Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2967 del 07/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 07/02/2018, (ud. 20/09/2017, dep.07/02/2018),  n. 2967

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, l’INPS ricorre avverso la sentenza n. 1527/2011, depositata il 23/12/2011, con la quale la corte d’appello di Torino aveva confermato la pronuncia emessa dal giudice di prime cure che, riconosceva a D.E. “il diritto a percepire l’indennità di disoccupazione per l’intero periodo dal 15/10/2006 al 30/4/2007, oltre interessi legali dal dì del dovuto al saldo;

che, la Corte di secondo grado, ritualmente adita, rigettava il gravame proposto dall’INPS,e nello specifico riteneva che alla lavoratrice straniera dovesse competere l’indennità ordinaria di disoccupazione anche in riferimento al periodo di allontanamento temporaneo dal territorio italiano;

che, avverso tale pronuncia ricorre l’INPS affidando le proprie doglianze ad un unico motivo illustrato, poi da memoria. D.E. regolarmente intimata non si difende.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, la Corte territoriale ha fondato le ragioni del rigetto del gravame interposto dall’istituto previdenziale sulla base di una duplice considerazione: 1) la disciplina (D.Lgs. n. 297 del 2002) che regola l’erogazione della prestazione previdenziale in oggetto, non contempla all’art. 5, tra le specifiche ipotesi di “perdita dello stato di disoccupazione” quella concernente, come nel caso di specie, l’allontanamento temporaneo dal territorio dello Stato; 2) lo stesso art. 5,prevede, invece, quali ipotesi che comportano la perdita dello “status” di disoccupato, solo, la mancata presentazione dell’interessato senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente o il rifiuto ingiustificato dello stesso ad una congrua offerta di lavoro;

che, con l’unico mezzo di gravame l’INPS lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1827 del 1935, artt. 45, comma 3, e del D.P.R. n. 818 del 1957, art. 34;

che, in particolare le censure prospettate dall’Ente possono così sintetizzarsi: a) la permanenza sul territorio dello Stato costituisce un requisito oggettivo connesso allo status di “disoccupato”; b) di conseguenza l’assenza dal territorio dello Stato è incompatibile con la disponibilità immediata del lavoratore disoccupato allo svolgimento e alla ricerca di un’attività lavorativa;c) e ciò, ulteriormente, comporta il venir meno dello status di disoccupato senza che sia necessario il verificarsi di una delle altre condizioni previste dal D.Lgs. n. 297 del 2002.

che, ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

che, infatti, sulla materia oggetto del presente contenzioso, si è consolidato un orientamento della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 16997 del 2017) al quale questo Collegio ritiene di dover dare continuità;

che, pur tenuto conto che il sistema della sicurezza sociale si fonda sul principio di territorialità, cui può derogarsi solo in relazione a disposizioni rivenienti da convenzioni internazionali cui lo Stato italiano abbia aderito (Cass. n. 22151 del 2008); tuttavia, occorre ribadire come competa al legislatore individuare il razionale equilibrio tra l’eventuale esigenza del singolo beneficiario di una prestazione di dimorare temporaneamente all’estero, e la correlata necessità, derivante dal sopra richiamato principio di territorialità, di garantire che la spesa per consumi assicurata dalle prestazioni previdenziali fornite dallo Stato non venga distolta da presenze del lavoratore all’estero;

che, con riferimento alla prestazione di cui trattasi, l’art. 45, comma 3, r.d.l. n. 1827/1935, per “disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro” si riferisce logicamente ad un periodo di mancanza involontaria di lavoro che sia stato trascorso nel territorio nazionale, restando, invece, ininfluente ogni evento che occorra in periodo trascorso all’estero (Cass, n. 22151 del 2008);

che, l’art. 5, d.lgs. n. 297/2002 (applicabile “ratione temporis” alla fattispecie in disamina) stabilisce la perdita dello stato di disoccupazione “in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente” o “in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della L. 24 giugno 1997, n. 196, con durata del contratto a termine o, rispettivamente, della missione, in entrambi i casi superiore almeno ad otto mesi, ovvero a quattro mesi se si tratta di giovani, nell’ambito dei bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni”;

che, dal sopra richiamato articolato normativo si evince che la perdita del diritto all’indennità di disoccupazione non può fondarsi sul presupposto rappresentato dal generico allontanamento, temporaneo, all’estero del lavoratore;

che, nel caso in trattazione, la Corte territoriale ha accertato che non risultano comprovati elementi (irrintracciabilità dell’interessato all’estero o impossibilità dello stesso ad iniziare nell’immediato l’attività lavorativa) dai quali desumere l‘indisponibilità del lavoratore allo svolgimento dell’attività lavorativa, eventualmente, proposta dagli uffici competenti, e di conseguenza la sentenza impugnata deve ritenersi immune dalle censure rivoltele;

che, diversamente opinando, le disposizioni sopra richiamate nella rubrica del motivo del ricorso, presenterebbero evidenti ragioni di incostituzionalità, avendo più volte la Corte costituzionale precisato che il diritto al trattamento di disoccupazione ordinaria è collegato soltanto all’osservanza del comportamento attivo prescritto dall’ordinamento a chi ne è beneficiario (Corte. cost. n. 160 del 1974);

che, ritiene, inoltre, il Collegio di rilevare come, in materia di prestazioni e benefici previdenziali operi il generale principio di tipicità e tassatività della singola disposizione, correlato a ragioni di compatibilità di finanza pubblica, principio che non consente di estendere i casi di esclusione o di perdita dei benefici ad ipotesi e fattispecie diverse da quelle in essa espressamente contemplate;

che, alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese del giudizio in considerazione della mancanza di attività defensionale da parte della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2018

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