Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29688 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ANSALDO ENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA

22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FERRANDO MAURO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 299/2007 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 14/05/2007 R.G.N. 843/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato COSENTINO VALERIA per delega MORRICO ENZO;

Udito l’Avvocato VESCI GERARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Genova, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di G.F. proposta nei confronti della società Ansaldo Energia, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli da detta società con comunicazione del 7 settembre 2000.

A fondamento della domanda il lavoratore deduceva che l’Ansaldo non aveva adempiuto l’obbligo, scaturente dalla sentenza del Tribunale di Genova, passata in giudicato, della sua riammissione nella posizione lavorativa occupata prima della cessione, dichiarata nulla dalla predetta sentenza, del ramo di azienda alla società Lanital e che, quindi, il licenziamento, intimatogli a seguito della procedura di mobilità aperta dall’Ansaldo nei confronti di tutti i lavoratori coinvolti nella cessione del ramo d’azienda dichiarata nulla dalla predetta sentenza, era illegittimo per violazione della L. n. 223 del 1991. La Corte territoriale, premesso che da ultimo il G. svolgeva mansioni di aggiustatore meccanico, rilevava che la società Ansaldo aveva in precedenza demansionato il G. (da aggiustatore meccanico a facchino) e che tale illegittimo demansionamento aveva premesso a detta società di ritenerlo non più utile sì da poterlo cedere alla società Lanital e poi, dopo la declaratoria di nullità della cessione del ramo di azienda, di licenziarlo. Conseguentemente, affermava la predetta Corte, il mutamento di reparto operato dalla società Ansaldo doveva ritenersi comunque illegittimo perchè conseguenza di un illegittimo mutamento di mansioni che era da considerarsi strumentale alla esternalizzazione.

La Corte del merito, inoltre, richiamando il proprio precedente nella analoga controversia Ansaldo/Anello del 7 giugno 2006, ribadiva che dei cd. servizi generali erano rimaste ignote sia la dimensione strutturale che quella funzionale sicchè non era identificabile l’unicità di settore o di reparto al quale legittimamente limitare l’applicazione dei criteri di scelta e conseguentemente non era legittima l’applicazione di siffatti criteri solo ad alcuni lavoratori.

Avverso questa sentenza la società Ansaldo Energia ricorre in cassazione sulla base di quattro censure, precisate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va respinta l’eccepita – da parte del resistente- cessazione della materia del contendere per essere stato il G., nelle more del giudizio di appello, reintegrato spontaneamente e senza riserva alcuna.

Invero il dedotto comportamento della società Ansaldo non accompagnato da altri elementi significativi non può essere di per sè rilevatore di un volontà da parte della detta società di porre fine alla lite ovvero di acquiescenza alla sentenza di primo grado a tanto ostandoti la perdurante volontà d’impugnare la sentenza di appello confermativa della sentenza di primo grado.

Piuttosto l’allegato comportamento della società è da attribuirsi, in difetto di diversi elementi di segno opposto, alla volontà di rispettare il dictum esecutivo della sentenza di primo grado.

Passando all’esame del ricorso rileva la Corte che con il primo motivo la società Ansaldo Energia, denunciando violazione dell’art. 2697 e segg. c.c., formula il seguente quesito di diritto: “il giudice può fondare il proprio convincimento su di un fatto non oggetto di accertamento nel giudizio sottoposto alla propria verifica e, per di più, non produttivo di alcun effetto giuridico, stante la intervenuta riconosciuta prescrizione del diritto vantato?”.

Con la seconda critica la società ricorrente, deducendo violazione dell’art. 5 dell’art. 5 della legge n.223 del 1991, pone il seguente quesito di diritto:”in presenza di un programma o di un progetto aziendale riferibile esclusivamente e direttamente ad un settore, reparto o anche a singole lavorazioni, l’ambito di riferimento per la scelta del personale da porre in mobilità deve essere individuato nella porzione d’azienda cui il programma stesso si riferisce direttamente ed esclusivamente, senza dover essere preso in considerazione l’intero complesso aziendale”. Con la terza censura la società Ansaldo Energia, asserendo violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, articola il seguente quesito di diritto :”anche in presenza di un programma o di un progetto aziendale riferibile esclusivamente e direttamente ad un settore, reparto o singole lavorazioni, l’ambito di riferimento può non essere coincidente con la parte dell’azienda esclusivamente o direttamente coinvolta dal programma o dal progetto aziendale?”.

Con il quarto ed ultimo motivo la società ricorrente, allegando violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 e art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, elabora il seguente quesito:”anche in presenza di un programma di un progetto aziendale riferibile esclusivamente e direttamente ad un settore, reparto o singole lavorazioni, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare il rispetto dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità nell’ambito dell’intero complesso aziendale, pur in assenza di contestazioni specifiche contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, in cui ne viene lamentato genericamente il mancato rispetto”.

Il ricorso è infondata.

Va premesso che i singoli quesiti che per come articolati sono ai limiti dell’ammissibilità non essendo enunciato negli stessi in maniera chiara la diversa ratio posta a base della decisione impugnata e che l’ultima censura non è esaminabile in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione -pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770)- vi è di contro il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063)che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063).

Tanto precisato.va osservato riguardo alla prima censura, la quale coinvolge quella parte della sentenza di primo grado concernente il demansionamento dell’attuale resistente, che la motivazione della sentenza costituisce, nella struttura argomentativa della stessa, un autonoma ratio decidendi rispetto a quella, altrettanto autonoma ed alternativa, relativa alla illegittimità del licenziamento per non essere stati i criteri di scelta applicati solo ad alcuni lavoratori e non a tutto il personale dipendente. Conseguentemente la censura in esame intanto rileva solo ed in quanto siffatta ultima ratio decidendi non resiste alle censure alla stessa mosse.

Infatti è ius reception, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternative autonome l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sè sola idonea a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 n. 24540).

Orbene ritiene la Corte che l’alternativa autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata – cui si è fatto cenno in precedenza- ben resiste alle relative critiche – di cui ai successivi motivi di ricorso- svolte dalla società Ansaldo Energia.

Infatti non può che riconfermarsi quanto rilevato da questa Corte di legittimità nella sentenza n. 21697 del 2009 che ebbe a pronunciarsi, in un analoga controversia, proprio sulla sentenza della Corte di Appello di Genova – Ansaldo/Anello del 7 giugno 2006- richiamata e fatta propria dalla decisione oggi impugnata.

In particolare mette conto ribadire che anche se l’orientamento giurisprudenziale prevalente (per tutte, Cass. civ., 3 novembre 2008, n. 26376 e 19 maggio 2005, n. 10590) ritiene che in caso di soppressione di un settore dell’azienda sia legittimo il licenziamento collettivo che riguardi solo i dipendenti del settore stesso e non tutti i lavoratori dell’azienda, nella specifica fattispecie la Corte d’Appello di Genova ha accertato che la identificazione è rimasta ignota la dimensione strutturale e quella funzionale del settore “servizi generali”.

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato (proprio in una controversia concernente la posizione di altri dipendenti licenziati anch’essi dall’Ansaldo Energia s.p.a.) il principio di diritto che “per ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c. (così come modificato dalla L. 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CEE n. 98/50), come tale riconducibile alla disciplina generale dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni unità economica organizzata in maniera stabile la quale in occasione del trasferimento conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente attività produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento.” (Cass. civ., 30 dicembre 2003, 19842; nello stesso senso, 15 giugno 2006, n. 13783; 17 ottobre 2005, n. 20012; 14 dicembre 2002, n. 17919; 25 ottobre 2002, n. 15105).

Nella specie, manca, invece,come accertato dalla Corte di Appello, qualsiasi criterio unificante effettivo del cosiddetto settore “Servizi generali” di cui avrebbe fatto parte anche l’attuale resistente.

Correttamente, quindi, la sentenza in esame ha escluso che i criteri di scelta, ai fini della legittimità del licenziamento, potessero essere applicati nei confronti solo di taluni lavoratori, tra i quali l’attuale resistente.

L’ultima censura non è scrutinabile in quanto presuppone un “assenza di contestazioni specifiche contenute nel ricorso introduttivo” il cui relativo sindacato è impedito a questa Corte non risultando trascritto, in violazione del principio di autosufficienza, il testo di siffatto ricorso.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 3000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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