Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29699 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 29/12/2011), n.29699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.I.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato

Crisci Lucio, elettivamente domiciliato in Roma, via Nicastro n. 3,

presso lo studio dell’Avvocato Carlo Voccia;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-

tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avvocati Murano Antonio, Carmine Perrotta e

Stefano Mastrolilli, elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Francesco Denza n. 15;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli n.

2190 del 2010, depositata in data 30 giugno 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

settembre 2011 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli Avvocati Lucio Crisci e Stefano Mastrolilli;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 5 gennaio 2001, D.I.A., assumendo di essere proprietario di un appezzamento di terreno sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio ENEL s.p.a. per sentirla condannare alla rimozione della linea elettrica estendentesi per circa 450 metri sul predetto fondo, nonchè al risarcimento dei danni provocati dalla occupazione abusiva.

Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando la domanda e rilevando che la facoltà di installazione di apparecchiature elettriche derivava direttamente dal contratto di fornitura elettrica stipulato con il D.I. in data 21 luglio 1977, con il quale il D.I. aveva acconsentito all’asservimento del proprio fondo. L’ENEL s.p.a. eccepiva inoltre la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento e proponeva domanda riconvenzionale di costituzione coattiva di servitù di elettrodotto.

In sede di precisazione delle conclusioni formulava altresì eccezione di usucapione.

Rigettata preliminarmente tale ultima eccezione, in quanto ritenuta domanda nuova, il Tribunale di Benevento dichiarava costituita coattivamente la servitù di elettrodotto sul fondo del D.I. a favore di ENEL s.p.a., condannando quest’ultima al pagamento della indennità di servitù, determinata in Euro 4.317,52 e al risarcimento dei danni per l’occupazione abusiva, liquidato in Euro 2.310,05. Il Tribunale riteneva non provata la sussistenza di un titolo che abilitasse ENEL s.p.a. a tenere la linea elettrica sul fondo dell’attore, atteso che dal contratto di fornitura sottoscritto dal D.I. emergeva che la predetta fornitura era subordinata all’ottenimento del consenso del proprietario del fondo alle servitù necessarie, ma non essendovi prova che detto consenso fosse mai stato prestato.

Avverso questa sentenza proponeva appello ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a., quale mandataria di ENEL s.p.a., deducendo in primo luogo che il Tribunale aveva erroneamente interpretato il disposto dell’art. 1 delle condizioni generali di contratto di fornitura elettrica, che comportava la costituzione di una servitù volontaria o quanto meno l’assunzione di un’obbligazione all’installazione e al mantenimento della linea elettrica. In subordine, l’appellante chiedeva la pronuncia di avvenuto acquisto della servitù per usucapione e ribadiva l’eccezione di prescrizione dei danni richiesti dall’attore.

Si costituiva l’appellato chiedendo il rigetto del gravame e formulando appello incidentale, lamentando che il Tribunale non avrebbe dovuto accogliere la domanda di costituzione di servitù coattiva mancando una delle autorizzazioni prescritte dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 119, e chiedendo pertanto la rimozione delle apparecchiature elettriche.

Con sentenza n. 2190 del 2009, la Corte d’appello di Napoli ha accolto il primo motivo dell’appello principale, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale, peraltro inammissibile perchè tardivo.

La Corte territoriale ha ritenuto di non poter pronunciare l’accertamento della servitù volontaria per effetto del contratto di fornitura elettrica, in quanto l’appellante aveva formulato tale domanda solo in appello, mentre in primo grado aveva richiamato la convenzione contrattuale al solo fine di escludere la illiceità del proprio comportamento.

La Corte d’appello di Napoli ha invece ritenuto che, sebbene la clausola posta dalle condizioni generali del contratto di fornitura non desse luogo a un contratto costitutivo di servitù, essa rappresentasse però una fonte di obbligazione di natura personale, che portava ad escludere la pretesa illiceità dell’imposizione dell’elettrodotto che, dunque, non poteva essere rimosso nella perdurante efficacia del contratto di fornitura.

Stante la ritenuta liceità del comportamento dell’ENEL, la Corte d’appello ha quindi ritenuto non sussistenti i presupposti per la condanna al risarcimento dei danni.

Per la cassazione di questa sentenza D.I.A. ha proposto ricorso affidato a un unico articolato motivo, cui ha resistito, con controricorso, ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a., in proprio e quale mandataria di ENEL s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1559, 1341 e 1370 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Sotto un primo profilo, il ricorrente deduce nullità della sentenza, perchè emessa in contrasto con il principio, affermato da Cass. n. 3963 del 1989, secondo cui “l’apprensione sine titulo di un suolo di proprietà privata, occorrente per l’impianto di un elettrodotto nuovo o per la variante di altro preesistente, sia che la realizzazione dell’opera non sia stata autorizzata dalla competente autorità, sia che non sia assistita da declaratoria di pubblica utilità, sia che, pur in presenza di detta autorizzazione e di detta declaratoria, non vi sia stato un valido asservimento per via di provvedimento amministrativo, non determina la costituzione di una servitù, secondo lo schema della cosiddetta occupazione acquisitiva, i cui estremi non sono ravvisabili con riguardo ai diritti reali in re allena, ma configura un illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a quando non venga rimosso l’impianto, o cessi il suo esercizio, o sia costituita regolare servitù mediante sentenza del giudice ordinario (sempre che, in quest’ultimo caso, l’impianto ed il suo esercizio siano stati autorizzati dall’autorità competente). A fronte di tale illecito, e per il caso che manchino la autorizzazione e la dichiarazione sopra indicate, il privato può chiedere, oltre al risarcimento dei danni (a partire da cinque anni prima della domanda), anche la rimozione dell’opera e la restitutio in integrum, posto che l’attività materiale dello autore e del gestore dell’impianto non è qualificabile come pubblica; invece, per il caso in cui siano intervenute l’autorizzazione e la dichiarazione medesime, ma manchi il provvedimento amministrativo di imposizione dell’asservimento, al privato spetta solo il risarcimento per equivalente, non anche in forma specifica, stante il divieto di condanna della amministrazione ad un facere, di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 4, all. E (fermi restando i poteri d’intervento riconosciuti al giudice ordinario dall’art. 122 quarto comma del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775).

La Corte d’appello, sostiene il ricorrente, ha rigettato la proposta actio negatoria servitutis ritenendo il comportamento di ENEL legittimo attraverso il ricorso ad un’autorizzazione derivante dal contratto di fornitura e di somministrazione continua di energia elettrica anche se il proprietario del fondo illecitamente gravato dalla imposizione di sette pali aveva sottoscritto e accettato solo la clausola di autorizzazione alla costituzione dell’impianto domestico gratuitamente anche in favore di terzi. Il tutto omettendo di valutare se fosse intervenuto un provvedimento amministrativo o una convenzione che consentisse l’imposizione della servitù.

Sotto un diverso profilo, il ricorrente si duole della erronea interpretazione del contratto di fornitura elettrica, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che l’art. 1 delle condizioni generali non conteneva alcuna preventiva manifestazione di consenso alla imposizione della servitù di elettrodotto senza corrispettivo, ma una sorta di assunzione di un’obbligazione personale a non opporsi alla costituzione della servitù, quale condizione per prestazione della fornitura di energia elettrica, ovviamente alle condizioni previste dalla legge.

La sentenza impugnata sarebbe poi viziata nella motivazione per quanto concerne la interpretazione del contratto di fornitura, non avendo la Corte d’appello ricercato quale fosse la comune volontà delle parti ed avendo interpretato la clausola n. 1, predisposta da uno dei contraenti, in senso sfavorevole alla parte che detta clausola non aveva predisposto, in contrasto altresì con l’art. 1370 cod. civ..

A conclusione del complesso motivo, il ricorrente chiede al questa Corte di “stabilire se nel contratto di fornitura di energia elettrica la clausola di autorizzazione all’installazione dell’impianto elettrico domestico sia estensibile alla diversa dichiarata servitù della quale si era chiesto, per contro, la rimozione ed il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. in relazione all’art. 1058 c.c. e se rende legittimo il comportamento illecito denunziato”.

Il ricorso è infondato.

La censura del ricorrente, ribadita anche in sede di note d’udienza in replica alla richiesta di inammissibilità del ricorso formulata dal Pubblico Ministero, si fonda su un presupposto – quello che la Corte d’appello abbia riconosciuto all’ENEL Distribuzione s.p.a. un diritto di servitù di elettrodotto – erroneo. E tale presupposto ispira anche la formulazione del quesito di diritto di cui a pag. 21 del ricorso. Il presupposto è erroneo in quanto la Corte d’appello ha positivamente escluso che ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a. fosse per convenzione titolare di un diritto di servitù gravante sul fondo di proprietà del ricorrente, avendo chiaramente ricondotto la infissione dei pali su detto terreno ad un’obbligazione di natura personale assunta dal ricorrente con la sottoscrizione del contratto di fornitura di energia elettrica.

Tale essendo la ratio decidendi della sentenza impugnata, appare del tutto chiaro l’errore di prospettiva nel quale è incorso il ricorrente nel supporre che invece la Corte d’appello abbia affermato l’esistenza di un diritto reale.

Nè chiaramente può ipotizzarsi che la Corte possa rispondere al quesito, nei termini in cui è stato formulato, supponendo la detta risposta la diretta interpretazione di un atto negoziale, piuttosto che lo scrutinio della interpretazione che di detto atto ha offerto il giudice del merito.

Senza dire che il quesito, per come formulato, presenta anche profili di inammissibilità, atteso che conclude un articolato motivo nel quale sono state denunciate violazioni di legge e vizi di motivazione. In proposito, questa Corte ha avuto modo di precisare che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto è ammissibile, ma deve concludersi “con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto”. (Cass., S.U., n. 7770 del 2009). Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

In applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

In proposito, si deve rilevare che l’eccezione di inammissibilità del controricorso è infondata, atteso che l’atto è stato consegnato agli ufficiali giudiziari per la notifica il 5 novembre 2010, cronologico n. 17397 (v. pag 17 retro); in ogni caso, la eventuale tardività del controricorso non farebbe venir meno la validità della procura apposta a margine dell’atto stesso che abilita il difensore alla partecipazione alla discussione in pubblica udienza;

evenienza, questa, che si è verificata nel caso di specie, sicchè il controricorrente ha diritto alla rifusione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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