Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29660 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. II, 16/11/2018, (ud. 06/07/2018, dep. 16/11/2018), n.29660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22221/2014 proposto da:

G.M.G., e G.G., rappresentati e difesi

dagli Avvocati GIUDO FRANCESCO ROMANELLI e ELVIRA LOMBARDI ed

elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in ROMA, VIA

COSSERIA 5;

– ricorrenti –

contro

GU.LA. (ved. G.), G.S. e G.A.,

rappresentati e difesi dall’Avvocato FAUSTO MORENO ed elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. Rosamaria Ciancaglini in

ROMA, VIA BERGAMO 43;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 797/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/07/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 27.4.2001 GU.LA., vedova G., G.S. ed G.A. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Sanremo G.G.M. e G.G., comproprietari insieme a loro e pro indiviso di un fabbricato, sito in Comune di (OMISSIS) – del quale gli attori erano comproprietari per 1/3 – per sentir pronunciare lo scioglimento della comunione sull’immobile, assumendo che lo stesso fosse comodamente divisibile e chiedendo di procedere alla divisione in due lotti, uno da assegnare agli attori e pari a 1/3 del valore del bene e l’altro ai convenuti, titolari dei restanti 2/3.

G.G.M. e G.G. si costituivano in giudizio dichiarando di non opporsi allo scioglimento della comunione, ma rilevavano che il bene, costituito da un unico fabbricato destinato a uso alberghiero, presentava caratteristiche funzionali e strutturali tali da non poter essere comodamente diviso e chiedevano l’attribuzione dell’intero, con addebito dell’eccedenza in favore degli altri condividenti.

Istruita la causa documentalmente e con l’espletamento di una C.T.U., il Tribunale di Sanremo, con sentenza n. 639/2005, depositata in data 9.12.2005, dichiarava il bene non comodamente divisibile e lo assegnava in proprietà ai convenuti, condannandoli in solido al pagamento della somma di Euro 403.333,00, oltre interessi legali in favore di ciascuno degli attori, compensando le spese di lite.

Avverso detta sentenza proponevano appello G.G.M. e G.G. chiedendone la parziale riforma per avere il Tribunale valutato il bene in base al suo valore intrinseco anzichè di mercato, senza considerare il suo deprezzamento derivante dal godimento di terzi in forza di locazione; ed attribuito al fabbricato un valore maggiore di quello che aveva, riconoscendogli una potenzialità edilizia in realtà non sussistente. Gli appellanti chiedevano di determinare gli importi dovuti a titolo di eccedenza ex art. 720 c.c., in somma inferiore rispetto a quella determinata dal Tribunale.

Gli appellati si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello e, in via di impugnazione incidentale, la divisione in lotti, come chiesto in primo grado.

Con sentenza n. 797/2014, depositata il 13.6.2014, la Corte d’Appello di Genova ha respinto entrambi gli appelli, compensando le spese.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione G.G.M. e G.G. sulla base di cinque motivi; resistono Gu.La., ved. G., G.S. e G.A., con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 111 Cost., comma 7 e violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un motivo di merito ritualmente proposto”. I ricorrenti rilevano che, nel secondo motivo di appello avevano lamentato che il Tribunale di Sanremo avesse errato nel riconoscere al bene una potenzialità edilizia (con mutamento di destinazione da alberghiero ad abitativo), che in realtà questo non aveva. Del resto, secondo i ricorrenti la stessa sentenza del Tribunale aveva ammesso, sia pure implicitamente, che fosse scarsamente realizzabile tale mutamento, riscontrando la sussistenza di gravi difficoltà nel reperire nella zona, nel raggio di mt. 500, un numero di posti auto pari a quello delle unità abitative, come previsto dal P.R.G. del Comune di (OMISSIS). Su tale motivo la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – E’ consolidato il principio secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza dell’error in procedendo (ex plurimis, Cass. n. 17905 del 2016; Cass. n. 11354 del 2016; Cass. n. 23417 del 2015; Cass. n. 15676 del 2014).

Nella fattispecie, non si configura nè l’asserito error in procedendo, nè l’asserito pregiudizio, in quanto il giudice del gravame ha esaminato il motivo di appello e lo ha rigettato, affermando che il Tribunale aveva correttamente basato la sua decisione tenendo conto “del valore venale del fabbricato nelle sue condizioni al momento della stima e considerato in un unico blocco e non del possibile valore che lo stesso fabbricato avrebbe potuto acquistare nella previsione di un diverso sfruttamento edificatorio attraverso cambiamento della destinazione da alberghiera ad abitativa con creazione di miniappartamenti e divisione in lotti, previsione ipotizzata nella seconda parte della relazione di C.T.U. con stima pure dei lavori edili e degli oneri urbanistici preventivabili per una tale trasformazione”. Escludendo “quindi che il valore di stima utilizzato in sentenza possa definirsi diverso dal valore venale e di mercato del bene nella sua interezza e nelle sue effettive condizioni al momento della stima” (sentenza impugnata, pag. 4, nn. 2 e 3).

1.3. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di divisione ereditaria, la stima dei beni per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al loro valore venale al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di presentazione della relativa domanda giudiziale (ex plurimis, Cass. n. 29733 del 2017; Cass. n. 21632 del 2010; Cass. n. 15634 del 2006). Al riguardo, si è specificato che, nel relativo giudizio, occorrendo assicurare la formazione di porzioni di valore corrispondente alle quote, può farsi riferimento alla stima dei beni effettuata in data non troppo vicina a quella della decisione soltanto se si accerti che, nonostante il tempo trascorso, per la stasi del mercato o per il minor apprezzamento del bene in relazione alle sue caratteristiche, non sia intervenuto un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima (Cass. n. 3635 del 2007).

Peraltro, è principio altrettanto consolidato che la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del relativo valore – con riguardo a natura, ubicazione, consistenza, possibile utilizzazione e condizioni di mercato – rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito, le cui valutazioni in proposito sono insindacabili in sede di legittimità, anche a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se sostenute da adeguata e razionale motivazione (Cass. n. 18546 del 2017). E peraltro, la parte che solleciti una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall’epoca della stima deve allegare le ragioni di significativo mutamento del valore degli stessi intervenute medio tempore, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso (Cass. n. 21632 del 2010; Cass. n. 3029 del 2009).

1.4. – Nel caso di specie, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, la Corte d’appello ha ritenuto che nel periodo trascorso tra la valutazione del consulente tecnico d’ufficio e la pronuncia di primo grado non fossero sopravvenuti fatti tali da attribuire al bene un valore maggiore di quello stimato, quali la circostanza che il fabbricato de quo si trovasse dagli anni 1985/86 in stato di locazione (in favore della conduttrice s.a.s. Hotel Firenze di M.G.G.), ovvero che, nel corso del giudizio di appello, il bene medesimo sia stato assoggettato a vincolo alberghiero in applicazione della L.R. Liguria n. 1 del 2008 (così escludendosi il maggior valore acquisibile dall’ipotizzato cambiamento della sua destinazione da alberghiera ad abitativa).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 111 Cost., comma 7 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un motivo di impugnazione ritualmente proposto e/o in relazione all’art. 720 c.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. La Corte di merito avrebbe omesso di esaminare che, nel corso del giudizio d’appello è intervenuta la L.R. Liguria n. 1 del 2008, che ha inserito l’immobile per cui è causa nell’elenco degli Alberghi vincolati ex lege, sicchè l’apposizione di tale vincolo ha fatto sì che il mutamento da albergo ad abitazione – già in precedenza quasi irrealizzabile – sia diventato definitivamente impossibile. Tale vincolo avrebbe inciso sul valore del fabbricato, rendendolo meno appetibile, essendo notorio che la crisi economica degli ultimi anni, particolarmente sentita nel settore turistico, ha reso ancor più difficile reperire soggetti disposti ad investire in quel settore, acquistando l’intero fabbricato ad uso albergo. La Corte d’appello non avrebbe esaminato tali argomentazioni, omettendo altresì l’esame di un fatto decisivo della controversia che travolge di nullità la sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Richiamate le sopra esposte agomentazioni, va riaffermato che la Corte d’appello ha valutato e ritenuto che la stima del fabbricato de quo sia stata, correttamente, effettuata tenendo conto della utilizzazione dell’immobile quale albergo (sia prima, che dopo il suo inserimento nell’elenco degli alberghi vincolati ai sensi della L.R. Liguria n. 1 del 2008, come modificata dalla L.R. n. 4 del 2013), sottolineando altresì “l’entusiasmo” con cui i ricorrenti avevano riferito la notizia (sentenza impugnata, pag. 5).

Ne consegue la assorbente non configurabilità di vizi di omesso esame circa la asserita violazione degli evocati parametri di legittimità di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Laddove, peraltro, si rileva che della citata L.R. n. 4 del 2013, art. 2, comma 4, dispone che “La L.R. n. 1 del 2008, art. 2, comma 2, è sostituito dal seguente:”2. I proprietari degli immobili soggetti al vincolo di cui al comma 1 possono, in qualsiasi momento, presentare, in forma individuale e/o aggregata, al Comune territorialmente competente, motivata e documentata istanza di svincolo con riferimento alla sopravvenuta inadeguatezza della struttura ricettiva rispetto alle esigenze del mercato, basata su almeno una delle seguenti cause ed accompagnata dalla specificazione della destinazione d’uso che si intende insediare: a) oggettiva impossibilità a realizzare interventi di adeguamento complessivo dell’immobile, a causa dell’esistenza di vincoli monumentali, paesaggistici, architettonici od urbanistico-edilizi non superabili, al livello di qualità degli standard alberghieri e/o alla normativa in materia di sicurezza (quali accessi, vie di fuga, scale antincendioe simili) e/o di abbattimento delle barriere architettoniche; b) collocazione della struttura in ambiti territoriali inidonei allo svolgimento dell’attività alberghiera, con esclusione comunque di quelli storici, di quelli in ambito urbano a prevalente destinazione residenziale e degli immobili collocati nella fascia entro 300 metri dalla costa”.

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti, deducono la “Violazione di norme di diritto, per violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 720 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, in subordine, violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 720 c.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. La Corte di merito non ha tenuto conto che il valore di Euro 3.630.000,00 era stato attribuito dal CTU al fabbricato sull’errato presupposto che lo stesso si potesse trasformare in più alloggi, così da costituire un condominio. Tale valore complessivo non era altro che la somma dei valori attribuiti alle superfici dei singoli piani nello “stato attuale” e “nell’ipotesi di ristrutturazione e frazionamento in condominio”.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – Quanto alla denunciata “violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 720 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, come già detto, la Corte territoriale, lungi dall’omettere, ha espressamente rilevato che il Tribunale aveva correttamente basato la sua decisione tenendo conto “del valore venale del fabbricato nelle sue condizioni al momento della stima e considerato in un unico blocco e non del possibile valore che lo stesso fabbricato avrebbe potuto acquistare nella previsione di un diverso sfruttamento edificatorio attraverso cambiamento della destinazione da alberghiera ad abitativa” (v. sub 1.2.).

3.3. – Quanto poi alla denunciata “violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 720 c.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, essa non risulta riconducibile (nei termini in cui è stata formulata) alla nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis. E’ noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Orbene, della enucleazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’è traccia. Sicchè, le censure mosse in riferimento al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018).

4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione di norme di diritto, per violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 720,726,766 e 1116 c.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e omessa e/o contraddittoria e illogica motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)”, là dove la Corte territoriale ha affermato di non ravvisare la necessità istruttoria di una nuova CTU, mostrando di ritenere che la valutazione del bene dovesse essere effettuata alla data della sentenza di primo grado e che eventuali differenze temporali tra la stima e la sentenza dovessero riguardare esclusivamente il giudizio di primo grado; e, per giustificare il suo convincimento, ha preso in esame l’andamento del mercato immobiliare italiano nel decennio intercorrente tra la sentenza di primo grado (2005) e quella di secondo grado (2014), ritenendo che fossero da escludere rilevanti modifiche in aumento o in diminuzione, giacchè in un arco decennale le fasi di depressione dei prezzi immobiliari sono state comunque compensate dall’andamento inflazionistico. I ricorrenti rilevano che sarebbe stata viceversa necessaria una nuova CTU per effettuare una nuova stima che fornisse il valore di mercato del fabbricato ad uso alberghiero in unico blocco, riferito alla data della pronuncia, determinato con riferimento alla sua natura, all’ubicazione, alla consistenza e ai dati raccolti sul mercato immobiliare del Comune di (OMISSIS) per beni similari. Nè, peraltro, la Corte di merito avrebbe dovuto omettere di considerare l’intervenuta apposizione del vincolo alberghiero ex lege Liguria n. 1 del 2008.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – Come già sottolineato sub 1.3., la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del relativo valore – con riguardo a natura, ubicazione, consistenza, possibile utilizzazione e condizioni di mercato rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito, le cui valutazioni in proposito sono insindacabili in sede di legittimità, anche a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se sostenute da adeguata e razionale motivazione (Cass. n. 18546 del 2017). E peraltro, la parte che solleciti una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall’epoca della stima deve allegare le specifiche ragioni dell’asserito significativo mutamento del valore degli stessi intervenute medio tempore, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso (Cass. n. 21632 del 2010; Cass. n. 3029 del 2009).

Orbene, la Corte d’appello (precisato di avere esaminato la richiesta istruttoria invocata da entrambe le parti, per ragioni opposte, di una nuova CTU) l’ha respinta con motivazione logica e conforme all’indirizzo della Suprema Corte, per il quale la stima, come già detto, va compiuta con riferimento al valore venale del bene al tempo della divisione, coincidente con la presentazione della domanda giudiziale (Cass. n. 29733 del 2017; Cass. n. 22884 del 2013). La motivata affermazione del giudicante – secondo cui la situazione temporale alla quale deve essere riferito il valore venale è quello della sentenza di primo grado, che ha determinato l’attribuzione dell’intero immobile ai ricorrenti – costituisce dunque apprezzamento di fatto, attribuito al potere del giudice, e come tale sottratto al sindacato di legittimità (Cass. n. 7961 del 2003). Del resto, la Corte ha rilevato che la CTU risale al 2004, mentre la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2005, per cui la stima è stata effettuata in data vicina alla decisione e in quel lasso di tempo non è stato provato un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima.

4.3. – Viceversa, appare evidente che le censure, così come analiticamente articolate con il motivo in esame, sono in realtà volte a conseguire un complessivo riesame dell’iter motivazionale della sentenza impugnata, attraverso una rivalutazione delle motivate e logiche conclusioni adottate dalla Corte territoriale; costituendo dunque doglianze inammissibili, anche perchè estranee al rigoroso limite ammesso dall’art. 360, n. 5, nel testo riformato e vigente (v. sub 3.3.). E ciò con riferimento sia alla richiesta di nuova C.T.U. estimativa diretta alla nuova valutazione dell’immobile (v. sentenza impugnata, pag. 6); sia alla dedotta incidenza (asseritamente negativa) del vincolo alberghiero, sul valore dell’immobile (già oggetto di esame nei precedenti motivi); sia, infine, al richiamo della disciplina in materia di adeguamento del conguaglio costituente debito di valore (la quale tuttavia appare estranea rispetto al thema decidendum).

5. – Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione di norme di diritto, per violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 720,726,766 e 1116 c.c. e art. 132 c.p.c. e omessa e/o contraddittoria e illogica motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto – non avendo tenuto conto, il Tribunale, del fatto che l’immobile fosse locato a terzi: circostanza che secondo il CTU avrebbe determinato una riduzione di valore commerciale intorno al 30% – la Corte di merito ha affermato che il valore di mercato corrispondeva a quello dell’immobile libero, in quanto vi era identità di persone tra gli assegnatari e i soci della società conduttrice dell’immobile, per cui, una volta acquisita l’intera proprietà, avrebbero potuto liberare l’immobile dal peso della locazione.

5.1. – Il motivo non è fondato.

5.2. – La Corte territoriale, con motivazione logica ed articolata, ha affermato che la situazione del fabbricato è equiparabile a quella di un immobile libero, giacchè “la conduttrice s.a.s. Hotel Firenze di M.G.G. & C. è una semplice emenazione societaria dei condividenti (odierni ricorrenti) trattandosi di società di persone formata esclusivamente dal socio accomandatario G.M.G. e dal socio accomandante G.G.” (sentenza impugnata, pag. 4); i quali pertanto “con l’attribuzione della intera proprietà del fabbricato de quo non ricevono affatto un bene menomato nel valore venale dalla presenza di un rapporto locatizio in favore di terzi, bensì un bene (dagli stessi condividenti già gestito prima della divisione) per gli stessi del tutto libero da tali pesi, incarnando i due medesimi condividenti, attraverso una loro esclusiva società di persone, pure la parte conduttrice ed essendo l’attività (alberghiera) da tempo in corso in tale immobile proprio quella che gli stessi intendono continuare a gestire” (sentenza impugnata, pag. 5).

5.3. – Ribadito che la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del relativo valore rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito, le cui valutazioni in proposito sono insindacabili in sede di legittimità, anche a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se sostenute da adeguata e razionale motivazione (Cass. n. 18546 del 2017), va ritenuto che la Corte d’Appello abbia correttamente affermato (con esauriente ed adeguato apprezzamento, come tale insindacabile in sede di legittimità) che la sostanziale identità tra i ricorrenti e la società conduttrice non determina una diminuzione del valore di mercato dell’immobile.

6. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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