Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29691 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 19/11/2018), n.29691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3069-2017 proposto da:

ASSIST SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso

lo studio degli avvocati DE FEO DOMENICO, MARAZZA MARCO e MARAZZA

MAURIZIO che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA RE DI

ROMA 21, presso lo studio dell’avvocato FIUMARA ANGELO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7663/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2018 dal Presidente Relatore Dott. ESPOSITO

LUCIA.

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte di appello di Napoli respinse il reclamo proposto da Assist S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva accolto l’impugnativa di licenziamento proposta da O.S., annullando il provvedimento espulsivo e condannando la società alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra;

i giudici del merito osservarono che, a mente dell’art. 48 del CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione, nel caso applicabile, il licenziamento senza preavviso poteva essere comminato solo in caso di mancanze così gravi da creare nocumento rilevante, materiale e morale, all’azienda, situazione non riscontrabile nel caso in esame, talchè la società avrebbe al più potuto applicare una sanzione conservativa;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società sulla base di due motivi;

il lavoratore resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

entrambe le parti hanno prodotto memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18, e degli artt. 47 e 48 del CCNL telecomunicazioni ex art. 360 c.p.c., punti 3 e 5, osservando che la decisione è frutto di un’erronea valutazione delle prove e che la Corte teritoriale “con una lettura parziale, incompleta ed erronea degli atti di causa ha travisato i fatti giuridici posti a fondamento della propria decisione”;

il motivo è inammissibile, poichè, ripercorrendo tutte le risultanze processuali, propone una nuova valutazione dei fatti, nonchè del nocumento derivato dai fatti medesimi, così prospettando un riesame del merito della controversia non consentito in sede di legittimità (si veda Cass. n. 8758 del 04/04/2017: “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito. (Principio affermato dalla S.C. con riferimento ad un motivo di ricorso che, pur prospettando una violazione degli artt. 1988 e 2697 c.c., in realtà tendeva ad una nuova interpretazione di questioni di mero fatto, quali l’avvenuta estinzione dei crediti azionati, già esclusa dal giudice d’appello alla luce dei rapporti commerciali di fornitura intercorsi tra le parti e dei pagamenti effettuati tramite cambiali ed altri titoli di crediti riferibili a precedenti fatture non oggetto di causa) e, ancora, Cass. n. 29404 del 07/12/2017: “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità”);

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 – omissione di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., punti 3 e 5, osservando che la Corte territoriale aveva omesso qualsivoglia motivazione in ordine allo specifico motivo di reclamo relativo all’erronea quantificazione dell’indennità risarcitoria e non aveva dedotto dall’indennità “commisurata alla retribuzione globale di fatto percepita dal gìorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione” quanto percepito dall’ O. per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonchè quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Osserva che nella seconda fase era stata espressamente richiesto in via istruttoria, ai fini della determinazione dell’aliunde perceptum, di ordinare la produzione di copia delle dichiarazioni dei redditi successive al licenziamento e disporre informazioni presso l’Inps o l’ammissione di interrogatorio formale, e che tali richieste non erano state accolte in difformità rispetto alla legge, essendo state formulate, quanto all’interrogatorio formale e l’ordine di esibizione, sin dalla fase sommaria;

il motivo è inammissibile per avere il ricorrente omesso di adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e per non avere allegato e dimostrato in quale fase processuale era stata formulata la relativa istanza di ammissione formulata, al fine di vagliarne la tempestività e ritualità e consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione (Cass. n. 9748 del 23/04/2010; Cass. n. 8204 del 04/04/2018);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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