Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29696 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. II, 29/12/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 29/12/2020), n.29696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21169/2019 proposto da:

O.D.R., elettivamente domiciliato in VIALE ROMAGNA N. 73 –

MILANO – presso l’avv. MARIA LUCIA FRISENDA, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrentre –

avverso la sentenza n. 5626/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 14 dicembre 2018 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello proposto nell’interesse di R.O.D., cittadino del (OMISSIS), avverso la decisione di primo grado che aveva disatteso la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e, in subordine, di quella per motivi cd. umanitari.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha ritenuto: a) che la vicenda narrata dal richiedente (persecuzioni per avere partecipato nel (OMISSIS) ad una manifestazione scaturita dalla ritenuta, illegittima occupazione, da parte di forze governative, di un raggruppamento di case, tra le quali quella ereditata dal padre e occupata dal medesimo richiedente), oltre a non essere dimostrata, investisse una questione meramente civilistica; b) che il richiedente non aveva allegato, nè dimostrato alcuna situazione integrante un rischio di persecuzione nè alcun danno grave al quale sarebbe stato esposto, in caso di rientro; c) che, del pari, nulla era stato specificamente allegato e dimostrato, ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi cd. umanitari, quanto alla sussistenza di fattori di particolare vulnerabilità.

3. Avverso tale sentenza, nell’interesse del soccombente, è stato proposto ricorso per cassazione affidato a motivi, cui ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dai motivi e dalle modalità con cui era stata sedata la manifestazione di piazza e dalle informazioni concernenti tale avvenimento acquisite nel corso del giudizio.

Si osserva che erroneamente la Corte territoriale si era concentrata sulle cause della manifestazione, anzichè sulle conseguenze alle quali era esposto il richiedente, dal momento che la polizia aveva violentemente represso le proteste e arrestato arbitrariamente numerosi partecipanti.

La doglianza è inammissibile, in quanto il riferimento alla controversia meramente civilistica, da parte della Corte territoriale, intende semplicemente esprimere la mancata individuazione di una forma di persecuzione, quale delineata, sul piano oggettivo, dall’art. 7 e, sul piano dei motivi, dal successivo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8.

In definitiva, il ricorso non contrasta l’affermazione, secondo la quale il mero intervento della forza pubblica per dare esecuzione a provvedimenti amministrativi non giustifica alcuna misura di protezione.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 10 Cost. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dal grado di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente, alla luce delle attività di volontariato svolte e del reperimento di un’attività lavorativa, nonchè dalle condizioni familiari e sociali dello stesso in Togo.

La doglianza è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come interpretato da Cass., Sez. Un., n. 7155 del 2017, a mente della quale lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1 cit., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Invero, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

Nè è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, o quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (v. Cass. n. 3681 del 2019).

La giurisprudenza di legittimità ha specificato che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente (Cass. n. 3681 del 2019). Posti tali principi di diritto, deve rilevarsi che ad essi si è attenuto il giudice del merito nel negare al ricorrente il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nella suindicata prospettiva, si osserva che il ricorso insiste nel reperimento di un’occupazione lavorativa, senza considerare che essa, di per sè, non giustifica il riconoscimento del permesso per motivi umanitaria, che, al contrario, come s’è detto, richiede una valutazione comparativa legata alla condizione del Paese di origine. E sul punto, l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale nulla è stato specificamente allegato sul punto, è rimasta priva di censura.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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