Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29667 del 28/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/12/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 28/12/2020), n.29667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 487-2020 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

PREFETTURA DI ROMA, in persona del Prefetto pro tempore,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistenti con mandato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il

27/11/2019 r.g.n. 55125/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/7/2020 dal Consigliere Dott. ARIENZO ROSA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. il giudice di Pace di Roma, con ordinanza del 27.11.2019, respingeva il ricorso proposto da T.A., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il decreto di espulsione amministrativa dal territorio nazionale italiano emesso dal Prefetto della Provincia di Roma e notificato in data 3.9.2019;

2. il giudice capitolino rilevava: che il ricorrente era titolare di permesso di soggiorno emesso dal Questore di Crotone scaduto il 26.10.2018 da più di 60 gg., che lo stesso non ne aveva chiesto il rinnovo in violazione dell’art. 13, comma 2, lett. b) del TUI e ss. modifiche e che risultavano a carico del predetto precedenti per spaccio di stupefacenti; evidenziava che il provvedimento era stato adottato in quanto non risultavano le condizioni per il rilascio di alcun permesso di soggiorno per motivi umanitari o ad altro titolo, non sussistendo in capo allo straniero seri motivi di carattere umanitario discendenti anche da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, e ss. art. 5, comma 6, modifiche; osservava che il ricorrente non aveva prodotto documentazione certificante oggettive e gravi situazioni personali che non consentivano l’allontanamento dal Territorio nazionale; aggiungeva che il decreto di espulsione era stato adottato legittimamente ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998 e ss. art. 13, comma 13, lett. a), modificazioni, in quanto il T. era stato condannato per reati inerenti agli stupefacenti;

3. di tale ordinanza domanda la cassazione il T., che affida l’impugnazione a due motivi;

4. vi è atto di costituzione tardiva del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Roma, effettuata dichiaratamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

5. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18 e contestuale violazione e mancata applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23; degli artt. 737 e 738 c.p.c.; degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata con L. n. 848 del 1955, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 sostanzialmente dolendosi della motivazione elusiva del ricorso quale proposto avverso il decreto di espulsione, della mancata considerazione della doglianza prospettata con riguardo alla mancata assistenza di un interprete nel corso dell’intervista in merito alla possibilità di chiedere il beneficio della partenza volontaria; rileva che l’accertamento del pericolo di fuga doveva avvenire nel rispetto del principio di legalità e di efficacia e buon andamento dell’azione amministrativa, che imponevano gi opportuni accertamenti al fine di verificare la compatibilità dell’adottata espulsione con le ipotesi astrattamente previste dal legislatore, ed invoca la mancanza di ogni provvedimento coerente con le ragioni dedotte (avendo asseritamente invocato la sopravvenienza di circostanze prima non deducibili che giustificavano la reiterazione della domanda di protezione internazionale), con riflessi in termini di qualificazione del vizio come omessa pronunzia;

6. con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione della Direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 ex art. 117 Cost., come recepita dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89, Capo II, art. 3, convertito in L. n. 129 del 2011, in riferimento alle modifiche apportate al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, n. 1; denunzia contestuale violazione degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE per come interpretati dalla Corte di Giustizia UE (sentenze Mukarubega, causa C-166/13 e M.G. e N. R., causa C-383/13 CE); domanda la disapplicazione per illegittimità comunitaria del decreto di espulsione il D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 14, comma 5 ter, rilevando nuovamente la erroneità della reiezione di ulteriore censura, formulata dinanzi al giudice di pace, volta a far valere la violazione del diritto del ricorrente ad essere informato dell’opzione per la cd. partenza volontaria, nonostante il chiaro dettato del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, n. 1;

6.1. in particolare, assume che la decisione di rimpatrio, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della Direttiva 2008/115/CE prevede un termine per la partenza volontaria e che il considerando n. 10 della stessa Direttiva enuncia che, se non vi è motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio, si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario; sostiene che lo stesso pericolo di fuga debba essere oggetto di una valutazione analitica e che sia in contrasto con la Direttiva l’impostazione secondo la quale il mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità costituisca la base di una presunzione assoluta di sussistenza del pericolo che lo straniero non adempirà al rimpatrio volontario; il ricorrente denunzia palese violazione della normativa rubricata per essere stata omessa qualsiasi garanzia partecipativa preceduta da una previa informativa volta a dar modo allo straniero di fornire le maggiori e più adeguate informazioni in merito alla sua situazione personale;

7. Il primo motivo, al di là del richiamo alle norme rubricate, non è nè specifico, nè conferente rispetto alle assorbenti argomentazioni che sostengono il decisum del Giudice di pace, fondato sull’insussistenza di condizioni personali ostative all’allontanamento dal territorio nazionale italiano;

7.1. la mancata possibilità di avvalersi dell’assistenza di un interprete non risulta essere stata eccepita e non risulta dedotta con riferimento ad un pregiudizio strettamente collegato alla carenza evidenziata;

7.2. La CGUE con sentenza emessa in C-166/13 ha affermato che “In circostanze quali quelle controverse nel procedimento principale, il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento, quale si applica nell’ambito della direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e, in particolare, dell’art. 6 della stessa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un’autorità nazionale non ascolti il cittadino di un paese terzo specificamente in merito a una decisione di rimpatrio allorchè, dopo aver constatato l’irregolarità del suo soggiorno nel territorio nazionale in esito a una procedura che ha pienamente rispettato il suo diritto di essere ascoltato, intenda adottare nei suoi confronti una decisione di tale tipo, a prescindere dal fatto che tale decisione di rimpatrio sia successiva o no a un diniego del permesso di soggiorno”;

7.3 sono prospettate situazioni fattuali in precedenza non allegate, ciò che induce a qualificare come connotate da novità le ragioni di censura prospettate nel motivo di impugnazione, che deve, pertanto, ritenersi inammissibile;

7.4. questa Corte non è stata così posta in condizione di apprezzare la validità delle recriminazioni del ricorrente, specie a fronte del diniego di novità opposto, laddove, in caso di reiterazione della domanda di protezione D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 29, lett. b), dopo che si sia già svolto un precedente giudizio diretto al riconoscimento della protezione internazionale, il richiedente asilo, a pena di inammissibilità della nuova istanza, è tenuto a indicare le ragioni per cui, senza colpa, non abbia potuto addurre i “nuovi elementi” nel giudizio di cognizione da lui proposto, atteso che quest’ultimo ha ad oggetto non già l’impugnazione del provvedimento di diniego da parte della Commissione territoriale, ma il riconoscimento del proprio diritto soggettivo alla protezione invocata, sicchè in esso è anche possibile integrare le deduzioni svolte in sede amministrativa (cfr. Cass. 19.11.2019 n. 30033);

8. quanto al secondo motivo, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quellealla cui stregua “non può essere dichiarata l’illegittimità del provvedimento di espulsione amministrativa solo perchè esso non contenga un termine per la partenza volontaria, in quanto tale mancanza può incidere sulla misura coercitiva adottata per eseguire l’espulsione, ma non sulla validità del provvedimento espulsivo, o perchè non contenga l’informazione circa la facoltà di fare rientro volontario, ostandovi il principio secondo cui detta omessa informazione può essere fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento emesso dal questore, attesa la separazione in due fasi distinte del complessivo procedimento di allontanamento coattivo dello straniero; ne consegue l’insussistenza della violazione della direttiva 2008/115/CE in quanto il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria ed esecuzione coattiva dell’espulsione può dispiegarsi nel predetto giudizio di convalida” (cfr. Cass. 13.3.2020 n. 7128; Cass. 13240/2018 e, da ultimo, negli stessi termini, v. Cass. 17.6.2020 n. 11732, secondo cui la questione dell’informazione propedeutica a consentire la formulazione di una richiesta di partenza volontaria attiene, infatti, all’esecuzione dell’espulsione e non integra un elemento costitutivo del provvedimento di espulsione medesimo);

9. ne consegue l’insussistenza della violazione della direttiva 2008/115/CE, in quanto il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria e esecuzione coattiva dell’espulsione può dispiegarsi nel predetto giudizio di convalida, ma non può esserlo in sede d’impugnazione del decreto espulsivo, sulla legittimità del quale lo straniero, che, come si è detto, ad esso solo restringe l’oggetto del presente ricorso, null’altro ha dedotto;

10. alla stregua delle svolte considerazioni e sul rilievo che non risulta idoneamente censurata la ratio decidendi fondata sulla valutazione di pericolosità, il ricorso va dichiarato inammissibile;

11. considerato che le parti intimate non hanno svolto alcuna attività difensiva, nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità;

12. il ricorrente non è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, in quanto, in tema di controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione Europea (art. 18 D.Lgs. n. 150 del 2011) e di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare (D.Lgs. n. 150 cit. art. 20), è espressamente stabilito che ” Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa” (cfr. Cass. 3305/2017).

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2020

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