Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29668 del 12/12/2017

Cassazione civile, sez. VI, 12/12/2017, (ud. 28/11/2017, dep.12/12/2017),  n. 29668

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Z.D. e R. proposero ricorso alla Corte d’appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, chiedendo, ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 67, il riconoscimento del provvedimento emesso il 2 febbraio 2006 e confermato con decisione del 28 aprile 2006, con cui la Commissione per l’istituto dell’adozione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali della Repubblica di Macedonia aveva disposto in loro favore l’adozione della minore Z.S..

1.1. Con ordinanza del 9 novembre 2016, la Corte d’appello dichiarò inammissibile il ricorso, ritenendo applicabile, in virtù del rinvio contenuto nella L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 2, la disciplina speciale in materia di adozione dei minori, dettata dalla L. 4 maggio 1983, n. 184 e dalla L. 31 dicembre 1998, n. 476, che attribuisce al tribunale per i minorenni le competenze relative alle procedure di adozione, ed affermando che tale competenza si estende anche al riconoscimento dei provvedimenti stranieri di adozione.

2. La domanda è stata pertanto riproposta dinanzi al Tribunale per i minorenni di Bolzano, che con ordinanza del 7 marzo 2017 ha sollevato conflitto negativo di competenza, sostenendo che, in quanto avente ad oggetto provvedimenti emessi da autorità della Repubblica di Macedonia a seguito di una procedura svoltasi interamente in quello Stato e nei confronti di cittadini macedoni, senza l’applicazione delle leggi speciali italiane in materia di adozione, la fattispecie non è riconducibile al secondo, ma al comma 1 della L. n. 318 del 1995, art. 41, comma 2, che rinvia agli artt. 65 e 66 della medesima legge, rispetto ai quali sussiste la competenza della Corte d’appello.

3. Gl’istanti non hanno svolto attività difensiva.

4. Tanto premesso, si rileva in fatto che la procedura di adozione, promossa da una coppia di cittadini macedoni residenti in Italia da circa venti anni ed in possesso anche della cittadinanza italiana, pur riguardando una minore residente nella Repubblica di Macedonia (Stato aderente, al pari dell’Italia, alla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993), non si è svolta secondo la procedura prevista dalla L. n. 184 del 1983, artt. 29 e segg., non essendo stato emesso il prescritto decreto di idoneità dal Tribunale per i minorenni di Bolzano, nel cui distretto risiedono gli adottanti, non essendovi stato il conferimento di un incarico ad uno degli enti di cui all’art. 39-ter, e non essendo intervenuta nè la valutazione della Commissione di cui all’art. 38, nè l’autorizzazione all’ingresso della minore in Italia.

4.1. Ciò posto, si osserva in diritto che la L. n. 218 del 1995, art. 41, nel consentire il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione, richiama, al comma 1, la disciplina dettata dagli artt. 64, 65 e 66 della medesima legge per il riconoscimento dell’efficacia delle sentenze e dei provvedimenti stranieri, ivi compresi quelli di giurisdizione volontaria, facendo tuttavia salve, al secondo comma, le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori. Tali disposizioni sono quelle dettate dalla L. n. 184 del 1983, e segnatamente gli artt. 29 e segg., i quali disciplinano l’adozione di minori stranieri, stabilendo che la stessa ha luogo conformemente ai principi e secondo le direttive della Convenzione della Aja, resa esecutiva nel nostro ordinamento dalla L. n. 476 del 1998, che ha modificato la L. n. 184 cit. Ai sensi dell’art. 29-bis, la disciplina in esame si applica all’adozione di un minore straniero residente all’estero, qualora gli adottanti siano persone residenti in Italia o cittadini italiani residenti in uno Stato straniero, e si svolge nel primo caso dinanzi al tribunale per i minorenni del distretto in cui gli adottanti hanno la residenza, e nel secondo dinanzi a quello del distretto in cui si trova il luogo della loro ultima residenza. Al minore straniero che si trova nel territorio dello Stato in situazione di abbandono si applica invece, a norma dell’art. 37-bis, la legge italiana in materia di adozione, affidamento e provvedimenti necessari in caso di urgenza. L’art. 36 stabilisce infine, al comma 1, che l’adozione internazionale di minori provenienti da Stati che hanno ratificato la Convenzione o che, nello spirito della stessa, abbiano stipulato accordi bilaterali, può aver luogo soltanto con le procedure e gli effetti previsti dalla L. n. 184, mentre l’adozione o l’affidamento a scopo adottivo, pronunciati in un Paese non aderente alla Convenzione nè firmatario di accordi bilaterali, possono essere dichiarati efficaci in Italia soltanto alle condizioni stabilite dal comma 2, il cui accertamento compete, a norma del comma 3, al tribunale per i minorenni che ha emesso il decreto di idoneità all’adozione.

4.2. Alla stregua della predetta disciplina, questa Corte ha da tempo affermato che, in materia di adozione di minori, a norma della L. n. 218 del 1995, art. 41,comma 2, non trovano applicazione gli artt. 64 e 66 della medesima legge, ma solo le disposizioni speciali vigenti, e segnatamente quelle di cui alla L. n. 476 del 1998, che ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993. Si è infatti osservato che la L. n. 218 del 1995, nell’abrogare, a far data dal 31 dicembre 1996, gli artt. 796 c.p.c. e segg., dettati in tema di delibazione di sentenze straniere (sostituendo ad essi un riconoscimento tendenzialmente automatico di tali pronunce al loro passaggio in giudicato: art. 64), ha fatto salve, all’art. 41, le disposizioni delle leggi speciali in tema di adozioni di minori, così predicando il perdurante vigore (e la prevalenza) della disciplina speciale dell’adozione internazionale di minori rispetto alle previsioni di carattere generale di cui alla riforma del diritto internazionale privato. Si è quindi concluso per l’applicabilità, in subiecta materia, della L. n. 476 cit., che ha radicalmente modificato la disciplina dell’adozione internazionale, sostituendo al procedimento di delibazione del provvedimento straniero dettato dalla L. n. 184 del 1983, art. 32, una complessa procedura che si snoda in più fasi, analiticamente disciplinate dai novellati artt. 29 e segg., ed affida al tribunale dei minorenni i poteri in dette norme previsti, tra l’altro disponendo, all’art. 36, comma 1, che l’adozione internazionale dei minori provenienti da Stati che hanno ratificato la Convenzione può avvenire “soltanto con le procedure e gli effetti previsti dalla presente legge” (cfr. Cass., Sez. 1, 23/09/ 2011, n. 19450; 23/01/2004, n. 1155).

Il carattere tendenzialmente esaustivo della disciplina dettata dalla L. n. 184 del 1983 e la conseguente idoneità della stessa ad escludere la competenza della corte d’appello in favore di quella del tribunale per i minorenni, è stato ribadito anche in riferimento alla delibazione del provvedimento di adozione non legittimante, apparentemente estraneo all’ambito applicativo degli artt. 29 e segg.. Si è infatti rilevato che, sebbene l’art. 35, comma 6, della predetta legge impedisca la trascrizione della sentenza straniera non avente gli effetti di cui all’art. 27 (così come, del resto, l’art. 32, comma 2, lett. b), impedisce che in presenza della medesima fattispecie la Commissione per le adozioni internazionali possa emanare la dichiarazione che l’adozione corrisponde al superiore interesse del minore), dell’art. 32, comma 3, prevede espressamente che, in via d’eccezione, il tribunale per i minorenni possa convertire l’adozione straniera in un’adozione che produca la cessazione dei rapporti con la famiglia d’origine, anche se di per sè non produceva tale effetto, purchè venga riconosciuta conforme alla Convenzione dell’Aja; e tale previsione è stata ritenuta inequivocabilmente idonea a confermare che, anche in presenza di un’adozione straniera non legittimante, è comunque sempre il tribunale per i minorenni a dover delibare sulla stessa, rientrando in ogni caso anche tale fattispecie nell’ambito delle adozioni internazionali di minori, cui si applica la particolare procedura di delibazione, costituente eccezione alla disciplina generale in virtù dell’espresso disposto della L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 2 (cfr. Cass., Sez. 1, 11/03/2006, n. 5376).

4.2. Nella medesima prospettiva, la portata espansiva della disciplina speciale dettata dalla L. n. 184 del 1983, per l’adozione internazionale dev’essere ritenuta idonea a giustificare l’attribuzione al tribunale per i minorenni della competenza in ordine al riconoscimento dell’efficacia dei provvedimenti di adozione emessi all’estero nei confronti di minori stranieri, anche qualora, come nella specie, gli adottanti, pur essendo in possesso della cittadinanza dello Stato di provenienza del minore, siano residenti in Italia. In tal senso depone innanzitutto la lettera dell’art. 29-bis cit., che, nell’individuare i destinatari della disciplina speciale, fa riferimento non già ai cittadini italiani, ma alle persone residenti in Italia che intendano adottare un minore straniero, in tal modo assoggettandole inequivocabilmente all’osservanza dei principi introdotti dalle disposizioni successive, indipendentemente dalla loro nazionalità. Tale formulazione, peraltro, nella sua ampiezza, costituisce puntuale attuazione dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja, che, nel definire la sfera di applicazione della Convenzione, la estende ad ogni ipotesi in cui un minore, residente abitualmente in uno Stato contraente, è stato o deve essere trasferito in un altro Stato contraente, sia a seguito di adozione nello Stato d’origine da parte di coniugi o di una persona residente abitualmente nello Stato di accoglienza, sia in vista di tale adozione nello Stato di accoglienza o in quello di origine, senza alcun riguardo, quindi, per la cittadinanza degli adottanti, ma con esclusivo riferimento all’espatrio del minore. La stessa diversità della residenza degli adottanti da quella dell’adottato non costituisce d’altronde un presupposto indispensabile per l’applicazione della disciplina in esame, come si evince dall’art. 36, comma 4, il quale consente il riconoscimento dell’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero ad istanza di cittadini italiani che abbiano soggiornato continuativamente nello stesso e vi abbiano avuto la residenza da almeno due anni, attribuendo la relativa competenza al tribunale per i minorenni, ancorchè, come rilevato dalla dottrina, la predetta adozione non possa propriamente definirsi “internazionale”, nel senso previsto dalla Convenzione dell’Aja.

4.3. Non può condividersi, al riguardo, la tesi sostenuta dal Tribunale per i minorenni e fatta propria dal Pubblico Ministero, secondo cui il riconoscimento della competenza del giudice minorile in ordine alla dichiarazione di efficacia dell’adozione postula necessariamente che la relativa procedura si sia svolta con l’osservanza delle forme stabilite dalla L. n. 184 del 1983, artt. 29 e segg., in mancanza della quale deve escludersi l’operatività del rinvio disposto dalla L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 2, con la conseguenza che la competenza resta attribuita alla corte d’appello, conformemente alla disciplina generale dettata dagli artt. 64 e segg. di quest’ultima legge.

Come evidenzia lo stesso Pubblico Ministero, questa Corte, nell’individuare gli strumenti idonei a consentire l’ingresso nel territorio nazionale di minori in stato di abbandono, ha ritenuto non condivisibile la tesi secondo cui il cittadino italiano (o, come nella specie, la persona residente in Italia) che intenda inserire nella propria famiglia un minore straniero in stato di abbandono non avrebbe altra possibilità che quella di procedere all’adozione internazionale ai sensi della L. n. 184 del 1983, richiamando il principio (espressamente affermato nell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 24 novembre 1989, ratificata con la L. 27 maggio 1991, n. 176, e ribadito con l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che, ai sensi dell’art. 6 del trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, ha lo stesso valore giuridico dei trattati, ma desumibile anche dagli artt. 2 e 30 Cost.), secondo cui in ogni situazione nella quale venga in rilievo l’interesse del minore deve esserne assicurata la prevalenza sugli eventuali interessi confliggenti (cfr. Cass., Sez. Un., 16/09/2013, n. 21108; Cass., Sez. 1, 2/02/2015, n. 1843). In quest’ottica, come si è detto, è stato riconosciuto valore non assoluto al principio, sancito dalla L. n. 184 del 1983, art. 36, comma 1, secondo cui l’adozione internazionale dei minori può avvenire solo con le procedure e gli effetti previsti da detta legge, conferendosi rilievo, nel caso specifico, alla possibilità, prevista dall’art. 32, comma 3, di convertire l’adozione non legittimante in adozione legittimante (cfr. Cass., Sez. 1, 11/03/2006, n. 5376, cit.).

Il riconoscimento della possibilità di dare ingresso nel nostro ordinamento a forme di affidamento che prescindono dall’osservanza della complessa procedura prevista della L. n. 184, artt. 29 e segg., non comporta d’altronde di per sè l’esclusione dell’operatività dei principi dettati dalla medesima legge, primo tra tutti quello stabilito dall’art. 35, comma 2, secondo cui l’adozione non deve risultare contraria ai princìpi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore. In tale prospettiva, è proprio l’esigenza, sottolineata dal Pubblico Ministero, di assicurare un controllo rigoroso sulla compatibilità del provvedimento con il nostro ordinamento, onde evitare che il ricorso legittimo ai predetti istituti possa prestarsi a strumentalizzazioni o ad abusi, ad avvalorare la tesi secondo cui la dichiarazione dell’efficacia dell’adozione internazionale, anche in caso d’inosservanza della procedura di cui alla L. n. 184 del 1983, spetta al tribunale per i minorenni, in virtù non solo della portata tendenzialmente generale della sua competenza in materia di adozione di minori, ma anche degli strumenti d’indagine ed intervento di cui lo stesso dispone a tutela dell’interesse dell’adottando.

4.4. Nella specie, deve pertanto ritenersi che il mancato svolgimento della procedura prevista della L. n. 184 del 1983, artt. 29 e segg., non consenta di escludere la spettanza al Tribunale per i minorenni di Bolzano, anzichè alla locale Sezione distaccata della Corte d’appello di Trento, della competenza in ordine alla dichiarazione di efficacia del provvedimento di adozione del minore straniero: la diversità della residenza abituale di questo ultimo rispetto a quella degli adottanti rende infatti irrilevante la circostanza che, in quanto titolari della doppia cittadinanza, essi abbiano fatto ricorso alla diversa procedura prevista dalle norme in vigore dello Stato di provenienza del minore, trovando in ogni caso applicazione la normativa speciale in materia di adozione, fatta salva dalla L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 2, che, imponendo di valutare la conformità dell’adozione allo interesse del minore, prevalente sugli altri interessi eventualmente confliggenti, giustifica il riconoscimento della competenza del giudice minorile, avente carattere tendenzialmente generale in subiecta materia.

5. La proposizione d’ufficio del regolamento di competenza esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali.

PQM

Dichiara la competenza del Tribunale per i minorenni di Bolzano, dinanzi al quale il processo dovrà essere riassunto nel termine di legge.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017

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