapporto di lavoro a termine possa ritenersi legittimo, è

temporaneità e specificità dello spettacolo e dell’esigenza lavorativa che il
contratto è diretto a soddisfare, ed in particolare: a) che il rapporto si riferisca ad
una esigenza di carattere temporaneo della programmazione televisiva o
radiofonica, da intendersi non nel senso della straordinarietà o occasionalità dello
spettacolo (che può ben essere anche diviso in più puntate e ripetuto nel tempo),
bensì nel senso che lo stesso abbia una durata limitata nell’arco di tempo della
complessiva programmazione fissata dall’azienda, per cui, essendo destinato ad
esaurirsi, non consente lo stabile inserimento del lavoratore nell’impresa; b) che il
programma, oltre ad essere temporaneo nel senso sopra precisato, sia anche
caratterizzato dalla atipicità e singolarità rispetto ad ogni altro evento organizzato
dall’azienda nell’ambito della propria ordinaria attività radiofonica e televisiva, per
cui, essendo dotato di caratteristiche idonee ad attribuirgli una propria individualità
ed unicità (quale species di un certo genus), lo stesso sia configurabile come un
momento episodico dell’attività imprenditoriale, e come tale rispondente anche al
requisito della temporaneità; c) che, infine, l’assunzione riguardi soggetti il cui
apporto lavorativo si inserisca, con vincolo di necessità diretta, anche se
complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma, sicchè non
può ritenersi sufficiente a giustificare l’apposizione del termine la semplice
qualifica tecnica o artistica del personale, richiedendosi che l’apporto del peculiare
contributo professionale, tecnico o artistico del lavoratore sia indispensabile per la
buona realizzazione dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni
del personale di ruolo dell’azienda (confronta ex multis da ultimo Cass. n.
17053/2008; Cass. n. 8385/2006; Cass. n. 1291/2006).

necessario il concorso di una pluralità di requisiti, essenzialmente riferibili alla

Di tali criteri interpretativi, che il Collegio condivide e ritiene di confermare, la
sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, per cui nessuna censura può
essere mossa alla stessa.
Invero, con giudizio di fatto adeguatamente motivato e che sfugge ai rilievi di

giuridico del contratto a termine era stato utilizzato per soddisfare esigenze non
previste dal modello legale, bensì per impiegare il lavoratore, seppur formalmente
assunto per uno specifico programma, in altre produzioni non indicate nel
contratto o per supplire vere e proprie carenze di organico, così come emerso
dalla documentazione prodotta dalla difesa dell’azienda su richiesta dello stesso
organo giudicante. Tale intento elusivo della normativa di riferimento sui contratti a
termine aveva interessato, secondo la stessa Corte, già il primo contratto stipulato
il 20-9-1993.
Ne consegue che è corretta la decisione della Corte d’appello di Roma sulla
ritenuta instaurazione “ah initio” di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
quale sanzione normativa scaturita dalla rilevata nullità dell’apposizione del
termine al primo dei contratti in questione.
6. Con l’ultimo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione
dell’art. 1223 cod. civ., anche in relazione all’art. 2697 cod. civ., in quanto a suo
dire la Corte d’appello, nel respingere l’eccezione del cosiddetto “aliunde
perceptum”, non avrebbe considerato che attraverso la memoria di costituzione di

primo grado era stata allegata la circostanza dello svolgimento, da parte di
ladanza Sandro, di attività lavorativa nell’intervallo tra un contratto e l’altro, oltre
che alla scadenza dell’ultimo rapporto a termine, senza che la controparte avesse
sollevato contestazioni, essendosi limitata, in sede di libero interrogatorio, alla
conferma del ricorso.
Il motivo è inammissibile.

legittimità, la Corte territoriale ha osservato che nella fattispecie lo strumento

Invero, la Corte d’appello ha respinto la suddetta eccezione in quanto esposta in
modo generico, precisando che spettava alla parte allegarla tempestivamente e
provarla. La Corte ha, altresì, aggiunto di non poter accogliere l’istanza di
esibizione o di informazioni presso gli organi competenti in quanto formulata in

elemento indiziario o probatorio.
Orbene, con la presente censura la ricorrente si limita a puntualizzare di aver
tempestivamente proposto la suddetta eccezione ma non investe la “ratio
decidendi” della contestata decisione che è sostanzialmente incentrata sulla
genericità del suddetto rimedio difensivo e sulla inammissibilità dell’istanza di
esibizione o di assunzione di informazioni in quanto avanzata in via esplorativa,
per cui le determinazioni della Corte a tal riguardo non vengono travolte dalla
presente doglianza.
Così risultato inammissibile il sesto motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo
nel presente giudizio lo “ius superveniens”, rappresentato dall’art. 32, commi 5 0 , 6°
e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio,
costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo
ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova
disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo
pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di
ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche
indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre
Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).

8

modo inammissibile in via puramente esplorativa, senza il supporto di alcun

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
In definitiva il ricorso principale va respinto.
Con un unico motivo, articolato in più punti, il ricorrente in via incidentale denunzia
la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 414 e 416 c.p.c., dell’art. 27,

insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio.
In sintesi, le doglianze prospettate attraverso il ricorso incidentale possono
riassumersi nei seguenti termini:- La Corte di merito non avrebbe considerato che
il lavoratore aveva chiesto la condanna della RAI al pagamento delle differenze
retributive derivanti dalla maggiore anzianità aziendale e dal meccanismo di
progressione automatica di carriera previsto dal CCL per i dipendenti della società
radiotelevisiva, dal momento che tale contrattazione contemplava il passaggio
automatico dal IV° livello al III° livello per effetto della sola permanenza, per un
periodo di tre anni, nella classe retributiva del IV° livello. Nel costituirsi in giudizio
la RAI non aveva mai eccepito la genericità della domanda, in quanto aveva svolto
al riguardo delle difese specifiche, mentre la Corte d’appello aveva ritenuto che la
richiesta al pagamento delle predette differenze retributive era stata formulata
come domanda di condanna generica. La Corte d’appello non avrebbe spiegato
da quali elementi avrebbe tratto il convincimento che le norme contrattuali
richiamate, la cui applicazione era stata sempre pacifica tra le parti, richiedessero
allegazioni ulteriori rispetto a quelle indicate nel ricorso.
Il motivo è inammissibile per difetto del requisito della autosufficienza che deve
contraddistinguere il giudizio di legittimità.
Invero, la Corte d’appello non si è limitata ad affermare che la domanda era diretta
alla condanna generica dell’azienda, tanto da motivare la mancata disamina delle
eccezioni della RAI tendenti a far valere l’esclusione di alcune voci dall’ammontare
del risarcimento del danno proprio sulla base del rilievo che tali contestazioni
attenevano alla quantificazione del credito da effettuarsi in separato giudizio in

9

p)

nonché dell’allegato “B”, del CCNL per i dipendenti della RAI, oltre che l’omessa,

conseguenza del tipo di condanna generica chiesta dal lavoratore, ma ha
espressamente precisato che lo stesso capo di domanda contenente la richiesta di
condanna dell’appellata alle differenze retributive per il pregresso era
assolutamente generico e, quindi, il relativo motivo dell’appello non poteva essere

Al contrario il ricorrente in via incidentale non spiega per quale motivo tale
ragionamento della Corte violerebbe le norme citate in epigrafe o sarebbe affetto
da vizio motivazionale, ma si limita semplicemente a contestare la qualificazione
giuridica della domanda operata correttamente dalla Corte nell’ambito dei suoi
poteri interpretativi e a porre in astratto il dubbio su quali potevano essere le
disposizioni collettive ulteriori rispetto a quelle oggetto di causa che potevano aver
indotto il collegio giudicante a ritenere come generica la domanda di condanna
della controparte.
La reciproca soccombenza delle parti induce la Corte a ritenere compensate tra le
stesse le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile
quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013
Il Consigliere estensore

accolto.

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