Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29671 del 28/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 28/12/2020), n.29671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 508-2020 proposto da:

P.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA CAMPRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA – SEZIONE

DI FORLI’ CESENA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato

e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 20/11/2019

R.G.N. 6666/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Bologna, con decreto del 20.11.2019, respingeva il ricorso in opposizione proposto da P.A., cittadino bengalese, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di reiezione della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione, tra le quali, in via subordinata, quella di protezione umanitaria;

2. il Tribunale, premessa la necessità di una valutazione sulla credibilità del cittadino straniero ancorata ai parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 osservava come, quanto alla domanda di protezione internazionale, non erano stati addotti o allegati fattori di persecuzione riconducibili al novero dei “motivi di persecuzione” elencati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e che il predetto neanche aveva paventato il rischio di subire, in caso di rientro in Bangladesh, una delle forme di danno grave alla persona tipizzate dall’art. 14, lett. a) e b), D.Lgs. citato, deducendo difficoltà connesse alle condizioni economiche del proprio nucleo familiare ed alle difficoltà di reperimento di opportunità di lavoro;

3. quanto alla valutazione di una situazione di violenza generalizzata, rilevante ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) l’esame delle recenti e accreditate COI non aveva evidenziato in Bangladesh alcun tipo di conflitto armato in corso con conseguente rischio per l’istante di subire una qualche minaccia e, comunque, non erano state allegate ragioni ostative collegate alla permanenza nel paese di transito – Libia – (sotto il profilo psico-fisico) tali da assumere rilevo per la valutazione di profili di vulnerabilità a ciò conseguenti;

4. di tale decisione domanda la cassazione il P., affidando l’impugnazione a tre motivi di impugnazione;

5. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, assumendo, con riguardo alla procedimentalizzazione legale della decisione in tema di credibilità del richiedente, che il Tribunale non abbia valutato le conseguenze, debitamente prospettate nel ricorso introduttivo, del mancato pagamento del debito che avrebbe esposto il P. al rischio di una sostanziale riduzione in schiavitù;

2. con il secondo motivo, il richiedente protezione lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2 e art. 14, lett. b) in relazione alla mancata valutazione della paventata possibilità di riduzione in schiavitù per debito in caso di rientro nel paese di origine;

3. i due motivi vanno trattati congiuntamente per l’evidente connessone delle questioni che ne costituiscono l’oggetto;

3.1. in primo luogo, deve rilevarsi un profilo di inammissibilità delle censure, avendo il Tribunale escluso che il richiedente avesse prospettato motivi di persecuzione e pertanto la valutazione è stata conforme ai criteri indicati nella norma richiamata;

3.2. ciò anche se questo Collegio condivide l’orientamento recentemente espresso da questa Corte in difformità dal principio secondo il quale le dichiarazioni del richiedente asilo giudicate inattendibili non consentirebbero, comunque, un approfondimento istruttorio officioso;

3.3. si è affermato (Cass. n. 10286 del 2020, n. 8819 del 2020, n. 2954 del 2020 e n. 3016 del 2019): che il suddetto principio “vada opportunamente precisato e circoscritto, nel senso che esso vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)” – e ciò qualora… la mancanza di tali presupposti emerga ex actis; che, di converso, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria “una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)” (sent. cit.);

3.4. nel caso in esame, tuttavia, il Tribunale ha motivatamente argomentato il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, quanto alle ipotesi di cui all’art. 14 cit., lett. a) e b) non solo per la mancanza di credibilità dell’istante in ordine ad alcune rilevate divergenze circa la data in cui era stato contratto il prestito e per la mancanza di elementi circostanziali in ordine agli autori dello stesso, alle modalità della restituzione, ma anche e soprattutto per la mancata prospettazione di alcun profilo di rischio in caso di mancata restituzione delle somme ricevute in prestito, che solo in sede di legittimità per la prima volta viene prospettato per farne discendere una carenza di approfondimento istruttorio da parte del Tribunale;

3.4. quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 2007, lett. c) sulla scorta delle informazioni acquisite tramite C.O.I., la sentenza impugnata ha dato conto analiticamente delle fonti informative utilizzate e pertanto ha rispettato l’onere, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di avere riguardo alle “fonti informative privilegiate”, di specificare la fonte in concreto utilizzata ed il contenuto dell’informazione da esse tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (in tali termini, cfr. Cass. n. 13449 del 2019; v. pure Cass. 11096 e 13897 del 2019);

4. il terzo motivo addebita alla sentenza violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32) enunciando una serie di elementi, quali l’instabilità politica del paese come asseritamente documentata, la tratta di esseri umani di cui il richiedente era stato vittima, il tempo trascorso dalla sua partenza, i rischi legati al fenomeno della riduzione in schiavitù, la mancanza di un alloggio, la necessità di cure mediche per i familiari, indicativi di una situazione di vulnerablità che il Tribunale aveva ritenuto insussistente;

4.1. occorre premettere che, in tema di protezione umanitaria, interessata dal recente intervento modificativo di cui al D.L. n. 113 del 2018, conv. in L. n. 132 del 2018, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno innanzitutto chiarito che il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; le ss. uu. hanno rilevato come a ciò consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge e che tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge;

4.2. le Sezioni Unite, invero, con la sentenza poc’anzi citata, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte):

1) che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2) che gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3) che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione (conformi successive, Cass. nn. 2563, 2964, 3776, 3780, 5584, 7599 7675, 7809, 8232, 8819, 8020 del 2020);

4.3. per il resto questa Corte ha chiarito che (v. Cass. n. 4455 del 2018 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019) il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza;

4.4. è stato evidenziato come, seppure il livello di integrazione raggiunto in Italia non costituisca un dato valutabile isolatamente ed astrattamente, esso certamente concorre nel contesto di una valutazione comparativa tra integrazione sociale raggiunta in Italia e situazione del Paese di origine (cfr. Cass. S.U. n. 29459/2019 cit.) e che tale valutazione è rimessa al giudice di merito;

4.5. anche il fatto che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, è irrilevante ove non sia evidenziato dal richiedente asilo quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (Cass. n. 2861 del 2018 e n. 31676 del 2018);

4.6. per altro verso, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, ove potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), sempre in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096 del 2019; v. pure Cass. n. 10622 del 2020);

4.7. tale orientamento ha ricevuto da ultimo l’avallo di Cass. 2 luglio 2020, n. 13565, alla cui stregua “il permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona” (cfr. in tali termini, Cass. 13565/2020 e, in senso conforme, precedentemente, Cass. 15.5.1019 n. 13096, Cass. 9.10.2017 n. 23604);

4.8. tanto premesso, nella specie il Tribunale non dubita della veridicità del trattamento subito in Libia e della presenza di familiari malati da assistere: – l’interessato ha fatto menzione delle violenze subite in Libia e delle conseguenze anche di tipo economico che esse hanno comportato mentre il Tribunale non ha dato alcun peso a tali dichiarazioni che si riferiscono ad una vicenda (sequestro e riscatto) che, unitamente a quella dei familiari disabili, contribuisce a delineare un quadro di vulnerabilità come accertabile dal Tribunale anche attraverso l’esercizio dei propri poteri officiosi, ricorrendone i presupposti (vedi, per tutte: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016);

5. sulla base di tali considerazioni deve pervenirsi all’accoglimento del terzo motivo, in relazione al quale il provvedimento impugnato va cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame avendo riguardo ai principi e alle linee interpretative sopra menzionate;

6. i giudici di rinvio provvederanno, altresì, alla determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, dichiara l’inammissibilità dei primi due, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2020

 

 

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