Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29691 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 14/11/2019), n.29691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14512-2018 proposto da:

N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO n. 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO

RECHICHI;

– ricorrente –

contro

A.P., rappresentato e difeso in proprio e domiciliato

presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

08/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14 e art. 702-ter c.p.c., A.P. evocava in giudizio N.G. innanzi il Tribunale di Venezia per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 4.028,44 a titolo di compensi per l’assistenza professionale prestata dal ricorrente in favore del resistente. Si costituiva il N. resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, la condanna del ricorrente al risarcimento del danno causatogli per inescusabili errori e negligenze, pari ad Euro 50.000 salvo diversa quantificazione da parte del giudice.

Con l’ordinanza oggi impugnata il Tribunale di Venezia, valorizzando l’assenza di contestazione sia circa l’an che sul quantum delle prestazioni professionali svolte dall’ A., accoglieva in parte la domanda principale da questi proposta, rigettando quella riconvenzionale, e condannava il N. al pagamento della somma di Euro 3.121,25 oltre alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.G. affidandosi a sette motivi, contraddistinti da numeri ma non specificamente rubricati.

Resiste con controricorso A.P..

A seguito della proposta del relatore ex art. 380-bis c.p.c., la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui non avrebbe considerato che la contestazione dell’opera professionale dell’ A. sollevata dal N. non riguardava soltanto i giudizi oggetto della domanda di liquidazione del compenso introdotta dall’avvocato, ma tutti quelli che il professionista aveva seguito su incarico del proprio cliente. Di conseguenza, il Tribunale avrebbe errato nel ravvisare un’assenza di contestazione nell’an e nel quantum, posto che il ricorrente aveva mosso ampie critiche all’opera professionale svolta dall’ A., le quali avrebbero dovuto essere trattate con rito ordinario di cognizione.

Con il settimo motivo, intimamente connesso al primo e pertanto da trattare unitamente ad esso, il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda riconvenzionale per danni proposta da lui proposta, ritenendola infondata. Ad avviso del N., infatti, detta domanda era specifica e fondata ed avrebbe meritato di essere scrutinata dal giudice di merito.

Le due censure sono inammissibili in quanto si risolvono in una richiesta di riesame nel merito, preclusa in Cassazione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790). Inoltre, esse non riportano l’indicazione dei passi salienti dei documenti asseritamente non valutati dal Tribunale, per cui difettano del necessario grado di autosufficienza.

Peraltro la contestazione mossa dal cliente all’operato dell’avvocato concerneva la correttezza dei consigli ricevuti e della strategia difensiva indicata dal professionista, e quindi non riguardava nè il tipo nè la quantità delle prestazioni che l’ A. aveva specificato nella sua domanda originaria. Correttamente, quindi, il giudice di merito ha ravvisato l’assenza di contestazione sull’an e sul quantum, posto che nel giudizio di liquidazione del compenso in favore dell’avvocato si discute innanzitutto delle prestazioni da quest’ultimo rese in favore del cliente, essendo il compenso previsto dalle vigenti tariffe professionali parametrato al carattere e alla quantità delle prestazioni stesse. In altri termini, se il cliente non contesta che l’avvocato abbia seguito per suo conto un determinato giudizio -in caso di attività giudiziale- o svolto una certa prestazione di assistenza e consulenza -in caso di attività stragiudiziale- non v’è contestazione sull’an della domanda di liquidazione del compenso. Del pari, se il cliente non contesta che il professionista abbia seguito determinate fasi o attività, nè il valore del giudizio o della prestazione stragiudiziale che è stato indicato dal professionista, va ritenuto non contestato anche il quantum. La domanda di risarcimento del danno per negligenza o erroneità dei consigli ricevuti dall’avvocato è invece fondata su altro titolo, onde la sua formulazione non implica necessariamente contestazione su an e quantum della pretesa di pagamento del professionista.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole della mancata separazione della domanda riconvenzionale da lui proposta da quella principale. Ad avviso del N., la riconvenzionale avrebbe dovuto essere trattata con il rito ordinario in ragione della complessità degli accertamenti da eseguire, e quindi il giudice di merito avrebbe errato nel respingerla.

La censura è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio della decisione impugnata. Il Tribunale infatti ha respinto la riconvenzionale svolta dal N. ritenendola non provata, e questo esclude in radice la sussistenza della complessità degli approfondimenti istruttori invocata dal ricorrente. Inoltre, il motivo è anche carente della necessaria specificità, posto che il ricorrente neppure indica quali sarebbero gli accertamenti istruttori che egli avrebbe richiesto nel giudizio di merito e che non sarebbero stati ammessi dal Tribunale.

Peraltro il N. afferma, nel corpo del quinto motivo di ricorso -il quale per ragioni logiche va trattato subito dopo il secondo- che il Tribunale si era pronunciato sull’istanza di separazione della domanda riconvenzionale da quella principale, escludendone i presupposti: il che esclude anche che si possa configurare, nell’operato del giudice di merito, una violazione delle norme processuali vigenti, che impongono, secondo l’insegnamento delle S.U. di questa Corte, la separazione delle due domande soltanto quando la riconvenzionale non si presti ad essere trattata nelle forme del rito camerale sommario (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 4485 del 23/02/2018, Rv.647316).

Sempre con riferimento al quinto motivo, va respinta la censura con cui il ricorrente lamenta la violazione del principio di neutralità del giudice, affermando che la relatrice designata per la trattazione della causa, essendo stata parte del collegio che non aveva disposto la separazione della domanda principale da quella riconvenzionale, “non poteva che ribadire il convincimento già espresso, con conseguente evidente compromissione del principio di neutralità del giudice”. La situazione dedotta nel motivo, infatti, non rientra in alcuna delle ipotesi che impongono il dovere di astensione e costituiscono il presupposto del corrispondente diritto alla ricusazione, del giudice designato, ai sensi degli artt. 51 e 52 c.p.c.

Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce l’incompetenza del Tribunale di Venezia a decidere della controversia, in quanto la domanda di pagamento del compenso introdotta dall’ A. aveva ad oggetto prestazioni tanto di natura giudiziale che di carattere stragiudiziale. Poichè le prime erano state svolte dinanzi la Corte di Appello di Venezia era quest’ultima, e non il Tribunale, ad essere competente per l’esame della domanda.

La censura è infondata.

Lo stesso ricorrente dà atto (cfr. pagg.3-4 del ricorso) che l’ A. aveva agito per ottenere il pagamento dei compensi relativi all’assistenza in un giudizio dinanzi la Corte di Appello (per Euro 3.647,80) e ad un giudizio esecutivo dinanzi il Tribunale di Venezia (per Euro 380,64). L’assunto secondo cui l’assistenza del cliente nella presentazione dell’istanza di conversione del pignoramento non rientrerebbe nell’ambito delle prestazioni di carattere giudiziale, in assenza di specifica indicazione contenuta nella tariffa professionale vigente, è palesemente infondato, posto che la tariffa prevede la liquidazione dei compensi giudiziali per fasi, e non più per singola prestazione (come invece avveniva in base alle tabelle in vigore prima dell’entrata in vigore del D.M. n. 140 del 2012). Dal che deriva che la mancata indicazione di una specifica attività nella tabella per le attività giudiziali non implica che la stessa abbia necessariamente natura stragiudiziale, dovendosi piuttosto verificare caso per caso se essa rientra, o meno, nell’ambito di una delle fasi previste per ciascun singolo procedimento giudiziario. In proposito, è certo che l’istituto della conversione del pignoramento, in quanto attinente al procedimento esecutivo, rientra nell’ambito delle prestazioni di carattere giudiziario e legittima l’avvocato a pretendere il corrispondente compenso previsto dalla tariffa per quel procedimento.

Da quanto precede consegue che la domanda dell’ A. aveva ad oggetto due diverse prestazioni di carattere giudiziale, l’una svolta dinanzi il Tribunale e l’altra invece dinanzi la Corte di Appello di Venezia. Poichè il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, che si tratti di diversi gradi del medesimo giudizio, non opera l’attrazione della controversia nella competenza della Corte di Appello derivante dal principio di unitarietà della liquidazione del compenso). Inoltre, poichè la decisione impugnata non fa cenno alla questione della competenza, il N. aveva l’onere di indicare in quale momento del giudizio di merito aveva sollevato la relativa eccezione, in ossequio al principio secondo cui “Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (Cass. Sez.1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv.627975; Cass. Sez.6-1 Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv.649332; Cass. Sez.2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv.650009). Inoltre, poichè nel caso di specie non si configura un caso di competenza inderogabile, con conseguente applicazione della disposizione di cui all’art. 38 c.p.c., il ricorrente avrebbe anche dovuto dimostrare la tempestività del rilievo dell’eccezione di incompetenza. Nel difetto dei diversi elementi che precedono, la censura non può trovare accoglimento.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia deciso la controversia senza procedere all’ascolto delle parti, in violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, che prevede la facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente. Ad avviso del N., la norma implica il diritto delle parti di essere convocate ed ascoltate personalmente in udienza e l’omissione di tali attività implicherebbe il vizio del procedimento.

La censura è infondata sotto diversi e concorrenti profili. Innanzitutto, la previsione della facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente non comporta l’obbligo della loro presenza personale in udienza, nè che si proceda in quella sede al loro ascolto, ma semplicemente la non necessarietà della cd. difesa tecnica assicurata dall’avvocato. In secondo luogo, dalla narrativa in fatto contenuta nello stesso ricorso (cfr. pag. 9) emerge che vi è stata l’udienza dell’11.11.2016, alla quale era onere del N. comparire per essere eventualmente ascoltato dal collegio o comunque per poter in quella sede esercitare il proprio diritto di difesa, in ossequio alla natura sommaria del rito di cui al combinato-disposto degli artt. 702bis c.p.c. ss. e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14.

Infine, con il sesto motivo il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale abbia applicato i valori tariffari previsti dal D.M. n. 140 del 2012, in luogo di quelli -ritenuti applicabili ratione temporis alla luce della data di ultimazione dell’incarico, coincidente con la revoca del mandato- di cui al D.M. n. 55 del 2014.

La censura è inammissibile per difetto di specificità e carenza di interesse concreto all’impugnazione, posto che il ricorrente non indica quali sarebbero stati, in ipotesi, i diversi importi che sarebbero spettati all’ A. in conseguenza dell’applicazione della diversa tariffa dallo stesso indicata (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26799 del 23/10/2018).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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