Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29689 del 22/10/2021

Cassazione civile sez. III, 22/10/2021, (ud. 04/05/2021, dep. 22/10/2021), n.29689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19957-2018 proposto da:

D.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO,

13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che lo rappresenta

e difende per procura in margine al ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato a ROMA, V.LE DI VILLA GRAZIOLI N.

15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che lo

rappresenta e difende per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 2733/2018 del TRIBUNALE di ROMA,

depositata il 06/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/05/2021 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. All’esito di un giudizio di cognizione, l’INPS fu condannato a pagare una somma di denaro ad D.M.A..

Per riscuotere il relativo credito D.M.A. iniziò l’esecuzione forzata pignorando un credito vantato dall’INPS nei confronti (tra gli altri) dell’istituto di credito Intesa Sanpaolo s.p.a..

2. Il terzo pignorato rese una dichiarazione positiva, ed il giudice dell’esecuzione assegnò al creditore la somma di Euro 4.263,94.

3. Deducendo di avere sì ricevuto in pagamento il suddetto importo, ma che esso non fosse tuttavia satisfattivo, D.M.A. iniziò una seconda esecuzione questa volta nei confronti della società Intesa Sanpaolo s.p.a., invocando quale titolo esecutivo l’ordinanza di assegnazione pronunciata all’esito della precedente procedura contro l’INPS, e pignorando un credito della Intesa Sanpaolo nei confronti di terzi.

3. La Intesa Sanpaolo propose allora opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., sostenendo di avere già inviato al creditore un assegno a titolo di pagamento; che l’importo dell’assegno era corrispondente alla somma indicata nell’ordinanza di assegnazione e che aveva perciò adempiuto la propria obbligazione.

L’esecuzione venne sospesa dal giudice dell’esecuzione, all’esito della fase sommaria, ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 2.

4. Introdotta la fase di merito dinanzi al Giudice di pace di Roma, questi con sentenza 15.5.2012 n. 20566 accolse l’opposizione.

Il Tribunale di Roma, adito dalla soccombente, con sentenza 4.10.2017 n. 18773 rigettò il gravame.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da D.M.A. con ricorso fondato su un solo motivo, articolato in più censure ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso la Intesa Sanpaolo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, perché non espone in maniera chiara e comprensibile la sequenza dei fatti di causa rilevanti.

Il ricorrente infatti ha inteso assolvere il suddetto onere in larga parte attraverso la mera riproduzione meccanica degli atti dei giudizi di merito.

Il ricorso quindi non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Infatti la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali e’, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813).

1.1. Le mende sopra indicate non sono sanate nemmeno dalla lettura dei motivi, giacché anche questa non consente una comprensione delle vicende processuali che possa dirsi chiara ed esaustiva, se non integrando la lettura del ricorso con quella della sentenza d’appello e del controricorso.

Dalla illustrazione delle censure, infatti, non solo non è dato desumere con chiarezza fatti, atti e date del processo di merito, ma anche nella esposizione delle censure la difesa della ricorrente ha adottato una tecnica scrittoria che non espone sillogisticamente, con chiarezza di morfologia e coerenza di sintassi, quale sia stata la decisione di merito; quale si assume che sarebbe dovuta essere; e quale regola o principio sia stato violato dal giudicante, con la conseguenza che il ricorso, oltre che irrispettoso dell’onere imposto a pena di inammissibilità all’art. 366 c.p.c., n. 3, appare altresì irrispettoso dell’obbligo di chiarezza, anch’esso imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4, (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 25389 del 12.10.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

L’illustrazione delle censure avverso la sentenza d’appello, infatti, è caratterizzata dalla pedissequa trascrizione di brani estratti dagli atti di causa, riportati in carattere corsivo virgolettato, giustapposti alla pedissequa trascrizione di massime di questa Corte, o passi motivazionali delle relative sentenze; gli uni e gli altri frammisti alla fotoriproduzione di atti di causa: precetti, atti di opposizione, verbali di udienza, relate di notificazioni, corrispondenza.

Il ricorso, inoltre, fa ripetutamente riferimento all’esecuzione forzata proposta da tale ” M.A.M.A.” (così alle pp. 7 e 10), soggetto diverso dal ricorrente, non risultante dagli atti e non altrimenti noto.

1.2. “Cifra” della totale confusione lessicale e concettuale del ricorso oggi in esame, del resto, è la sua stessa intitolazione: “ricorso per conferma di ordinanza di assegnazione RGE 37574/08 emessa nei confronti dell’INPS”. Dichiarazione invero singolare, dal momento che a questa Corte l’ordinamento assegna il compito di giudicare della legittimità di sentenze, e non di “confermare ordinanze di assegnazione”; e che l’INPS non è parte del presente giudizio di opposizione all’esecuzione.

1.3. L’intero ricorso va quindi dichiarato inammissibile per difetto d’una chiara ed esaustiva esposizione tanto dei fatti di causa, quanto delle censure proposte, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, per le medesime ragioni già adottate, in fattispecie identica, dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 30754 del 28.11.2018; Sez. U, Sentenza n. 30755 del 28.11.2018).

2. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

3. Il ricorrente ha proposto un ricorso manifestamente irrispettoso dei criteri di redazione imposti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4: e già tale condotta sarebbe di per sé indice di colpa grave, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, dal momento che scrivere correttamente un ricorso per cassazione è una prestazione esigibile e dovuta dall’avvocato cassazionista medio, di cui all’art. 1176 c.c., comma 2.

Aggiungasi che il difensore dell’odierno ricorrente risulta avere proposto dinanzi a questa Corte 214 ricorsi, 83 dei quali in materia di esecuzione forzata, e di questi 142 sono stati dichiarati inammissibili in tutto od in parte, tra i quali 65 in materia di esecuzione.

Di questi, 28 sono stati dichiarati inammissibili in fattispecie identiche o simili a quella oggetto del presente giudizio, e per ragioni identiche (violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3) a quelle sottese dalla presente decisione.

Le prime decisioni di questa Corte che avrebbero dovuto rendere avvisato il difensore del ricorrente su quale fosse la corretta tecnica di redazione di un ricorso per cassazione rimontano a ben prima della notifica del ricorso oggi in esame (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3622 del 10.2.2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24667 del 19.10.2017), e comunque tale orientamento nelle more del giudizio è divenuto unanime e consolidato (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 19152 del 19.7.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26120 del 18.10.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 23629 del 24.9.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 23630 del 24.9.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 26325 del 17.10.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 26331 del 17.10.2019; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10423 del 3.6.2020).

Non solo, dunque, il difensore dell’odierno ricorrente versa in colpa grave per avere predisposto un ricorso distonico rispetto alle prescrizioni di legge; ma versa in colpa grave altresì per avere posto in non cale una giurisprudenza che era risalente, che era consolidata, che era risalente, e che lo aveva riguardato in prima persona.

Tali condotte gravemente colpose giustificano pertanto la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nei confronti della controparte. Resta solo da aggiungere come, per i fini di cui alla suddetta norma, nulla rilevi che la condotta colposa nella introduzione della lite possa o debba essere ascritta alla parte, al suo difensore o ad entrambi. E, infatti, quand’anche una improvvida scelta processuale sia in tesi ascrivibile all’avvocato e non alla parte da lui assistita, quest’ultima è comunque tenuta al risarcimento del danno od al pagamento della “sanzione privata” di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, in favore della controparte, in quanto nei confronti di quest’ultima il ricorrente risponde dell’operato del proprio avvocato ai sensi dell’art. 2049 c.c..

La misura della condanna, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può determinarsi in misura pari all’importo delle spese di lite.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna D.M.A. alla rifusione in favore di Intesa Sanpaolo s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 900, oltre 200 per spese vive, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna D.M.A. al pagamento in favore di Intesa Sanpaolo s.p.a. della somma di Euro 900 ex art. 96 c.p.c., oltre interessi legali dalla data della presente ordinanza;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2021

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