Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29661 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 29/12/2011), n.29661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA

2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/2007 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 30/04/2007, r.g.n. 155/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato PUCCI MASSIMILIANO per delega ASSENNATO SANTE G.;

udito l’Avvocato RICCI MAURO per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21 febbraio-30 aprile 2007, la Corte di Appello di Cagliari rigettava l'”impugnazione proposta da S.A.L. avverso la decisione del Tribunale di Cagliari, che aveva a sua volta respinto la domanda proposta dalla stessa S. contro l’INPS, volta ad ottenere la condanna dell’Istituto a corrisponderle, in qualità di figlia maggiorenne inabile, la pensione di reversibilità del padre S.S., deceduto il (OMISSIS).

A sostegno della decisione osservava, sulla base della ctu espletata in primo grado, che le infermità riscontrate a carico della istante non erano risultate tali da ridurre la capacità di lavoro dell’assicurata nella misura imposta dal legislatore alla data del decesso del dante causa (2002).

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la S. contestandola sotto vari profili, mediante denuncia di vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione dell’art. 437 c.p.c., depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c. Alle censure resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il proposto ricorso la S. censura la sentenza della Corte di Cagliari, lamentandone la erroneità in quanto fondata su di una c.t.u. svolta in primo grado, affetta da una erronea valutazione medico legale della incidenza invalidante delle malattie riscontrate.

Lamenta, in particolare, anche in questa sede, la sottovalutazione delle malattie dell’apparato cardiovascolare, già di per se stesse inabilitanti perchè comportanti ridotta tolleranza agli sforzi fisici e facile stancabilità oltre che il rischio di morte improvvisa e causa dei rilevanti disturbi del ritmo cardiaco, peraltro ulteriormente complicate dalla concomitante grave nevrosi ansioso-depressiva con frequenti crisi di panico e somatizzazione viscerale. Lamenta, ancora, che ben avrebbe dovuto, il Giudice d’appello, di fronte a tali patologie disporre nuova consulenza medico legale e, comunque, utilizzare i rimedi previsti dall’art. 437 c.p.c. Il ricorso è privo di fondamento.

Va preliminarmente osservato che il rigetto della domanda di riconoscimento del trattamento previdenziale richiesto, perchè le infermità riscontrate a carico dell’istante non sono risultate tali da ridurre la capacità di lavoro dell’assicurata nella misura imposta dal legislatore alla data del decesso del dante causa (2002), è, in linea di principio, incensurabile in sede di legittimità trattandosi di valutazione di merito.

Come più volte ribadito da questa Corte, in applicazione del principio secondo cui il controllo di legittimità compiuto dalla Corte di cassazione non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma consiste nella verifica sotto il profilo formale e della correttezza giuridica dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, nel caso in cui il giudice di merito si basi, in un giudizio in materia di invalidità pensionabile, sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione è necessario che siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente, circa, l’entità e l’incidenza del dato patologico, e quella della parte.

Nel caso di specie, alla valutazione del consulente tecnico d’ufficio, recepita dal giudice d’appello, la ricorrente ha contrapposto un diverso apprezzamento, non evidenziando alcuna specifica carenza o deficienza diagnostica o, invero erronee affermazioni scientifiche.

L’adesione da parte della Corte territoriale alle risultanze peritali di primo grado appare, quindi, corretta, essendo delineato il percorso logico seguito in relazione agli elementi forniti tramite la consulenza tecnica, peraltro sulla base di documentazione medica che consente di negare il raggiungimento della soglia inabilitante sia al momento dell’accertamento peritale e sia, a maggior ragione, alla data del decesso del dante causa.

Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, il perito d’ufficio e la Corte d’appello hanno anche valutato la compatibilità del quadro clinico riscontrato con la capacità lavorativa residua in attività confacenti alle attitudini della S., osservando come l’esclusione, da parte del consulente del Tribunale, che la S. fosse inabile al momento del decesso del genitore (febbraio 2002), risultasse indirettamente confermato sia dalla misura della invalidità civile (90%) riconosciutale ancora in data 4 luglio 2002, sia dal fatto che la stessa già assicurata come impiegata- avesse prestato anche nel corso dell’anno 2002 attività lavorativa come impiegata alle dipendenze delle Poste Italiane in virtù di contratto a tempo determinato poi cessato per scadenza del termine e non per inidoneità fisica.

Con altro profilo di censura, si denuncia il vizio in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello che, nonostante le doglianze specifiche contenute nell’atto di gravame, avrebbe omesso di disporre il richiesto rinnovo della consulenza peritale d’ufficio, in considerazione delle critiche svolte nella consulenza di parte.

Anche questa censura risulta infondata.

Sul punto è sufficiente osservare che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice del merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre nuova consulenza tecnica, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto” (Cass., Sez. Lav., 5 febbraio 2004, n. 2151).

Nel caso di specie, peraltro, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la Corte territoriale ha preso in espressa considerazione la consulenza di parte, osservando che essa si era risolta in una immotivata e più grave valutazione sul piano medico-legale di quella riconosciuta dal CTU di primo grado (specialista in cardiologia) a fronte del medesimo complesso patologico.

Nessun obbligo, pertanto, era configurabile in capo alla Corte territoriale affinchè disponesse un’ulteriore perizia poichè nessun aggravamento delle infermità riscontrate è stato denunciato, nè è stata prodotta documentazione idonea a supportare la richiesta di rinnovo.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Il riconosciuto elevato grado di percentuale di invalidità, induce a compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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