Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29678 del 28/12/2020

Cassazione civile sez. II, 28/12/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 28/12/2020), n.29678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24024-2019 proposto da:

I.S.C., ammesso al patrocinio a spese dello Stato ed

elettivamente domiciliato in Avellino, via Salvatore Pescatori, 60

nello studio dell’avv. Luigi Natale che lo rappresenta e lo difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro p.t.

istituzionalmente rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato ed elettivamente domiciliato ex lege presso la sede di

questa, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 5745/2019 del Tribunale di Napoli pubblicato il

11/7/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso che il sig. I.S., cittadino nigeriano, ha presentato avverso il provvedimento di diniego reso dalla Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta;

– il ricorrente ha impugnato il predetto rigetto chiedendo al tribunale di Napoli di riconoscere la protezione internazionale, quella sussidiaria ovvero quella umanitaria;

– a sostegno della domanda il richiedente asilo ha allegato di essere di etnia benin, originario di (OMISSIS), in (OMISSIS) nell’Edo State; ha dichiarato di avere lavorato come muratore, di avere due fratelli e quattro sorelle e di essere sposato e padre di due figli; ha esposto di essere partito dalla Nigeria a causa di una contesa insorta con lo zio, al quale la sua famiglia era stata affidata affinchè se ne prendesse cura dopo la morte del padre, il quale, invece, insieme alla comunità di cui faceva parte, lo minacciava per indurlo ad acconsentire allo scambio del terreno sul quale il padre, poliziotto, aveva iniziato a costruire una piccola casa e che a seguito della sua morte nel 2003 aveva lasciato in eredità a lui ed ai suoi fratelli, con altro terreno visto che la comunità era interessata al primo; sosteneva che a causa del suo rifiuto, espresso nella sua veste di figlio maggiore, nasceva un litigio con lo zio e con la comunità di quest’ultimo che gli impedì di allontanarsi fino a che non avesse firmato i documenti necessari; riuscito a dileguarsi, gli fu dapprima bruciata l’auto e, successivamente, fu ferito da persone recatesi presso la sua casa e costretto al ricovero in ospedale; una volta dimesso, veniva nuovamente ricercato da persone che volevano costringerlo a firmare i documenti ed a quel punto egli decideva di partire lasciando la Nigeria, alla volta dapprima del Niger e poi della Libia per poi imbarcarsi per l’Italia;

– il tribunale napoletano, con il decreto qui impugnato, ha negato al ricorrente il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria, ritenendo la vicenda narrata dal richiedente non credibile e, comunque, non riconducibile alle esigenze sottese al riconoscimento della richiesta protezione;

– la cassazione del decreto è chiesta con ricorso affidato a tre motivi cui resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia la motivazione apparente e perplessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe basato il rigetto della protezione unicamente su un giudizio di scarsa credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo, non tenendo conto che alcune imprecisioni del racconto fossero dovute al basso livello culturale del ricorrente e omettendo di verificare la condizione di persecuzione nel suo paese di provenienza;

– il motivo è infondato;

– la decisione impugnata è stata assunta sulla scorta di un giudizio di non credibilità del richiedente asilo e motivato con il riferimento ai vari vizi logici ed alle lacune individuate dalla commissione territoriale e non chiarite dal richiedente con il ricorso al tribunale (cfr. pag. 6 del decreto);

– al contempo, però, il diniego si fonda sulla considerazione che la situazione concretamente prospettata non raffigura un’esigenza giuridicamente rilevante di protezione internazionale, nè con riguardo allo status di rifugiato nè con riguardo alla protezione sussidiaria e tale statuizione, non essendo specificamente attinta, è idonea a sostenere il diniego;

– con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), art. 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè la motivazione apparente e perplessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– ad avviso del ricorrente, il tribunale avrebbe errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, poichè avrebbe omesso di acquisire le necessarie informazioni sulla situazione socio-politica del Paese di provenienza del ricorrente, la Nigeria;

– il motivo è infondato;

– questa Corte ha di recente ribadito (cfr. Cass. n. 28433/2018; id. 13088/2019; id. 18540/2019) che non si può accedere alla protezione internazionale se si proviene da una regione o area interna del Paese d’origine sicura per il solo fatto che vi siano, invece, nello stesso Paese anche altre regioni o aree insicure, perchè l’analisi sulla situazione socio-politica deve avere ad oggetto la specifica zona di provenienza del ricorrente;

– nel caso di specie, il giudice che emanato il provvedimento impugnato ha applicato il principio di diritto sopra richiamato e ha rigettato la richiesta sulla base della circostanza che la situazione della Nigeria è estremamente diversificata a seconda delle zone del Paese e perciò sarebbe improprio riferire in modo indiscriminato a tutto il territorio nigeriano situazioni che, benchè esistenti, interessano zone poste a centinaia di chilometri di distanza rispetto alla zona (Edo State) di provenienza dell’interessato;

– la valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria risulta, pertanto, essere stata svolta correttamente sulla base dei report specificamente riferiti alla zona dell’Edo State (cfr. pag. 7 e 8 del decreto), sicchè non appare pertinente il richiamo fatto dal ricorrente alla descrizione della situazione socio-politica di altre zone della Nigeria;

– con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3;

– assume il ricorrente che il tribunale non avrebbe indicato in maniera specifica ed esaustiva le ragioni del rigetto della protezione umanitaria, facendo discendere dalla mancanza dei presupposti della protezione internazionale anche il rigetto di quella umanitaria;

– il motivo è fondato;

– è stato, infatti, chiarito da questa Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (cfr. Cass. 13088/2019; id. 21123/2019; id. 11935/2020);

– nè il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale, preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, poichè la statuizione su questa domanda è frutto di una valutazione autonoma e non può conseguire automaticamente al rigetto di quella concernente la protezione internazionale (cfr. Cass. 8020/2020; id. 8819/2020);

– nel caso di specie il diniego della protezione umanitaria è stato ricollegato dal tribunale alla valutazione dei medesimi fatti esaminati ai fini della protezione maggiore ed alla ritenuta non credibilità del richiedente asilo, trascurando il carattere non decisivo dell’esito del giudizio di credibilità soggettiva a fronte della rilevanza, ai fini del riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dell’accertamento delle condizioni di vita nel paese di origine in vista della valutazione comparativa fra il grado di integrazione raggiunto dal richiedente asilo e l’eventuale rischio di compromissione del nucleo ineliminabile dei diritti umani, in caso di rimpatrio forzato (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SU 29549/2019);

– al contrario, il tribunale ha affermato l’irrilevanza dell’apprezzamento degli elementi allegati ai fini dell’asserita integrazione sociale, omettendo ogni verifica officiosa rispetto alla vicenda storica narrata e così facendo è incorso nella violazione della disciplina sulla protezione umanitaria;

– il terzo motivo di ricorso va dunque accolto ed il decreto impugnato va cassato in relazione ad esso, con rinvio al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, affinchè esamini la domanda del richiedente alla stregua del seguente principio di diritto: “la domanda volta all’accertamento dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 5, comma 6, ratione temporis applicabile deve essere esaminata al fine di verificare se, a prescindere dal giudizio di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, sussiste una condizione soggettiva od oggettiva di vulnerabilità, da valutare caso per caso; tale condizione sussiste ove il giudice accerti, anche attivando il potere-dovere d’integrazione istruttoria, che il rimpatrio forzato esporrebbe il richiedente, a fronte dell’integrazione sociale e lavorativa raggiunta nel paese di accoglienza, al rischio della perdita della titolarità dei diritti umani fondamentali costitutivi dello statuto della dignità personale”;

– il giudice del rinvio provvederà altresì alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2020

 

 

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