Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29663 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. II, 16/11/2018, (ud. 21/09/2018, dep. 16/11/2018), n.29663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 29582/17) proposto da:

C.D., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di

procura speciale apposta in calce al ricorso (anche ai sensi del

D.M. Giustizia n. 44 del 2001, art. 18, comma 5, come sostituito dal

D.M. Giustizia n. 48 del 2013), dall’Avv. Claudia Marenzi ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Vincenzo

Pagano, in Roma, v. Montanelli n. 11;

– ricorrente –

contro

ORDINE PROVINCIALE DEI MEDICI VETERINARI DI (OMISSIS), (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del Presidente e legale rappresentante p.t.,

rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avv. Gabriela Giunzioni e domiciliato “ex lege”

presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, in Roma,

piazza Cavour;

– controricorrente –

e

MINISTERO DELLA SALUTE – COMMISSIONE CENTRALE PER LE PROFESSIONI

SANITARIE; PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI

MILANO; PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI

APPELLO DI MILANO e PREFETTO DELLA PROVINCIA DI MILANO;

– intimati –

avverso la decisione della Commissione Centrale per gli esercenti

delle professioni sanitarie n. 30/2017, depositata il 16 ottobre

2017 (e comunicata via pec il 17 ottobre 2017);

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

settembre 2018 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per la declaratoria

di nullità della decisione disciplinare e, quindi, per

l’accoglimento del ricorso;

uditi l’Avv. Pagano Vincenzo (per delega) nell’interesse del

ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 20 ottobre 2014 l’Ente Nazionale Protezione Animali inviava al Presidente dell’Ordine dei Medici Veterinari di (OMISSIS) una segnalazione a carico del Dr. C.D. a seguito della messa in onda di un servizio televisivo in cui si affermava che lo stesso, quale veterinario, avrebbe addestrato cani di razza “Dogo argentino” per combattere con i cinghiali.

In virtù dell’espletamento di conseguenti indagini il competente Consiglio dell’Ordine dei medici veterinari di (OMISSIS) disponeva l’apertura di apposito procedimento disciplinare nei confronti del suddetto professionista in ordine ad una serie di addebiti del codice deontologico di categoria (specificamente di quelli di cui agli artt. 1, 9, 10, 11, 12, 13 e 17), avuto riguardo alla violazione del dovere di omessa tutela della salute degli animali, dell’obbligo di condotta in scienza, coscienza e di professionalità, del dovere di diligenza e prudenza, del dovere di aggiornamento professionale, del dovere di probità, dignità e decoro, del dovere di lealtà e correttezza nonchè del dovere di tutela del benessere animale.

All’esito dell’instaurato procedimento disciplinare il predetto Consiglio, ravvisata la sussistenza degli addebiti ascrittigli, con Delib. 26 novembre 2014, irrogava nei confronti del Dr. C.D. la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo dei veterinari.

Il sanzionato professionista impugnava il menzionato provvedimento disciplinare dinanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, la quale, nella resistenza del Consiglio dell’Ordine dei medici veterinari di (OMISSIS), con decisione n. 30 del 2017, respingeva il ricorso del Dr. C..

A fondamento dell’adottata decisione l’adita Commissione rigettava tutte le censure formulate dal suddetto professionista, affermando, innanzitutto, l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale (e, quindi, rilevando l’insussistenza di un nesso di pregiudizialità tra gli stessi); indi, la medesima Commissione respingeva le doglianze attinenti all’assunta genericità degli atti della procedura, alla individuazione del momento di decorrenza del termine prescrizionale, alla dedotta insussistenza degli addebiti e alla contestazione della misura e della congruità della sanzione disciplinare inflitta. Avverso la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha proposto ricorso per cassazione il Dr. C.D., articolandolo in sei motivi, al quale ha resistito con controricorso il solo Ordine Provinciale dei medici veterinari di (OMISSIS), mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva nella presente sede di legittimità.

Il difensore del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la decisione impugnata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – per assunta violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51 e dell’art. 111 Cost., sul presupposto che la Commissione, alla stregua degli atti di indagine acquisiti, avrebbe dovuto rilevare che le condotte riportate nel capo di incolpazione (costituenti anche reato) risalivano ad oltre cinque anni prima dell’avvio del procedimento disciplinare, ragion per cui l’illecito disciplinare doveva essere dichiarato estinto per prescrizione, non potendo assumere rilievo – quale dies a quo per la decorrenza del relativo termine – la data di messa in onda del servizio televisivo (16 ottobre 2014) oggetto della segnalazione da parte dell’E.N.P.A..

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’asserita violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39 (con riferimento alla necessità della “menzione circostanziata degli addebiti”), nonchè degli artt. 3,24 e 111 Cost., oltre che degli artt. 65,423 e 552 c.p.p., prospettando che, nel caso di specie, l’Ordine professionale aveva omesso di indicare le circostanze precise da cui aveva ricavato la sussistenza degli elementi essenziali della oggettività del fatto addebitato, con ciò impendendo ad esso ricorrente di poter prendere posizione ed approntare le conseguenti contestazioni.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione il ricorrente ha denunciato – sempre in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 41 (ai sensi del quale “la radiazione è pronunciata contro l’iscritto che con la sua condotta abbia compromesso gravemente la sua reputazione e la dignità della classe sanitaria”) e dell’art. 133 c.p. e art. 111 Cost., avuto riguardo all’asserita insussistenza simultanea – nella condotta di partecipazione passiva dell’incolpato ad un maltrattamento di animali – della compromissione e della reputazione del professionista e della dignità della classe medica di appartenenza, con ciò dovendosi escludere la configurazione del requisito della gravità del comportamento in contestazione e, quindi, la sussistenza del presupposto necessario per l’irrogazione della sanzione disciplinare massima della radiazione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la supposta nullità del procedimento disciplinare e della stessa decisione impugnata, avendo la delibera dell’Ordine, confermata dalla decisione impugnata, omesso di motivare l’irrogazione della sanzione della radiazione ed avendo la stessa decisione oggetto di ricorso in questa sede, nel ribadire la legittimità della suddetta delibera, omesso di indicare specificamente i motivi della conferma anche dell’irrogazione di una siffatta sanzione, così venendosi a configurare la violazione del citato D.P.R. n. 221 del 1950, art. 47, il quale stabilisce che la decisione dell’Ordine deve contenere, a pena di nullità, anche l’esposizione dei motivi della decisione, oltre che della L. n. 241 del 1990, art. 3 e dell’art. 111 Cost., dai quali si evince il principio che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

5. Con la quinta doglianza il ricorrente ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, stesso art. 47, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., per aver la Commissione confermato la decisione dell’Ordine con cui era stata omessa di motivare la mancata sospensione (facoltativa) del procedimento per la contemporanea pendenza di procedimento penale relativo agli stessi fatti e la mancata presa in considerazione della testimonianza scritta allegata dall’incolpato nelle sue controdeduzioni.

6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame, nell’impugnata decisione, di appositi fatti assunti come decisivi che erano stati oggetto di discussione fra le parti e segnatamente:

a) per aver omesso di tener conto della dichiarazione testimoniale resa per iscritto da chi accompagnava l’incolpato alla dimostrazione trasmessa nel corso della trasmissione televisiva e della conseguente omessa considerazione/istruzione delle allegazioni documentali effettuale dallo stesso incolpato;

b) per aver omesso di tener conto del contenuto degli allegati della memoria integrativa depositata avanti il CCEPS, da cui si evinceva che il P.M. aveva chiesto l’archiviazione del procedimento penale instaurato a seguito della messa in onda del servizio nella trasmissione “Striscia la notizia” in data 14 ottobre 2014;

c) per aver omesso di valutare l’atteggiamento manifestamente canzonatorio tenuto dall’incolpato in occasione dei due accessi presso il suo studio da parte della “troupe” televisiva;

d) per aver omesso di accogliere la richiesta dell’incolpato di sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell’esito del suddetto procedimento penale avviato a seguito della messa in onda dell’anzidetto servizio nella citata trasmissione;

e) per aver mancato di considerare gli elementi fattuali sottesi all’entità della sanzione disciplinare irrogata all’incolpato.

7. Rileva il collegio che, in via pregiudiziale, bisogna farsi carico della questione – sollecitata dal P.M. nelle sue conclusioni e non costituente, tuttavia, oggetto di specifico motivo di ricorso – attinente alla supposta nullità dell’impugnata decisione emessa dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie siccome composta anche da un rappresentante di derivazione dal Ministero della Salute, la cui presenza – per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 215 del 2016 – avrebbe dovuto comportare l’illegittimità della deliberazione in sede disciplinare adottata dalla predetta Commissione a carico del ricorrente.

E’ noto che con la richiamata sentenza il Giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 17 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) nella parte in cui prevedeva che, della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, organo di giurisdizione speciale chiamato a definire controversie in materia elettorale, disciplinare nonchè inerenti la tenuta dei rispettivi albi professionali, facessero parte, tra gli altri, anche due dirigenti del Ministero della salute, segnatamente un dirigente amministrativo ed un dirigente di seconda fascia (medico o, a seconda dei casi, veterinario o farmacista).

Con il successivo D.P.C.M. 27 dicembre 2016, si era, ugualmente, disposto che il Consiglio Superiore di Sanità provvedesse alla nomina di due dirigenti del Ministero della salute a componenti della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (tra i quali, come componente effettivo, il Dr. Ce.Al., partecipante alla deliberazione adottata nei confronti del Dr. C.).

Malgrado la rinnovata composizione che non aveva tenuto conto degli effetti della richiamata sentenza della Corte costituzionale (risultando, peraltro, che lo stesso D.P.C.M. è stato dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato solo con la sentenza n. 769 del 6 febbraio 2018, nella parte in cui conteneva la nomina del suddetto Dr. Ce.), con il proposto ricorso – notificato nel dicembre 2017 (quindi un anno dopo dalla nomina della nuova Commissione) – non era stato dedotto alcun motivo riconducibile (ai sensi dell’art. 158 c.p.c.) al vizio di costituzione della Commissione disciplinare (quale organo di giurisdizione speciale), che, pertanto, non può costituire oggetto di rilievo d’ufficio nella presente sede di legittimità (potendo, invero, tale rilievo avvenire soltanto nel grado di riferimento in cui era stata adottata la delibera disciplinare – nella fattispecie intervenuta il 7 luglio 2017 e depositata il 16 ottobre 2017 – ove qualificata come illegittima per effetto del precisato vizio), dovendosi applicare, in proposito, il principio generale della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione di cui all’art. 161 c.p.c. (cfr. per riferimenti, Cass. S.U. n. 26938/2013 e Cass. n. 27362/2016), al quale, però, non si è attenuto il ricorrente, non avendo formulato alcuna specifica censura al riguardo con il proposto ricorso per cassazione.

8. Ciò premesso e passando all’esame dei formulati motivi, osserva il collegio che, preliminarmente, occorre valutare le doglianze prospettate con la seconda e la quinta censura siccome attinenti a supposti vizi di svolgimento del procedimento disciplinare.

8.1. Il secondo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.

Infatti, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, nella delibera impugnata risultano attestate come rispettate sia la sufficiente indicazione del complesso addebito ascritto al Dr. C. che, indiscutibilmente, l’esercitabilità di quest’ultimo del diritto di poter, comunque, in concreto svolgere compiutamente le sue difese.

In proposito, la Commissione centrale per le professioni sanitarie ha legittimamente sostenuto come i riferimenti resi nell’atto introduttivo del procedimento disciplinare alla trasmissione televisiva (oggetto di segnalazione) mandata in onda il 16 ottobre 2014 e al relativo contenuto erano risultati sufficienti per una compiuta ed esaustiva cognizione della vicenda in trattazione e che, quindi, il procedimento disciplinare si era svolto nella piena osservanza delle disposizioni sancite dal D.P.R. n. 221 del 1950.

8.2. Anche il quinto motivo è privo di fondamento e va respinto in virtù del pacifico principio dell’autonomia dei due procedimenti, penale e disciplinare, e quindi dell’insussistenza di una pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., tra gli stessi. Invero, è indubbio che la contemporanea pendenza, nei confronti del medesimo professionista e per gli stessi fatti, di un processo penale e di un procedimento disciplinare non comporta la necessaria sospensione di quest’ultimo a norma del citato art. 295 c.p.c., sia perchè la sospensione non è imposta da una specifica disposizione di legge, sia perchè la definizione del processo penale non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della decisione che deve essere resa in sede disciplinare, la quale si fonda sul diverso presupposto della violazione di regole deontologiche e non di norme penali (cfr., ad es., Cass. S.U. n. 14629/2003 e Cass. S.U. n. 6215/2005).

9. Ritiene il collegio che è, invece, fondato il primo motivo.

Innanzitutto va rilevato che la Commissione centrale per le professioni sanitarie non ha – nella delibera qui impugnata – preso assolutamente in considerazione la circostanza (dedotta dallo stesso ricorrente) che la realizzazione della condotta disciplinarmente rilevante ascritta al Dr. C. poteva essere temporalmente ricondotta alla primavera del 2009, come poi per quanto prospettato con la censura in questione (e riscontrato dai documenti ritualmente acclusi ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)) era scaturito dall’indagine penale intrapresa a suo carico, la quale, tuttavia, non era stata proseguita essendo stato definito il relativo procedimento con decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Spoleto (in data 14 giugno 2017 su conforme proposta del P.M. del 1 dicembre 2016), sul presupposto che il reato sì era prescritto siccome la relativa condotta poteva essere fatta effettivamente risalire alla primavera del 2009.

La ragione fondante del rigetto dell’eccezione di prescrizione dell’illecito disciplinare risulta, invece, basata, nel provvedimento decisorio oggetto del ricorso, sull’errata affermazione in diritto che – con riferimento alla dedotta decorrenza del termine prescrizionale per l’attivazione del procedimento disciplinare – il relativo dies a quo si sarebbe dovuto ritenere coincidente con la data della messa in onda del servizio televisivo (16 ottobre 2014) mediante il quale fu possibile visionare la scena in cui era stato considerato coinvolto il Dr. C., la cui condotta era stata, per l’appunto, ravvisata come idonea a configurare l’infrazione disciplinare poi attribuitagli.

Senonchè, questa ricostruzione giuridica contrasta chiaramente con il principio (a cui dovrà conformarsi il giudice di rinvio) alla stregua del quale nell’interpretazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51 (il quale si limita a sancire che “l’azione disciplinare si prescrive in cinque anni”) – il termine di prescrizione, cui è soggetta l’azione disciplinare nei confronti gli esercenti le professioni sanitarie, decorre – ove il fatto non abbia rilevanza penale ovvero, in ogni caso, qualora non sia stata esercitata l’azione penale – dalla data di commissione dell’illecito e non da quella di conoscenza dello stesso da parte dell’organo disciplinare (cfr., per tutte, Cass. n. 9860/2014).

Pertanto, nel caso di specie, sarebbe stato necessario verificare se – in difetto di idonei atti interruttivi e non essendo stata in concreto esercitata l’azione penale nei confronti del Dr. C. (l’indagine a cui carico è stata, anzi, archiviata con decreto del competente G.I.P.), nè, quindi, emessa una decisione irrevocabile di condanna a carico del veterinario – alla data di attivazione del procedimento disciplinare l’illecito sanzionato dalla Commissione centrale per le professioni sanitarie potesse essere già estinto per prescrizione.

E’, pertanto, incorsa nella denunciata violazione di legge (per l’appunto riferita correttamente al D.P.R. n. 221 del 1950, citato art. 51) la predetta Commissione nel ritenere come “dies a quo” del termine prescrizionale quello dell’avvenuta acquisizione della notizia della condotta medesima per il tramite della trasmissione televisiva “(OMISSIS)” mandata in onda il (OMISSIS), senza operare alcun riscontro – anche in conseguenza delle risultanze emerse all’esito dell’indagine penale conclusasi con l’archiviazione (sul presupposto della prescrizione ritenuta maturata in quella sede poichè la consumazione del fatto – poi perseguito anche in ambito disciplinare – era stata fatta risalire alla primavera del 2009) – sulla diversa antecedente collocazione temporale dell’effettiva commissione del fatto oggetto di incolpazione, data in ordine alla quale, invece, la stessa Commissione avrebbe dovuto correttamente valutare se era già trascorso il termine quinquennale previsto dal D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51.

10. In definitiva, previo rigetto del secondo e quinto motivo del ricorso, deve essere accolto il primo, a cui consegue l’assorbimento degli altri dipendenti motivi, con la derivante cassazione dell’impugnata decisione in ordine alla censura ritenuta fondata ed il correlato rinvio alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie che, oltre ad uniformarsi all’enunciato principio di diritto (sub paragrafo 9), provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo e quinto motivo del ricorso; accoglie il primo e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase di legittimità, alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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