Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2967 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/02/2017, (ud. 05/10/2016, dep.03/02/2017),  n. 2967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14337-2011 proposto da:

M.A.M., nato a (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato GUISEPPE

PLACIDI, rappresentata difesa dall’avvocato ANTONIO RIZZO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA NAZIONALE Di PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI DOTTORI

COMMERCIALISTI, P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE TUPINI 113,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SABINO DE BLASI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1020/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 10/12/2010 r.g.n. 952/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato RIZZO ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il ricetto dei ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6.10 – 10.12.2010 la Corte d’appello di Salerno ha rigettato l’impugnazione di M.A.M. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che le aveva respinto la domanda, proposta nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti, volta all’accertamento del diritto a mantenere l’iscrizione presso tale ente per le annualità 1987, 1989, 1990, 1991, 1993, 1996, 1997, 1998, 1999 e 2000, rispetto alle quali il Consiglio di Amministrazione della stessa Cassa aveva deliberato nei suoi riguardi l’annullamento per carenza di esercizio continuativo della prestazione professionale.

Nel rigettare l’impugnazione della M. la Corte territoriale ha osservato che era da escludere che potessero ravvisarsi elementi di illegittimità nell’esercizio del potere di verifica della Camera dei commercialisti, così come era da escludere che sussistessero i presupposti per la richiesta disapplicazione del contestato atto di revisione e di annullamento dell’iscrizione per le suddette annualità, fermo restando che l’esercizio del potere in oggetto non era sottoposto a termini di decadenza.

Per la cassazione della sentenza ricorre la M. con un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un solo motivo la ricorrente denunzia i seguenti vizi dell’impugnata sentenza: – Omessa e carente motivazione in ordine ai motivi di censura; contraddittorietà ed irrazionalità della motivazione; violazione della L. n. 21 del 1986, art. 22 e successive modifiche, oltre che del deliberato del Comitato dei Delegati della Cassa Nazionale di Previdenza ed assistenza dei dottori commercialisti resa in data 24.6.1994 e di quelli successivamente adottati dal medesimo organo; violazione degli artt. 3 e 38 Cost. e dei principi generali del legittimo affidamento, della certezza del diritto, della buona fede, della trasparenza e della correttezza comportamentale; violazione del D.Lgs. n. 509 del 1994.

In sostanza la ricorrente contesta in radice il potere della Cassa di previdenza di deliberare in ordine all’annullamento della sua iscrizione in relazione alle annualità sopra indicate per ritenuta carenza di esercizio continuativo della prestazione professionale, deducendo al riguardo l’intervenuta decadenza della stessa Cassa dalla facoltà di esercitare un tale potere. A tal proposito la ricorrente osserva che il Regolamento di disciplina delle funzioni di previdenza, attuativo della norma di cui alla L. 29 gennaio 1986, n. 21, art. 22, comma 1, prevedeva nel deliberato di cui all’allegato “A” che l’accertamento della sussistenza del requisito dell’esercizio professionale doveva avvenire con periodicità quinquennale e, comunque, prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziale sulla base di prefissati criteri individuati nello stesso provvedimento. Di conseguenza la ricorrente imputa alla Cassa di previdenza la tardività dell’accertamento compiuto nei suoi confronti con riferimento ad annualità di esercizio della professione di molto antecedenti al quinquennio previsto per le verifiche di competenza dell’ente convenuto in giudizio. Aggiunge la ricorrente che nel caso in cui non si ravvisasse la sussistenza di un limite temporale all’esercizio del potere della Cassa previdenziale di emettere atti di annullamento delle annualità di iscrizione, in corrispondenza del limite temporale all’attività di accertamento previsto dal regolamento, si creerebbero inevitabilmente le condizioni concretizzanti le violazioni di legge sopra denunziate.

Il motivo è infondato.

Anzitutto, ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 22, comma 3, la Cassa accerta “la sussistenza del requisito dell’esercizio della professione… periodicamente e comunque prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali” effettuando “all’atto della domanda di pensione”, controlli (v. art. 20 stessa legge) finalizzati ad accertare la “corrispondenza tra le comunicazioni inviatele)… e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume di affari… (degli) ultimi quindici anni”, anche per “conoscere elementi rilevanti quanto all’iscrizione e alla contribuzione”.

Orbene, è agevole rilevare che il precedente art. 20 espressamente attribuisce alla Cassa un potere di controllo (esercitato attraverso la richiesta di fornire documenti e compilare questionari) su “elementi rilevanti quanto all’iscrizione e alla contribuzione” e che l’eventuale mancata collaborazione da parte dell’interessato (che non risponda entro 90 giorni dalla richiesta) importa sospensione del trattamento pensionistico.

D’altronde, negandosi alla Cassa qualsivoglia verifica proprio nel momento in cui deve erogare il trattamento di maggior impegno economico (quello pensionistico), si perverrebbe ad un singolare esito interpretativo: nessuno potrebbe più verificare il continuativo esercizio della professione di dottore commercialista, che pur costituisce, in realtà, un autonomo requisito per l’iscrizione non solo all’albo, ma anche alla Cassa (v. L. n. 100 del 1963, art. 2 e L. n. 21 del 1986, art. 22).

Il suo accertamento non avviene una volta per tutte, ma va reiterato nel corso del tempo, se è vero come è vero che ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 22, comma 3 cit. la Cassa ne effettua controlli periodici “e comunque prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali”.

Si è, altresì, affermato (Cass. sez. lav. n. 7830 del 15.4.2005) che “ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia a carico della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti, atteso che – secondo la L. n. 21 del 1986, art. 22, comma 3, – l’accertamento del requisito dell’esercizio della professione deve essere compiuto dalla Cassa periodicamente e, comunque, prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali, in caso di accertamento negativo, effettuato (come nella specie) prima dell’erogazione, è legittima la cancellazione dell’assicurato con riferimento all’intero periodo, senza limiti temporali, non trovando applicazione il D.P.R. n. 818 del 1957, art. 8 (secondo il quale debbono essere accreditati agli effetti del diritto alle prestazioni assicurative i contributi indebitamente versati allorchè l’accertamento dell’indebito versamento intervenga dopo oltre cinque anni), che presuppone l’esistenza di un rapporto di assicurazione generale obbligatoria con l’Inps”.

In definitiva la ricostruzione normativa e giurisprudenziale dei poteri di verifica della Cassa consente di avvalorare il risultato cui sono pervenuti i giudici di merito nell’escludere che la prevista periodicità quinquennale (durata indicativa contemplata dal provvedimento del Comitato dei Delegati della Cassa del 24.6.1994) delle verifiche prima dell’erogazione dei trattamenti possa comportare anche una decadenza dall’esercizio dei relativi poteri in mancanza di una norma espressa che stabilisca un preciso termine di decadenza.

D’altronde, la natura tassativa delle cause di decadenza dall’esercizio di diritti in genere, ivi compresi quelli di carattere potestativo, stante la conseguenza della perentorietà del relativo termine, postula necessariamente una espressa ed inequivoca previsione di fonte normativa che nella fattispecie non è data desumere dalle norme sopra richiamate.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3100,00, di cui Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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