Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29689 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D’AMICO SOCIETA’ DI NAVIGAZIONE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE n. 1 (STUDIO legale UGHI e NUNZIANTE), presso lo studio

dell’avvocato ANGLANI ANGELO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FERRARIS GIANFRANCO, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

P.G.;

– intimata –

e sul ricorso 9970-2008 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 8,

presso lo studio dell’avvocato VILLANI LUDOVICO FERDINANDO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ORSI LAURA, DAMONTE

ROBERTO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D’AMICO SOCIETA’ DI NAVIGAZIONE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE n. 1 (STUDIO legale UGHI e NUNZIANTE), presso lo studio

dell’avvocato ANGLANI ANGELO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FERRARIS GIANFRANCO, giusta procura speciale in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1204/2007 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 04/12/2007 R.G.N. 23/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato ANGLANI ANGELO;

udito l’Avvocato ANTONUCCI ARTURO per delega VILLANI LUDOVICO

FERDINANDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Genova, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di P.G., proposta nei confronti della società di Navigazione d’Amico ed avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole con comunicazione del 20 marzo 2003.

A fondamento del ricorso la P. deduceva che il posto da lei ricoperto, concernente mansioni di responsabile del settore commerciale, svolte, da ultimo, in posizione di distacco presso la società controllata Navimed, non era stato soppresso, ma soltanto attribuito ad altro soggetto.

La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale la società d’Amico non aveva fornito la prova, anche per presunzioni, della impossibilità del riassorbimento della P. nella propria organizzazione aziendale nelle varie sedi d’Italia.

Avverso questa sentenza la società d’Amico ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso la P. la quale propone ricorso incidentale condizionato assistito da un’unica censura. Si oppone a tale impugnazione la società d’Amico con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale la società d’Amico, deducendo violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 3 e 45 e vizio di motivazione, pone, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti: “la cessazione di un settore di attività per l’esercizio del quale il lavoratore è distaccato impone di verificare la ricorrenza nella società distaccante di una riduzione di attività riconducibile alle ragioni di carattere organizzativo e produttivo legittimanti L. 15 luglio 1966, n. 604, ex art. 3, il licenziamento?;

Ove si accerti una riduzione di attività il datore di lavoro in assenza di allegazioni da parte del lavoratore distaccato circa la possibilità di essere adibito ad altre mansioni, è onerato della prova sulla impossibilità di ricollocazione in mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza?”.

Osserva, preliminarmente, il Collegio che il motivo in esame con il quale si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione è solo in parte ammissibile.

Infatti la censura non è esaminabile in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione – pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770)- vi è di contro il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063)che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063. Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai vari quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali al violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c. Tanto, d’altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. Nè è consentito a questa Corte dì sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).

Pertanto in difetto della relativa specificazione la denuncia deve considerarsi per come limitata alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

In tal modo delimitato il campo d’indagine devoluto a questa Corte, rileva il Collegio che il primo quesito non è decisivo atteso che ancorchè allo stesso si dovesse dare risposta positiva il relativo principio non porterebbe alla cassazione della sentenza impugnata.

Infatti la ratio deciderteli sostanziale posta a base della sentenza di appello è nel senso della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo in ragione della mancata dimostrazione dell’impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale.

Il che comporta che pur affermato il principio sotteso al quesito in esame la sentenza non potrebbe essere annullata essendo la stessa fondata su di una diversa ratio decidendo.

Analoghe considerazioni valgono con riferimento al secondo quesito atteso che il contrario principio a quello -che si vuole sia asserito da questa Corte- secondo il quale il datore di lavoro non sarebbe onerato della prova sulla impossibilità di ricollocazione in mansioni analoghe in assenza di allegazione da parte del lavoratore della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, non trova riscontro nell’argomentazione posta a base del decisum della sentenza di appello.

Del resto, e vale la pena di sottolinearlo, la mancata allegazione da parte del lavoratore della possibilità di essere adibito ad altre mansioni non è accompagnata dalla trascrizione nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, delle deduzione svolte in proposito dal lavoratore sicchè è impedito a questa Corte qualsiasi controllo di legittimità.

Peraltro tale mancata allegazione non solo non risulta accertata nella sentenza impugnata, ma è anche contestata dall’attuale resistente nel proprio controricorso.

Con la seconda censura del ricorso principale la società denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., difettando del tutto la specificazione del fatto controverso intesa, come rilevato, quale sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto.

Il ricorso principale pertanto va rigettato. L’impugnazione incidentale condizionata rimane assorbita.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente principale per il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 3000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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