Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29675 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IANNIELLO Antonio – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE

RUGGIRELLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA CREDITO COOPERATIVO DON RIZZO S.C.A.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

LUIGI ANTONELLI 10, presso lo studio dell’avvocato COSTANZO ANDREA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GARILLI ALESSANDRO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 717/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/07/2008 R.G.N. 119/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato VALLENBONA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 12.7.2008, in parziale riforma della sentenza del giudice del lavoro di Trapani, rigettava la domanda proposta da R.M.A., diretta alla restituzione delle somme indebitamente trattenute dalla Banca dall’1.2.1998 al 31.12.2001 nella misura dell’11,50% delle retribuzioni percepite al lordo, confermando nel resto la decisione con la quale era stata respinta la domanda di riconoscimento della qualifica di funzionano rivendicata dalla lavoratrice ed, invece, accolta quella di restituzione delle somme trattenute nel periodo suindicato, ritenendo viziato, per mancanza originaria della causa, l’accordo sindacale del 12.5.1997 sottoscritto dalla ricorrente il 28.2.1998, nella parte in cui stabiliva, per un periodo di tre anni, una riduzione della retribuzione annua complessiva derivante dalla contrattazione collettiva pari all’11,50%. La Corte territoriale, confermando la pronunzia di rigetto dell’inquadramento in qualifica superiore della R. – appellante incidentale -, rilevava, quanto all’appello principale proposto dalla Banca, che la disposizione dell’accordo aziendale, che prevedeva la riduzione nei confronti di tutti i dipendenti della retribuzione annua complessiva applicata dalla B.C.C. Don Rizzo nella percentuale dell’11,50%, costituiva attuazione di quanto disposto dall’art. 114 c.c.n.l. del 20.2.1997, rubricato “prevenzione dei conflitti collettivi”, che, al fine di prevenire situazioni idonee a determinare ricadute sulle condizioni di lavoro del personale e squilibri occupazionali, individuava nell’adozione della procedura preventiva di cui ai commi successivi lo strumento al quale ricorrere prima dell’applicazione delle norme di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 24, prevedendo un esame congiunto su varie ipotesi, quali quelle aventi ad oggetto il blocco delle assunzioni, il blocco dello straordinario e la possibilità di ridurre la retribuzione corrisposta. Secondo la Corte del merito ciò era consentito in forza della possibilità di un contratto aziendale successivo di derogare a quello nazionale precedente e non era ipotizzabile alcuna nullità, neanche eccepita, dell’art. 114 c.c.n.l., per contrasto con norme imperative. All’accordo del 12.5.1997 aveva, peraltro, espressamente aderito la R., ponendo in essere un comportamento diretto alla ratifica dell’operato delle organizzazioni stipulanti.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la R., affidando l’impugnazione a tre motivi.

Resiste, con controricorso, la Banca ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la R. denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere erroneamente la Corte territoriale omesso di pronunziare sulla deduzione relativa alla difformità tra accordo aziendale del 12.5.1997 e l’ivi richiamato art. 114 c.c.n.l. del 20.2.1997, quanto alla disposta riduzione della retribuzione senza riduzione di orario. Tale norma prevede che, in caso di crisi aziendale con esubero di personale, l’accordo aziendale possa considerare, tra le ipotesi alternative al licenziamento collettivo, anche “la riduzione e/o modulazione di orario e di salario per un periodo di tempo determinato”, mentre l’accordo aziendale 12.5.1997 ha previsto “una riduzione della retribuzione”, senza alcuna riduzione di orario.

A conclusione della parte argomentativa, la ricorrente formula quesito di diritto, con il quale domanda se il giudice possa omettere di pronunziare su una deduzione espressamente formulata dalla parte, come ha fatto la sentenza impugnata, oppure se tale omissione sia vietata dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 114, comma 5, n. 2, del c.c.n.l. del 20.2.1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente la Corte del merito affermato che lo stesso, in caso di situazioni di criticità occupazionale, consente agli accordi collettivi aziendali “la possibilità di ridurre la retribuzione corrisposta”, senza una corrispondente riduzione di orario. L’art. 114 prevede che, in sede di esame congiunto, a livello aziendale “potranno essere concordate ipotesi idonee a superare anche eventuali situazioni di criticità occupazionale” indicando espressamente tra queste “la riduzione e, modulazione di orario e di salario per un periodo di tempo determinato”, che lascia immutati i termini dello scambio corrispettivo e rispetta il principio costituzionale di proporzionalità della retribuzione alla quantità di lavoro prestato (art. 36 Cost.), mentre l’interpretazione seguita nella sentenza impugnata viola palesemente tale principio e collide col criterio della interpretazione costituzionalmente orientata e della conservazione del contratto. Peraltro, la congiunzione posta tra orario e salario dimostra inequivocabilmente che questa sia la volontà delle parti sociali. Con specifico quesito, domanda se la disposizione dell’art. 114, comma 5, n. 2, del c.c.n.l. 20.2.1997 per i quadri gli impiegati ed ausiliari delle Banche di credito cooperativo Casse Rurali e Artigiano rinvia agli accordi aziendali in caso di criticità occupazionale la possibilità di pattuire una riduzione della retribuzione, a prescindere da una riduzione di orario, come erroneamente sostiene la sentenza impugnata, oppure se tale rinvio consente solo una riduzione di orario con corrispondente riduzione della retribuzione, come sostenuto con il motivo di ricorso.

Con il terzo motivo, la R. si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 4 e 36 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente negato la nullità dell’accordo aziendale 12.5.1997 e della relativa ratifica individuale della ricorrente del 20.2.1998, nella parte in cui prevedono, per fronteggiare l’eccedenza di personale, la riduzione della retribuzione fissata dal c.c.n.l., senza alcuna riduzione dell’orario di lavoro. Rileva che non si pone un problema di deroga peggiorativa del contratto aziendale, bensì di controllo sui limiti di ammissibilità della stessa e che, nella specie, il contratto collettivo nazionale rinvia all’accordo aziendale non una riduzione secca della retribuzione, bensì solo una riduzione dell’orario di lavoro e della corrispondente retribuzione.

Si domanda, poi, se l’accordo aziendale che, per fronteggiare una situazione di eccedenza di personale, stabilisca, in contrasto con il rinvio disposto dal c.c.n.l., la riduzione della sola retribuzione prevista nello stesso, senza riduzione di orario di lavoro, sia valido, come erroneamente affermato dalla sentenza impugnata, oppure se sia nullo, per violazione degli artt. 4 e 36 Cost., come sostenuto nel motivo di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso, erroneamente la ricorrente invoca l’art. 112 c.p.c. in relazione ad un vizio di omessa pronunzia sulla denunciata difformità tra clausola dell’accordo aziendale e la previsione della contrattazione collettiva nazionale, perchè sì tratta nella sostanza di denunzia di omessa motivazione su di una argomentazione difensiva a sostegno di una domanda o di una eccezione.

Il motivo, così inteso, è, tuttavia, infondato, atteso che per consolidata giurisprudenza di questa Corte, per adempiere l’obbligo della motivazione, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi particolareggiata di tutte le deduzioni delle parti e di tutti gli elementi probatori emersi nel procedimento, essendo sufficiente che egli, attraverso una valutazione globale di tutte le risultanze di causa, spieghi le ragioni che hanno determinato il suo convincimento (cfr., tra le altre, 15/04/2011 n. 8767).

L’omessa considerazione di un fatto controverso che sia effettivamente principale può sì dar luogo ad omessa pronuncia, censurabile a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma solo se non è possibile al riguardo una pronuncia implicita, rispetto alla quale potrebbe, invece, esservi un difetto di motivazione (cfr. Cass. 5 giugno 2009 n. 12990). La Corte territoriale ha espressamente affermato che le disposizioni del contratto aziendale costituiscono attuazione di quanto disposto dall’art. 114 c.c.n.l. del 20.2.1997, onde deve ritenersi che implicitamente abbia ritenuto la mancanza di difformità tra le clausole contrattuali dei due accordi di diverso livello, o, sicuramente la possibilità derogatoria delle prime da parte delle seconde.

Con il secondo motivo, viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 114, comma 5, n. 2, del c.c.n.l. del 20.2.1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente affermato la Corte del merito che la suddetta disposizione, in caso di situazioni di criticità occupazionale, consente agli accordi collettivi aziendali “la possibilità di ridurre la retribuzione corrisposta”, senza una corrispondente riduzione di orario.

Il giudice di legittimità, nel caso sia stata denunciata la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, come modificato dalla L. n. 40 del 2006, art. 27, può procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo, la cui natura negoziale impone che l’indagine ermeneutica debba essere compiuta secondo i criteri dettati dall’art. 1362 cod. civ., e segg. e non sulla base degli artt. 12 e 14 preleggi; ne consegue che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, è necessario che in esso siano motivatamente specificati i canoni ermeneutici negoziali in concreto violati, nonchè il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato (cfr. Cass. 24 gennaio 2008 n. 1582).

Ritenuto che la censura è ammissibile nei termini in cui risulta proposta, si osserva che la norma oggetto di interpretazione, rubricata “prevenzione dei conflitti collettivi”, dispone che “nel comune intento di pervenire situazioni che, all’interno del Movimento, possano determinare ricadute sulle condizioni di lavoro del personale ed eventuali squilibri occupazionali, le parti stipulanti convengono sulla opportunità di rafforzare, secondo quanto concordato nel presente articolo, le procedure di informazione, di esame congiunto e di contrattazione”, prevedendo, nell’ambito dell’esame congiunto, la possibilità di concordare ipotesi idonee a superare anche eventuali situazioni di criticità occupazione, tra le quali “a mero titolo esemplificativo, il blocco delle assunzioni, il blocco del lavoro straordinario, l’attivazione di incentivi all’esodo, la trasformazione di alcuni rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, la possibile assegnazione a mansioni diverse anche in deroga all’art. 2103 c.c., nel rispetto di procedure di legge, accordi di solidarietà, l’attivazione di interventi di riqualificazione del personale, la riduzione e/o modulazione di orario e di salario per un periodo di tempo determinato (…)”.

Orbene, la circostanza che le parti sociali abbiano previsto, tra le ipotesi indicate a titolo esemplificativo, proprio quella della riduzione della retribuzione non lascia margini di dubbio sul fatto che la stessa potesse nei termini ivi previsti essere adottata a livello aziendale e che non potesse, pertanto, senza violare l’accordo sulla retribuzione previsto dal contratto collettivo di categoria, disporre la riduzione della retribuzione senza contemporaneamente prevedere anche una riduzione di orario, dovendo individuarsi come comune intenzione delle parti quella di collegare alla riduzione della retribuzione la corrispondente riduzione di orario, nel rispetto del principio di proporzionalità della prima alla effettiva quantità della prestazione lavorativa. Ciò si evince in modo chiaro dalla formulazione del testo della norma contrattuale, ove, dopo la previsione della riduzione e/o modulazione di orario, con congiunzione alternativa, utilizza la semplice congiunzione “e” a proposito della riduzione di orario e salario, con ciò rimarcandosi la necessità del rispetto del principio della proporzionalità, non derogabile quindi da contratto aziendale in ragione dei limiti posti dalla contrattazione nazionale in termini di specificità, in virtù della previsione a titolo esemplificativo proprio dell’ipotesi della riduzione della retribuzione e dell’orario.

Non poteva, pertanto, interpretarsi la disposizione in modo difforme da quello indicato e la questione non può trovare soluzione diversa ponendo richiamo alla regola generale dei rapporti tra contrattazione collettiva nazionale e contrattazione aziendale. E’ al riguardo pacifico e condivisibile che le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento del rapporto, concorrente con la fonte individuale e che a ciò consegue che, nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (cfr. Cass. 5 febbraio 2000 n. 1298). Tuttavia, la conservazione di quel trattamento resta affidata all’autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, le quali possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia (cfr. Cass. 1298/2000 cit.)- E nel caso considerato la previsione della possibilità di incidere sul trattamento retribuivo sia pure temporaneamente, riducendolo, contiene una limitazione nel senso che alla riduzione debba corrispondere proporzionalmente una riduzione di orario di lavoro, ponendosi in tal modo una clausola di salvaguardia riferita alla detta corrispondenza, e dovendo interpretarsi la espressa esemplificazione al riguardo come espressione della volontà di non consentire in sede aziendale la possibilità di incidere su tale aspetto della regolamentazione pattizia, per cui erroneamente è stato affermato dalla Corte territoriale che il contratto aziendale sia attuativo di quello nazionale. Nè tale opzione interpretativa si pone in contrasto con il principio di derogabilità in peius, che opera in forza della considerazione che le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicchè nell’ipotesi di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (ari 2077 c.c.) che riguarda il rapporto tra contratto collettivo ed individuale (Cass. 12098/2010). Nella specie si pone, piuttosto, come già detto, una questione di limiti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale, all’art. 114 c.c.n.l. del 20.2.1997, in relazione alla possibilità, in sede di esame congiunto da parte delle organizzazioni sindacali locali, di adottare misure concordate, tra le quali anche quella della riduzione della retribuzione congiuntamente, tuttavia, a quella dell’orario lavorativo.

Neanche la ratifica operata dalla lavoratrice singolarmente, in presenza del dissenso alla stipula del contratto manifestato dai propri sindacati, contribuisce a mutare i termini della questione risolta nel senso della nullità dell’accordo aziendale in relazione alla clausola di riferimento, atteso che sicuramente alla adesione al citato contatto, espressa dalla R. presso l’Ufficio provinciale del lavoro di Trapani in data 20.12.1998, deve conferirsi il significato di ratifica meramente soggettiva idonea ad ampliare l’estensione, appunto, soggettiva dei destinatari di un accordo sottoscritto solo da alcuni dei sindacati e nella sussistenza di dissenso da parte di quello di appartenenza della lavoratrice e di altre organizzazioni sindacali, ma di certo non a conferire validità, nei confronti della ricorrente, ad una clausola dell’accordo aziendale affetta da nullità, per non essere attuativa della norma contrattuale che, come detto, consentiva di stipulare contratti aziendali derogatori nei limiti di quanto espressamente precisato nell’art. 114 del CCNL 20.2.1997. La ratifica, invero, avrebbe avuto gli effetti voluti dalla controricorrente ove l’accordo da ratificare fosse stato validamente concluso dalle organizzazioni sindacali con efficacia vincolante per i lavoratori appartenenti alle stesse, con efficacia estensiva soggettiva anche nei confronti di coloro che non risultavano validamente rappresentati e avessero tuttavia aderito all’accordo concluso. Diversamente, nel caso considerato, la nullità sotto il profilo evidenziato dell’accordo sindacale aziendale lo ha reso insuscettibile di qualsivoglia forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive da parte dei lavoratori nei cui confronti non era sussistente la riferibilità soggettiva dello stesso. Deve, poi, anche rilevarsi che la deduzione relativa all’esistenza di una transazione, illustrata nella memoria difensiva, è nuova e, come tale, non può essere persa in esame.

All’accoglimento del secondo motivo di ricorso consegue l’assorbimento del terzo, e, per le esposte considerazioni, il ricorso va accolto in ragione della rilevata nullità dell’accordo sindacale nella parte in esame, per contrasto con quanto previsto dalla norma contrattuale collettiva nazionale, così come interpretata da questa Corte. La sentenza impugnata va cassata senza rinvio (ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ultimo periodo), in relazione al detto accoglimento, in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base dell’enunciata interpretazione della norma del c.c.n.l.- senza che siano necessari all’uopo accertamenti di fatto – e, per l’effetto, va accolta la domanda della ricorrente e disposta la condanna della società intimata alla restituzione, in favore della prima, delle somme trattenute nel periodo dal febbraio 1998 al 31 gennaio 2001, pari all’11,50% della retribuzione annua lorda, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data delle singole trattenute al soddisfo.

Il regolamento delle spese operato nei gradi di merito può essere confermato in considerazione della peculiarità della questione trattata, che giustifica la compensazione per l’intero anche delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna la società intimata alla restituzione, a favore della ricorrente, delle somme trattenute nel periodo dal febbraio 1998 al gennaio 2001, pari all’11,50% della retribuzione annua lorda, con rivalutazione ed interessi legali dalla data delle singole trattenute; conferma il regolamento delle spese operato nei gradi di merito e compensa quelle relative al presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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